donne chiesa mondo - n. 35 - maggio 2015

L’OSSERVATORE ROMANO maggio 2015 numero 35 Sua madre confrontava tutte queste cose nel suo cuore donne chiesa mondo Donne e ironia «The advantages of being a woman artist»: era il 1988 quando il gruppo di artiste femministe radicali statunitensi Guerrilla Girls pubblicava un puntuto manifesto che con ironia elencava i vantaggi delle artiste donne rispetto ai colleghi maschi. Lavorare senza la pressione del successo; sapere che la tua carriera potrebbe decollare dopo che avrai compiuto ottant’anni; avere la certezza che qualsiasi opera tu possa produrre, verrà comunque bollata come femminile; vedere le tue idee vivere nei lavori degli altri; avere più tempo per lavorare quando il tuo compagno ti lascerà per una donna più giovane; non correre l’imbarazzante rischio di venire definita un genio; avere l’opportunità di scegliere tra carriera e maternità; non essere incastrata in una posizione accademica. Esprimendo con un sorriso amaro la frustrazione che tante donne — anche non artiste — Il dono di ridere A colloquio con madre Ignazia Angelini, badessa del monastero benedettino di Viboldone di C RISTINA U GUCCIONI Una Chiesa capace di umorismo, che si mette dietro a Gesù imparando da lui a sorridere, a ridere, e non teme di farsi col- pire e ammaestrare dalla sua sottilissima ironia, è balsamo benefico per questo oc- cidente triste e malinconico, ammalato di narcisismo. Dell’importanza dell’umori- smo scrive nel libro Mentre vi guardo ma- dre Ignazia Angelini, badessa del mona- stero benedettino di Viboldone che affer- ma: «L’arma più potente contro il risenti- mento è l’umorismo, un esercizio virtuoso indispensabile». Cosa intende per risentimento? Mentre il sentimento è la percezione di me stessa come toccata e visitata dall’altro che mi chiama e mi riguarda, il risenti- mento nasce quando mi ripiego su me stessa, concentrata sulla percezione dell’al- tro come insidia che mi disturba e invade. Per evitare il risentimento è necessario mettere in discussione l’io autoreferenzia- le, accettare i propri limiti, riconoscendo che la presenza altrui chiama quella parte di me che non conosco. Bisogna essere di- sposti all’avventura di scoprirsi persona che si riceve, persona in uscita, la cui vo- cazione originaria è di esistere come rispo- sta. Questo è un passaggio fondamentale nella vita cenobitica: esistere ricevendosi attraverso altri. Pare cosa da nulla, ma ri- chiede molto tempo. L’umorismo nasce dalla percezione dei limiti propri e altrui, e dalla percezione di sé come dono e ri- sposta. È la capacità di ridere di situazioni paradossali in cui ci si scopre seduti per terra come «statua in frantumi», per usare l’espressione di Teresa di Lisieux: l’ironia, il risus — fondamentalmente sempre pa- schalis — è la capacità di vedere i propri confini e benedirli, perché ci fanno scopri- re legati a un infinito amore che chiama per nome e rigenera. È dunque cosa ben diversa sia dall’ironia beffarda, dal sarca- smo cinico, sia dal riso vano che banalizza l’umano. L’umorismo come espressione di decentramen- to da sé, antidoto tanto al narcisismo quanto incontro con Benedetto è tutto nel segno dell’ironia. Possiamo considerare l’umorismo come espres- sione della «scioltezza cristiana di cui è ga- rante lo Spirito», della quale scriveva il car- dinale Martini? In questo senso si può affer- mare che l’umorismo si accompagna ai doni dello Spirito? Sì. Ritengo che questa scioltezza sia raf- figurata in maniera icastica nel giovane Marco che nella notte della passione fug- ge lasciando il lenzuolo, sgusciando via dalla violenza con la leggerezza di una nudità disarmata. La scioltezza è la capa- che riservava ai discepoli cocciuti e agli interlocutori polemici. Soprattutto, penso a Luca , 10, 20, che considero un vertice: quando i discepoli tornano dalla missione soddisfatti dei successi ottenuti, lui, con un sorriso, dice: «Non rallegratevi per questo, rallegratevi piuttosto perché i vo- stri nomi sono scritti nei cieli». E poi esulta di gioia nello Spirito Santo rivol- gendo quella magnifica lo- de al Padre, che descrive la buona notizia e il capovol- gimento delle logiche del mondo. Gesù ride dei trionfi degli inviati e gioi- sce della loro piccolezza. Dio vuole essere amato, non subìto: sorride e ride, e desidera farlo con noi. Le capita di ri- dere o sorridere con Dio? Fu così che cominciò: con un sorriso. Perché Dio, alla brezza della sera, cercava Adamo? Non certo per discutere: voleva gustare insieme a lui la meraviglia del mondo, che aveva creato e visto essere co- sa bella e buona. Si saranno scambiati sguardi e sorrisi compiaciuti, di felicità. E penso che Dio si sia divertito e abbia sor- riso ancora una volta di compiacimento quando, conducendo Eva, ha visto Adamo esplodere di contentezza. In alcune circo- stanze succede di stare davanti a Dio ri- dendo con lui: a me capita, ad esempio, tutte le volte in cui percepisco il mio limi- te e comprendo che è fecondo non per il mio impegno o i miei sacrifici, ma perché Dio lo benedice e si china con dilezione su ciò che è nulla. «Per un Iddio che rida come un bimbo, tanti gridi di passeri tante danze nei rami. Un’anima si fa senza più peso, i prati hanno una tale tenerezza, tale pudore negli occhi ri- vive, le mani come foglie s’incantano nell’aria… Chi teme più, chi giudica?» scrive Ungaretti. In questi versi, che mi sono cari, si re- spira la leggerezza di cui dicevo, insieme all’innocenza. Questo Dio sorridente ridi- colizza la seriosità di chi si crede adulto perché giudica e cataloga tutto e tutti. La tentazione di etichettare, incasellare le per- sone in categorie ben definite nasconde sempre volontà di dominio. Invece la nar- razione biblica muove da altri parametri, non ha bisogno di inquadrare: è intrinse- camente simbolica. Le dinamiche della ri- velazione sono paradossali, sono quelle della gratuità, del perdono: dal piccolo re- sto comincia tutto, dove abbonda il pecca- to sovrabbonda la grazia... L’assunzione di queste dinamiche permette una narra- zione del reale che non ha bisogno di ca- taloghi, ma solo del soffio, che non sai da dove viene né dove va. Lo Spirito ha un umorismo sottilissimo. Per evitare il risentimento è necessario mettere in discussione l’io Riconoscendo che la presenza altrui chiama quella parte di me che non conosco Colpisce l’ironia affettuosa e tagliente che Gesù riservava ai discepoli cocciuti e agli interlocutori polemici Nata nel 1944, madre Ignazia Angelini, marchigiana e milanese di adozione, dal 1996 è badessa del monastero di Viboldone, in provincia di Milano. Ha insegnato Storia della spiritualità alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. Fra le sue pubblicazioni, Mentre vi guardo (Einaudi, 2013), Nei paesaggi dell’anima (Vita e Pensiero, 2012), Donne in cerca di Dio (La Scuola, 2011), Un silenzio pieno di sguardo (Edizioni Dehoniane, 1999). donne chiesa mondo alla paralisi: non si riesce più ad andare avanti. Anche il dolore eccessivo può pie- trificare ma, per quanto possa sembrare paradossale, se vissuto nella fede, non è in contrasto con l’umorismo: il dolore non indurisce al punto da non scorgere più al- cun orizzonte. Penso a Gesù nel momento più doloroso della sua esistenza: immagi- no un sorriso buono sulle sue labbra quando dice ai suoi: «Non siete stati ca- paci di vegliare con me una sola ora?» e poco dopo aggiunge: «Dormite pure». Quel sorriso rivela che l’amore è più gran- de dei limiti dei discepoli, li include e li riscatta. Il rinnegamento di Pietro è com- preso nel dono della propria vita che Ge- sù ha annunciato durante l’ultima cena. Il Cristo che sorride , splendida scultura lignea custodita nell’abbazia di Lérins, è segno eloquente. Dunque mi pare si possa affer- mare che l’umorismo — nel senso fine si- nora descritto — è dono dello Spirito: po- tremmo includerlo nella sapienza, che ci rende capaci di cogliere il sapore delle co- se, di vederne i limiti ma anche la portata simbolica, o nella pietas , che è questo sen- so buono di appartenenza — espropriata di sé — alla relazione con Dio e con l’al- tro. Ironia e riso abitano le pagine della Scrittu- ra: può ricordarne alcune a suo giudizio si- gnificative? Penso ad esempio a Sara: il riso è il pri- mo sentimento che nasce in lei con l’an- nunciata maternità. Sara scoppia a ridere proprio perché il figlio che sta per ricevere e che tanto aveva desiderato è dono para- dossale. Ma penso anche alle donne guer- riere come Debora o alla cananea di fron- te a Gesù. L’umorismo attraversa la Scrit- tura — spesso in figure minori — come espressione della percezione che il filo del- la storia procede su logiche paradossali perché condotto dall’alto, dalla Grazia, non dalla forza dei potenti. Significative sono le molte situazioni che insegnano a cogliere i propri confini come confini sim- bolici, che non schiacciano nella limitatez- za ma aprono alla trascendenza, secondo le logiche del dono e della fede, non se- all’orgoglio spirituale, traduce l’esperienza di sapersi custoditi nelle mani di un Dio affida- bile. Proprio così. Non siamo l’ombelico del mondo, siamo in un margine, che però si scopre essere margine benedetto e amato. Chi non ha nulla da difendere in quanto sa di essere difeso e ospitato dalle mani affidabili del Signore non ha la preoccu- pazione della propria faccia, non cerca nell’altro la conferma di sé: questi sa ride- re davvero, a cuore largo. I santi sono do- tati di grande umorismo: penso ad esem- pio a Filippo Neri o a Teresa d’Ávila. E non posso dimenticare Scolastica: il suo ha detto Papa Francesco. Quali sorrisi di Gesù la colpiscono maggiormente? Quelli che rivolgeva ai bambini e ai pic- coli; e quelli destinati ai discepoli impac- ciati, nei quali vedeva la vulnerabilità e, insieme, la fedeltà indefettibile del Padre e l’impronta della sua trascendenza. Mi col- pisce anche l’ironia affettuosa e tagliente incontrano nel corso della propria vocazione e del proprio lavoro, questo manifesto resta l’espressione di un’arte, quella dell’ironia, che nel corso dei secoli ha visto le donne in prima linea. Non solo come vittime, ma anche come fustigatrici. La tradizione cattolica non è stata da meno: l’arma dell’ironia femminile ha giocato — e continua a giocare — un ruolo importante, sia per sdrammatizzare che per denunciare. Da Teresa d’Ávila a Flannery O’Connor, da Madeleine Delbrêl a Teresa di Lisieux: al di là dei secoli e delle latitudini, dell’età e del carisma, l’ironia ha permesso a tantissime donne di puntare l’attenzione su vizi, sogni, pregi e carenze, con forza ma senza rancore. E a proposito di varietà in termini di latitudini, età e carismi, in occasione del terzo compleanno, «donne chiesa mondo» fa un passo importante, nel tentativo di completare il suo sguardo, dando ancora più spessore alle tre parole del titolo, scritte senza maiuscole e senza virgole. Da questo numero, infatti, nella redazione entrano suor Catherine Aubin, teologa francese domenicana, suor Rita Mboshu, teologa congolese delle Figlie di Maria Santissima Corredentrice, e Silvina Pérez, giornalista argentina. Una Chiesa, tre candeline, sei donne e un bel po’ di ironia. ( giulia galeotti ) cità di relativizzare se stessi, accettarsi sempre in movimento, certi che in ogni esperienza, anche la più dura e difficile, vi è sempre un oltre che chiama. Percepire i confini di una situazione consente di at- traversarla con maggiore speditezza. A rendere l’uomo pesante è la ricerca di sé e di autosalvazione che impedisce di supera- re le ferite dell’io e le delusioni, portando condo quelle dell’eroismo e dell’autoreferenzialità. La mon- danità spirituale, che Papa Fran- cesco stigmatizza, è l’autorefe- renzialità segnata da una seriosi- tà e da una rigidezza prive di umorismo, che invece è il sale di relazioni salde e affidabili. «Non siamo tanto abituati a pen- sare a Gesù sorridente, gioioso»

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