donne chiesa mondo - n. 35 - maggio 2015

women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women Mensile dell’Osservatore Romano maggio 2015 numero 35 A cura di L UCETTA S CARAFFIA (coordinatrice) e G IULIA G ALEOTTI Redazione: R ITANNA A RMENI , C ATHERINE A UBIN , R ITA M BOSHU K ONGO , S ILVINA P ÉREZ (www.osservatoreromano.va , per abbonamenti: ufficiodiffusione@ossrom.va) donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo Umorismo nell’amore (1946) Numero 11 di rue Raspail, periferia operaia di Parigi: qui, nel 1935 insieme ad alcune compagne, la mistica, poetessa e assistente sociale Madeleine Delbrêl (1904-1964) avviava il suo progetto di semplice vita fraterna a stretto contatto con le donne e gli uomini del quartiere. Una presenza cristiana viva tra la gente scristianizzata del suo tempo, una presenza di fede, vita e rivendicazioni sociali a opera di una donna nata atea «radicale e profonda», che a vent’anni si convertì al cattolicesimo (il convertito, disse una volta, «è una persona che scopre la meravigliosa fortuna che Dio è»). Di Delbrêl, tra le maggiori figure spirituali del Novecento — «sono stata e sono rimasta abbagliata da Dio», confidò ad alcuni studenti tre settimane prima di morire — era leggendario l’umorismo. Gli stralci che proponiamo sono tratti da Umorismo nell’amore. Meditazioni e poesie (Gribaudi, 2011) che raccoglie scritti estremamente vari — biglietti, note, lettere, poesie, canzoni, storielle — conservati dagli amici di Madeleine, consapevoli del valore di quelle parole. di C ATHERINE A UBIN C risto ha senso dell’umorismo? Si possono vedere tracce del suo sorriso nei vangeli? Guardiamolo per esempio nell’episodio di Ma- ria e di Marta. Mentre sua sorel- la Maria è seduta, attenta, ai piedi di Gesù, Marta si agita per servire e mettere in ordine la casa. Gesù le dice: «Marta, Marta, ti agi- ti». Ha dunque osservato una Marta agitata, anzi disattenta; non la rimprovera, non la giudica, no, la chiama e la richiama a se stes- sa. E possiamo immaginare che lo faccia con un sorriso, con indulgenza e compassione, il tutto venato di un certo umorismo. Allo stesso modo, nell’episodio ben più drammatico della donna adultera, non c’è da parte sua una sorta di umorismo quando di- ce: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei»? Una frase che rimanda l’altro a ciò che è, senza condannar- lo, ma mirando proprio al punto giusto, se così si può dire. I Padri del deserto sono noti per le loro parole gustose, piene di umorismo e di inse- gnamenti. La loro visione delle cose della vi- ta è in un certo modo “decentrata” rispetto alla visione dei discepoli. Il loro sguardo e il loro discernimento lasciano “il mondo” per vedere e giudicare secondo “la salvezza”. Questa facoltà di distanziarsi crea uno sfasa- mento con ciò che è considerato normale. Da questo scarto nasce l’umorismo. Così facen- do, praticano due cose: da una parte l’umori- smo come arte di distanziarsi dal mondo per puntare meglio all’essenziale, e dall’altra una forma di sfasamento o di scarto dinanzi all’irruzione della grazia nella sfera dell’uma- no. Il comportamento “folle” dell’uomo di Dio è dunque il segno che tutte le norme, in- cluse quelle religiose, non sono all’altezza di fronte alla salvezza di Dio. La salvezza crea una differenza. Questa differenza è lo spazio per una parola, uno sguardo, un gesto piena- mente spirituali. Ecco una storia famosa che illustra tutto ciò. «Un fratello sbagliò una volta a Scete. Si tenne un consiglio al quale fu convocato ab- ba Mosè. Ma quest’ultimo rifiutò di andare. Allora il sacerdote gli mandò a dire: “Vieni che tutti ti aspettano”. Si alzò e andò con un cesto bucato riempito di sabbia, portandolo così sulle spalle. Gli altri, venutigli incontro, gli dissero: “Che cos’è, padre?”. Il vecchio disse: “I miei sbagli si stanno perdendo die- tro di me e non li vedo; e io, sono venuto oggi per giudicare le colpe degli altri?”. All’udire ciò, non dissero nulla al fratello, ma lo perdonarono». All’origine dell’umorismo cristiano c’è la fiducia in Dio misericordia le cui vie e i cui pensieri sono diversi da quelli degli uomini e per il quale un principio di verità e di carità in un cuore umano non ha prezzo. La sua santità invita a una saggia modestia dinanzi ai limiti umani. Poiché è nelle piccole cose quotidiane — problemi di salute, incompren- sioni, contrattempi — che il senso dell’umori- smo genera un allargamento del cuore, una sorta di dilatazione interiore che placa e apre gli occhi del cuore sull’essenziale. Questa fi- ducia in Dio crea un clima di distensione do- ve il sorriso può nascere a dispetto di qual- siasi sentimento di vergogna, di colpa. San Filippo Neri, il santo dell’umorismo e dell’amenità ne è un esempio famoso. Il suo buonumore costante lo rende vicino a tutti, non lo isola, anzi egli sa, nel più profondo di sé, che siamo tutti soggetti alle stesse debo- lezze. La sua vita è piena di aneddoti, piena di buonumore, di arguzie e di insegnamenti. Aveva l’abitudine di nascondere dietro appa- renze così umane, così semplici, i favori mi- stici più alti. I suoi scherzi avevano quasi sempre un fine preciso: voleva ingannare gli altri quando percepiva che un’estasi incom- beva su di lui. Più Dio era presente, più l’uo- mo in lui restava semplice. Il tratto caratte- riale che affascinava i suoi amici e disarmava i suoi nemici era la sua aria festosa, una sorta di allegria che accompagnava armoniosamen- te la grazia dei suoi modi. La sua parola d’ordine per entrare nella vita spirituale era: «Siate umili, siate bassi!». Si raccomandava continuamente a Dio dicendo: «Signore, non ti fidare di me! Oggi potrei tradirti». Un giorno una romana perbene si accusò di sparlare e di calunniare i suoi vicini. San Filippo Neri le diede la seguente penitenza: doveva tornare a casa sua seminando lungo il cammino le piume di un pollo che avrebbe comprato al mercato. E se si fosse rimessa a sparlare, avrebbe dovuto subito confessarsi per cercare di correggersi. La brava donna si mise immediatamente in cammino spennan- do il pollo, ma la sera stessa, alquanto scru- polosa, ritornò a confessarsi perché aveva sparlato di nuovo. Il santo la perdonò, le diede l’assoluzione e le disse: «Come peni- tenza, ritornate per le strade attraversate e raccogliete a una a una le penne della galli- na». In questa storia divertente e sorpren- dente, l’umorismo prende le distanze dalla realtà. Questo distaccarsi non è una forma di difesa o un rifiuto di lasciarsi dominare. Prendendo le distanze, l’umorismo suscita una dimensione nuova; fa nascere inaspetta- tamente un punto di vista originale sull’even- to e opera così un cambiamento di piano che permette di guardare al fatto in modo diver- so. In altre parole, il modo di pensare del mondo si sposta per fare spazio al punto di vista della salvezza. San Tommaso Moro era noto per il suo senso dell’umorismo. Era un suo tratto carat- teriale e un metodo: «Mi si rimprovera di mescolare battute, facezie e parole scherzose con i temi più seri. Credo che si possa dire la verità ridendo. Di certo si addice meglio al laico, quale io sono, trasmettere il proprio pensiero in modo allegro e brioso, piuttosto che in modo serio e solenne, come fanno i predicatori». Il suo umorismo era espressione di una gioia profonda alimentata dalla fede. Mentre saliva sul patibolo, chiese all’ufficiale che lo conduceva al patibolo, «per quanto ri- guarda la discesa, lasciami fare da solo». Poi consigliò al boia di mirare bene perché aveva il collo un po’ corto, e una volta messa la te- sta sul ceppo, disse ancora scherzando di preservare la barba che gli era cresciuta du- rante la sua prigionia nella torre di Londra: «Essa non ha tradito, quindi non deve essere tagliata». Papa Francesco, nel suo discorso alla Cu- ria dello scorso dicembre, ha fatto il catalogo delle malattie, dove ha avuto cura di menzio- nare san Tommaso Moro. Ha detto: «Non perdiamo dunque quello spirito gioioso, pie- no di humor, e persino autoironico, che ci rende persone amabili, anche nelle situazioni difficili. Quanto bene ci fa una buona dose di sano umorismo! Ci farà molto bene recita- re spesso la preghiera di san Thomas More». Ecco la preghiera: «Signore, donami una buona digestione e anche qualcosa da digeri- re. Donami la salute del corpo e il buon umore necessario per mantenerla. Donami, Signore, un’anima semplice che sappia far te- soro di tutto ciò che è buono e non si spa- venti alla vista del male ma piuttosto trovi sempre il modo di rimetter le cose a posto. Dammi un’anima che non conosca la noia, i brontolamenti, i sospiri, i lamenti, e non per- mettere che mi crucci eccessivamente per quella cosa troppo ingombrante che si chia- ma “io”. Dammi, Signore, il senso del buon umore. Concedimi la grazia di comprendere uno scherzo per scoprire nella vita un po’ di gioia e farne parte anche agli altri». San Tommaso Moro menziona qui una ca- ratteristica fondamentale del buon umore: «Non permettere che mi crucci eccessivamen- te per quella cosa troppo ingombrante che si chiama “io”». In effetti l’umorismo richiede uno sguardo acuto e una buona conoscenza di sé. Chi applica questa forma di auto-deri- sione a se stesso, o agli altri, non è né cieco né troppo ingombrato dal suo ego. L’umori- smo mantiene a una sana e giusta distanza da se stessi. Vale a dire che permette di ve- dersi con i propri difetti e le proprie mancan- ze e di riderne, non in modo ironico o disin- cantato, ma con dolcezza e tenerezza. Come il Signore stesso fa quando ci guarda. Senza dubbio come in una risposta di un film di don Camillo. Gesù: «Toh, guarda chi si rivede: Don Ca- millo! Be’, hai perso la favella?». Don Ca- millo: «Signore, quante volte vi ho chiamato in questi tre anni e mai mi avete risposto, mentre ora, ecco di nuovo la vostra voce. Dio è più vicino qui che a Roma». Gesù: «Don Camillo, Dio è sempre alla stessa quo- ta, qui ti pare più vicino perché qui sei più vicino a te stesso». Alla qual cosa i Padri del deserto avrebbe- ro risposto: «Mio Dio, se sei dovunque, co- me può succedere che io sia così spesso altro- ve?». Il fumetto Mafalda È liberatoria, dà dignità, afferma l’intelligenza dell’essere umano su quello che le capita: questa l’essenza dell’ironia nella versione di Mafalda. È una delle più popolari strisce a fumetti di sempre, creata e disegnata dall’artista argentino Quino, pseudonimo di Joaquín Salvador Lavado. Pubblicata per la prima volta il 29 settembre 1964, Mafalda è stata capace di raccontare un intero universo, rendendo universale una situazione ben precisa. Figlia di una coppia piccolo borghese — il papà lavora, la mamma è casalinga — Mafalda va all’asilo e poi alle elementari, vive una vita serena, tra amici ed estranei con cui interagisce senza timidezza. Pur in difficoltà dinnanzi al cervello sveglio della figlia, i genitori si sforzano di darle risposte e guidarla nella crescita. Con il personaggio di Mafalda — nata in un periodo storico ben preciso, tra guerra del Vietnam, Giovanni XXIII , Beatles e femminismo — il pensiero dei bambini assume dignità e valore pari a quello degli adulti. Da oltre mezzo secolo, lo sguardo di questa bambina di sei anni — chioma ribelle e fiocchetto in testa — continua a porre grandi interrogativi esistenziali sull’umanità e sui destini del mondo. Con domande scomode che mettono a nudo contraddizioni e tabù. ( @PerezSilvina ) Il film Sister Act Quando uscì, nel 1992, Sister Act incassò 231 milioni di dollari. La prima volta che, nel 1995, venne mandato in onda dalla televisione italiana realizzò il 37,53 per cento di share con 11 milioni e mezzo di telespettatori. Un premio alla comicità, alla vivacità e alla ironia con cui il regista Emile Ardolino e l’attrice Whoopi Goldberg, nella parte di suor Claretta, raccontano le avventure della donna di un capomafia che, per sfuggirgli, si rifugia in un convento. Il carattere esuberante, estroverso e stravagante della donna di mondo s’incontra e si scontra con la vita calma e raccolta delle suore carmelitane. Ma l’incontro è ricco e fecondo. Suor Claretta si dedica alla formazione e al miglioramento dello sgangherato coro delle suore. Grazie a lei, e ai suoi arrangiamenti rock, avrà un grande e inaspettato successo, la sua fama arriverà al Pontefice che in una sua visita negli Stati Uniti lo ascolterà e lo applaudirà. Le suore la assistono e la proteggono nelle rocambolesche avventure della sua fuga dal mondo della mafia e della ricettazione. ( @ritannaarmeni ) D ONNE ULEMA IN M AROCCO «Incrementare il numero delle donne ulema» nelle istituzioni religiose del Marocco: queste le recenti direttive impartite dal re del Paese nordafricano, Maometto VI , al ministero degli Affari islamici. «Aumentando il numero delle esperte di religione nel Consiglio superiore e nei Consigli regionali degli ulema», si intende «rafforzare la rappresentatività delle donne nell’inquadramento spirituale dei cittadini». Una decisione che conferma, si legge ancora nel comunicato, «le grandi speranze che il re riserva al ruolo della donna e al suo grande contributo alla realizzazione di una rinascita globale della comunità». Da molti anni in Marocco — Maometto VI regna dal 1999 — si registrano iniziative per il rafforzamento del ruolo femminile. Nel 2005, ad esempio, è stata promossa la figura delle murchidat , ossia delle predicatrici incaricate di trasmettere i valori religiosi a donne e bambini in carceri, ospedali, luoghi di lavoro e spazi associativi. D ATI SULLE NEPALESI Dei circa 23 milioni di nepalesi che vive nelle zone rurali (l’85 per cento della popolazione), quasi 7 milioni e mezzo sono donne sotto i cinquant’anni. Molte di loro non hanno ricevuto alcuna istruzione: il tasso di alfabetizzazione femminile nel Paese è infatti fermo al 57,4 per cento, mentre quello maschile raggiunge il 75 per cento. Nonostante il Nepal abbia firmato diversi trattati internazionali a favore della parità, ancora molte promesse sono rimaste inattuate. È il caso, ad esempio, della Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione ratificata nel 1991. Nel Paese, la violenza contro le donne è la causa principale di morte tra quante si trovano nella fascia di età tra 19 e 44 anni: guerra, cancro e incidenti automobilistici vengono dopo. Stando ai dati forniti dall’organizzazione Hackatón per la violenza contro le donne, fondata a Kathmandu nel 2013, il 22 per cento delle donne tra 15 e 49 anni subisce violenza almeno una volta e il 43 per cento viene molestato sul luogo di lavoro, mentre sono tra 5 e 12 mila le vittime della tratta ogni anno, con circa il 75 per cento di queste ultime — vendute come prostitute — che non raggiunge i 18 anni. Completano il quadro i dati forniti dall’Organizzazione mondiale della sanità: il tasso di mortalità materna in Nepal è di 190 partorienti ogni 100 mila nati vivi. Solo il 15 per cento delle donne ha accesso ai centri sanitari. L A PRIMA SAMARITANA ITALIANA Massima espressione di altruismo o follia allo stato puro? È questo il dubbio che si pone in presenza della donazione samaritana, quella donazione cioè in cui un soggetto vivo decide, in completa autonomia, di privarsi di un organo (oggi, di fatto, di un rene) a beneficio di un estraneo che ne abbia bisogno. La specificità della donazione samaritana consiste proprio nell’estraneità assoluta dei soggetti coinvolti: donatore e ricevente non si conoscono e la donazione viene effettuata attraverso centri per i trapianti, istituti universitari, ospedali ritenuti idonei secondo le norme di legge. Per i fautori della pratica, essa è l’incarnazione dell’altruismo puro, mentre per i detrattori è un gesto troppo grande per essere autentico. Legale in diversi Paesi, il primo caso verificatosi in Italia, dove la samaritana è legale dal 2010, ha coinvolto una donna che il 7 aprile scorso ha donato il proprio rene in un centro della Lombardia. Che la prima samaritana italiana sia una donna non stupisce: a livello mondiale, infatti, le cifre dicono che sono in maggioranza le donne a donare o a cedere un organo. Il dato è questo — sebbene per ragioni diverse — sia a livello di donazione legale (in Italia e non), che nell’ambito del mercato nero. S ARITHA E I BUS DI N EW D ELHI Si chiama Vankadarath Saritha e ha trent’anni la prima autista donna conducente di autobus pubblici nella storia dell’India. Dopo aver lavorato come autista nel ramo privato, ora la ragazza è stata assunta dalla Delhi Transport Corporation che le ha affidato la linea 543. La sua assunzione avviene in un momento delicato della vita sociale del Paese: molti dei tanti episodi di brutali, e spesso mortali, stupri nei confronti di bambine e donne sono infatti avvenuti sui mezzi pubblici. «Mi auguro che la mia presenza — ha detto Saritha, nativa dello Stato del Telangana, dove vivono le sue quattro sorelle — possa infondere coraggio alle tantissime donne indiane che ogni giorno salgono sugli autobus». Sorridente, la giovane ha dichiarato di lavorare per mantenere la sua famiglia «e spero di riuscire finalmente a comprarmi un paio di orecchini d’oro». T ONI M ORRISON DICE NO Nel numero speciale che «The Nation» ha pubblicato per festeggiare i suoi primi 150 anni, si trova anche l’articolo della scrittrice statunitense Toni Morrison, No Place for Self-Pity, No Room for Fear . Con la capacità nitida e poetica insieme che, negli anni, abbiamo imparato a conoscere nelle sue opere, la vincitrice del Nobel per la letteratura 1993 chiama in causa la responsabilità degli artisti nel mondo attuale. Ben consapevole delle crisi che attraversano il globo, Morrison sprona i colleghi: «È esattamente questo il momento in cui un artista deve rimboccarsi le maniche. Non c’è tempo per la disperazione, non v’è spazio per l’autocommiserazione, non c’è posto per la paura. Noi parliamo, noi scriviamo, noi facciamo lingua. È così che la civiltà guarisce». La creatrice di figure femminili memorabili, sofferenti ma mai dome, conclude quindi affermando che se è importante non ignorare il grido di dolore del mondo ferito e sanguinante, è anche indispensabile non soccombere alla cattiveria. «Come l’insuccesso, anche il caos contiene informazioni che possono condurre alla conoscenza, se non addirittura alla saggezza. Esattamente come l’arte». D OPO IL CANCRO , TI DONO LA MIA PARRUCCA L’arte del riciclo non conosce limiti: alle donne guarite dal cancro a cui, evidentemente, la parrucca acquistata nel periodo della chemioterapia non serve più, una parrucchiera francese lancia una proposta: regalarla a una donna malata che non se la può permettere. È questa l’iniziativa di un’associazione francese, Joséphine pour la Beauté des Femmes , fondata dalla parrucchiera italiana naturalizzata francese Lucia Iraci, già salita all’onore delle cronache per aver aperto il primo salone a prezzi sociali in uno dei quartieri più poveri di Parigi. La nuova campagna mira a sostenere le donne indigenti nella lotta contro il cancro, consentendo loro di sentirsi belle anche nel periodo più intenso delle cure. L’invito corre anche online con la campagna #AvecMaPerruque dato che un posticcio può arrivare a costare cifre elevate, anche tremila euro, mentre il servizio sanitario francese non ne rimborsa che 125. Il libro Volevo fare la carmelitana scalza Un sorriso a ogni pagina. A cominciare dal titolo, Volevo fare la carmelitana scalza, ma mi hanno scambiata per un pesce d’aprile (Emi, 2014). Lucia Cosmetico, triestina, affida all’ironia il racconto del suo approdo a Roma alla ricerca di una vocazione. E lo fa con grande sapienza, suscitando con l’ilarità la riflessione e passando da una critica — leggera e dura al tempo stesso — a un mondo nevrotico, evanescente, inospitale. Possibile che una donna, si chiede all’inizio, abbia solo tre opzioni (vita di coppia, «zitellaggine», «suoraggine»)? «E se uno trasformasse il suo condominio in un monastero e la città in una grande comunità?». Dopo un esilarante scambio di mail, in data I ° aprile, con una carmelitana che fatica a prenderla sul serio, Lucia decide di provarci. La sua strada, la quarta opzione, passa da un’apertura controcorrente all’altro. Le coinquiline, i vicini di tram, «barboni, disadattati, ricchi e poveri» incontrati durante un istruttivo vagabondaggio per la città (in attesa di trovare lavoro) le offrono continue occasioni di scambio e crescita, nella convinzione che a renderci felici è la felicità degli altri. «Basta uscire per la strada e mettersi in ascolto del mondo». O in ascolto di Cesira che, sul 30 Express, canta a suqarciagola: «Cittadini! Volemose bbbene!». ( @SilviaGusmano ) Tra i biglietti di Madeleine Teologia dell’umorismo Beati quelli che sanno ridere di sé perché non finiranno mai di divertirsi Filippo Neri è il santo dell’amenità Il suo costante buonumore lo rende vicino a tutti e non lo isola Sa che ognuno è soggetto a debolezze All’origine dell’humour cristiano c’è la fiducia in Dio misericordia le cui vie e i cui pensieri sono diversi da quelli degli uomini Il Natale dei Poveri, o Nostra Signora del Metrò (1945) Sul marciapiede del Metrò. La Santa Vergine (tiene il suo piccolo Gesù tutto imbacuccato) Già 1945 anni! E come si somigliano gli uomini... e come soffrono! E come vorrei consolarli con questa consolazione unica, con questa consolazione vecchia di 1945 dia che nasce stanotte guarirti e sal- varti. (A una signorina molto chic) Signo- ra, abbiate la carità di ospitarci da voi, il mio bimbo e io; siamo soli a Parigi stanotte. La signorina Stasera non sono a ca- sa. Non sono mai a casa. Come po- trei ricevervi? Ma poi, povera fi- gliola, come avete potuto pensare di avere un bambino, al giorno d’oggi? La Santa Vergine Dio abbia pietà di te, piccola donna senza casa, picco- la donna senza figli. Come ti potrà incontrare, se non sei mai a casa? Come conoscerai il suo amore se non sei mai stata madre? Sono tutti uguali tutti uguali! (A una piccola donna molto molto semplice) In quel tempo, tutta la terra era come una solitudine e le campagne attendevano ciò che do- veva accadere. E stava scritto: la so- litudine sarà nell’allegrezza, trasali- rà di gioia e di lodi. La donna Chi può mai parlare di allegrezza nella solitudine? La soli- grande visita dell’eterno amore, dell’eterno amico. Ti piacerebbe, fi- gliolo mio, restare vicino al mio bambino e a me perché lo incon- triamo insieme? (A un vecchio signore) Ai confini del- la terra, dei re già sapevano la gran- de notizia. Stava scritto: «Poiché le tenebre copriranno la terra, e l’oscu- rità i popoli, ma su di te si leverà il Signore e in te si vedrà la sua glo- ria. Le nazioni cammineranno alla tua luce e i re allo splendore del tuo amore». Il vecchio signore Sì, le tenebre co- prono la terra, sì il cielo è pieno di stelle, ma quella che attendiamo non c’è. Sì, noi siamo sapienti di molte cose, ma tutte le nostre sco- perte che avevamo perseguito con amore perché il mondo fosse più bello, perché il mondo fosse miglio- re, gli uomini, come bambini catti- vi, ne hanno fatto armi terribili e, con esse, hanno cambiato la terra in un luogo di terrore. Quando mai si leverà la stella del pacifico domina- tore della terra a cui doneremo i nostri tesori, come oro come incen- so come mirra perché servano final- mente a una benevolenza uni- versale? La Santa Ver- Lettera a un veterinario (1954-1955) Egregio signore, In cinquant'anni di vita ho avuto il piacere di ricevere le cure di dieci medi- ci. Ho avuto occasione di incontrarne due di umani: sono morti purtroppo e non posso sperare di avere una terza oc- casione. So per certo che: ho un caratte- re da cani; la testardaggine di un soma- ro; il temperamento di un cavallo. Men- tre al contrario sono sicura di non essere un superuomo e stanca d’essere trattata come tale. Ecco perché un veterinario mi pare meglio adatto alle mie necessità. Spero che lei non mi rifiuterà i suoi consigli. Se anche, nel peggiore dei casi, avessi la testa bacata, preferirei un inset- ticida alla psicanalisi. anni, con questa eterna consolazio- ne in cui così pochi fra di loro vengono a cercare la pace. Sempre gli stessi, come a Be- tlemme, i ricchi e i poveri, i sa- ni e i malati, i donati e i ven- duti, i liberi e i prigionieri. E questi infelici, tutti questi in- felici che non conoscono la loro consolazione, e questi poveri felici, questi falsi felici che non vogliono es- sere consolati. E sento sul cuore il mio bambino che sembra lan- ciarsi verso di loro. For- zerà la porta del loro cuore? Apriranno la por- ta del cuore, questi infe- lici, per esser consolati, questi falsi felici per im- parare che hanno biso- gno di misericordia? (A una signora assoluta- mente “per bene”) Scusa- te, signora, sono sola a Parigi col mio bimbo pic- colo. Potreste ospitarci sta- notte, che è Natale? La signora Mi dispiace tanto, brava donna, ma stasera viene da me tutta la mia famiglia, fratelli, so- relle, figli, nipoti. Ognuno ha la sua parte di fuoco, di oca, di gioia. Dio sa che fatica ho fatto a prepa- rarla. Andate in via Cantagrel, scendete a Tolbiac; stanotte starete al caldo. La Santa Vergine Dio abbia pietà della vostra felicità, mia povera donna. (A un signore molto molto ricco, che ha certamente delle fabbriche) Signo- re, per favore, potreste prendermi da voi, me e il mio bimbo piccolo, per la notte? Siamo soli a Parigi. Il signore, tendendo l'orecchio Come? La Santa Vergine Per favore, potre- ste... Idem? Il signore Come? La Santa Vergine Idem. Il signore Strano, non sono mai sta- to sordo e però non riesco a sentire quel che mi dice questa donna. La Santa Vergine Dio abbia pietà di te, povero uomo. I soldi hanno fat- to marcire le orecchie del tuo cuore. Il tuo cuore è devastato come il vi- so del lebbroso. Possa la misericor- gine Sta scritto: «Le montagne ricevono pace per il popolo e le colline giustizia». Stanotte, è Natale. E la grande visita dell’eterno amore, dell’eterno ami- co. Volete, signore, restare stanotte con noi perché lo riceviamo insie- me? Si radunino attorno a noi, gli innumerevoli esseri che sono soli, vengano con noi tutti coloro che hanno in sé qualcosa di buono da donare, e non sanno a chi, vengano con noi i nuovi magi, i sapienti alla ricerca della pace. Restate vicino a me, amici miei, non vi ho mostrato il mio bimbo, presto lo vedrete me- glio. Seguitemi: prendiamo il prossimo metrò. Insieme scenderemo a Porta d’Ivry; sapete, Ivry la rossa, il rosso è il colore della carità, è il colore dell’amore. Insieme scenderemo per rue de Pa- ris, ci fermeremo alla vecchia chiesa che, da molti secoli, s’illumina la notte di Natale. E là vi mostrerò mio figlio. Ve lo mostrerò come il bambino che na- sce, ma ve lo mostrerò anche come il Salvatore del mondo che da due- mila anni visita senza sosta il mon- do perché gli uomini lo conoscano, perché gli uomini lo amino, e, amandolo, imparino ad amarsi gli uni gli altri, come lui stesso li ha amati per primo. Ve lo mostrerò e voi sarete guariti dalla vostra solitudine e avrete un maestro e avrete una guida. E ritornando alle vostre case, nelle strade, nel mondo, a vostra volta, a tutti, voi insegnerete, voi griderete, voi canterete la buona novella: Un bambino è nato per noi. Ci è stato dato un salvatore. Rallegriamoci. E siamo nell’allegrezza! He Qui, «Marta e Maria» pensa che esso esista. La morte sca- va la solitudine. L’amore spezza la solitudine una volta. Cento volte, la fa più grande. Nel lavoro, solitudine; nella giovi- nezza, solitudine. Sono stata una ragazza che gli altri lasciavano sem- pre da parte, una ragazza senza gioia, una ragazza senza mamma. Sono stata una ragazza senza amo- re. Sarò una vecchia senza figli so- la, ancora sola, sempre sola... La Santa Vergine Sta scritto: Ri- prendete coraggio, sgorgheranno acque nel deserto, e torrenti nella solitudine. La terra arida si cambie- rà in uno stagno e la terra secca in fontana d’acqua, dice il Signore on- nipotente. Stanotte, è Natale. E la grande visi- ta dell’eterno amore, dell’eterno amico. Non vi piacerebbe, signora, passare la notte con me perché lo riceviamo insieme? (A un ragazzone con gli occhi chiari) In quel tempo, i pastori attendeva- no colui che avrebbe accolto le loro offerte, tutte queste cose bianche e dolci: i loro agnelli, il latte, il bur- ro, la panna, il formaggio. Portava- no tutto ciò che di meglio avevano a Colui che stava per venire. Il ragazzone Verrà qualcuno un gior- no a cui possiamo dare quel che c’è di buono in noi? Questi ci chiedo- no i nostri quattrini, quelli il nostro lavoro, degli altri la nostra rabbia, altri delle volgarità, altri delle buf- fonate, chi ci chiederà il nostro cuo- re? Lo si scorda sempre ed esso si stufa come un cane guaisce nella cuccia aspettando il ritorno del pa- drone. La Santa Vergine «Ti ho amato di amore eterno e ti ho attirato a me». Stanotte, è Natale. Stanotte, è la tudine è dovunque. Fra poco, nel vagone del metrò, stare- mo appiccicati gli uni agli altri. Sa- remo più soli di un uomo sperdu- to in mezzo al de- serto. Fra poco, nel- la casa dove abitiamo in trecento, nessuno sarà amico. Il nostro cuore è come rinchiuso dentro mura di cemento. Nessuno Sapendo quel che siamo, sarebbe davvero ridicolo se non conservassimo un po’ di humour nel nostro amore. Perché siamo personaggi proprio comici. Ma poco disposti a ridere della nostra stessa buffoneria. Signore, ti amo più di tutto... in generale... ma quanto più di te, in questo breve minuto che sta passando, una sigaretta inglese... o anche una nazionale! Signore, ti dono la mia vita, tutta la mia vita... ma non questo piccolissimo pezzo di vita, questi tre minuti in cui non ho tanta voglia di andare a lavorare. Signore, conquistarti la città, e la Francia e l’universo, consumarmi per il tuo regno... ma... ma non ascoltare questa insopportabile creatura che mi racconta per la centesima volta i suoi minuscoli guai. Sì, siamo eroi da opera buffa, e di questa commedia sarebbe normale che il primo pubblico fossimo noi. Ma la storia non finisce qui. Quando si scopre questa comicità impagabile, quando si scoppia a ridere ricapitolando la farsa della propria vita, viene la tentazione di abbandonarsi, senz’altro, a una carriera da clown per la quale dopotutto sembriamo assai dotati. Si sarebbe facilmente tentati di pensare che ciò non ha grande importanza e che accanto ai sublimi, ai forti, ai santi, vi sia posto per i pagliacci e i buffoni e che a Dio non dispiacciono affatto. Non è certo molto esaltante, ma nemmeno molto faticoso ed è anche un vantaggio. È allora che dobbiamo ricordare che Dio non ci ha creato per humour ma per questo amore eterno e terribile con il quale da sempre ama tutto ciò che ha creato. È allora che dobbiamo accettarlo, questo amore non per esserne il compagno splendido e magnanimo ma il beneficiario imbecille senza fascino senza fedeltà fondamentale. E in questa avventura della misericordia ci è chiesto di donare fino in fondo quanto possiamo, ci è chiesto di ridere quando questo dono è fallito, sordido, impuro, ma ci è chiesto anche di meravigliarci con lacrime di riconoscenza e di gioia, davanti a questo tesoro inesauribile che dal cuore di Dio scorre in noi. A questo crocevia del riso e della gioia si situerà la nostra pace indefettibile!

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