donne chiesa mondo - n. 32 - febbraio 2015

women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women L’OSSERVATORE ROMANO febbraio 2015 numero 32 Inserto mensile a cura di R ITANNA A RMENI e L UCETTA S CARAFFIA , in redazione G IULIA G ALEOTTI www.osservatoreromano.va - per abbonamenti: ufficiodiffusione@ossrom.va donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo Lacrime di forza Le donne dinnanzi alla povertà di S ILVIA G USMANO L a storia dei comedores di Villa el Salvador — periferia sud di Lima — è una storia di resistenza e fra- tellanza, di emancipazione e lotta alla fame, di coraggio e inventiva. Tutta al femminile, o quasi. A raccontarcela, infatti, è un uomo, un sacerdote che nel 1985, «con un bel salto» passa da una parrocchia alla periferia di Roma a una baracca sulla co- sta peruviana e vive in prima persona una ri- voluzione da non dimenticare. Oggi don Ga- spare Margottini abita e, instancabile, lavora tra i poveri delle Ande, a 3500 metri, ma de- gli esordi della sua missione ricorda ogni det- taglio. La Villa el Salvador, dove arriva trent’anni fa e rimane sino al 1997, è un girone infernale sull’oceano progettato a tavolino nel 1971 per liberare alcuni terreni dall’occupazione abusi- va dei più poveri tra i poveri, a vantaggio di un pugno di ricchi. Dopo un’opposizione dura e dolorosa che vede anche l’arresto di monsignor Luis Bambarén, simbolo di quella Chiesa che in America latina si è schierata con forza al fianco degli ultimi, lo sfollamen- to diventa inevitabile. Migliaia di persone, divise in settori da 384 famiglie, vengono tra- sferite nel deserto a sud di Lima, in un am- masso di baracche che sulla carta ha le sem- bianze di un quartiere moderno, ma di fatto diventa una gigantesca bidonville. Le abita- zioni restano precarie, l’acqua arriva solo una volta a settimana, in molti punti mancano le fogne e le scuole sono capanne spoglie dove chi ne possiede uno si porta il banchetto da casa. Poche settimane dopo il trasferimento di don Margottini, tuttavia, arriva provvidenzia- le la visita di Giovanni Paolo II . L’esclama- zione del Papa alla vista dall’alto di Villa el Salvador svela al mondo intero lo scandalo di quell’ennesimo ghetto: «Come vive tutta questa gente!». Più di due milioni di persone accolgono il Pontefice il 5 febbraio 1985 e quando lascia il suo discorso scritto per guar- darle negli occhi e parlare a braccio, il loro silenzio si scioglie in lacrime e applausi. Hambre de Dios, sí. Hambre de pan, no , affer- ma con forza il Papa. Fame di Dio, sì; fame di pane, no. Non si può accettare. Una nuova linfa vitale inizia a scorrere sot- to quella sabbia, la solidarietà diventa la pri- ma arma della lotta alla miseria e la sua espressione più alta sono i comedores , le men- se popolari. Ogni settore ne ha una e grazie all’aiuto della Caritas e della sua responsabi- le, suor Rosa Ballon, il comedor diventa pun- to di raccolta e riscossa delle donne di Villa el Salvador. Con un’efficienza sorprendente, madri, figlie, sorelle si dividono in comitati, eleggono le proprie rappresentanti e contabi- li, si organizzano in turni e prendono in ge- stione gli aiuti della Caritas, essenzialmente farina, olio e lenticchie. Poi, procurandosi il resto con piccoli contributi familiari, iniziati- ve di beneficenza e molto ingegno, riescono giano riso, legumi o zuppa di verdure, arricchita solo nelle grandi occasioni con il pollo. Don Gaspare ricorda divertito una gita con i pic- coli della sua parrocchia — quelli del settore sei — e la felicità di una bimba nello scoprire al momento del pranzo che la sua zuppa era piena di pezzi di carne. «Zio — gli disse secondo l’usanza — qui il pollo c’è veramente. Falla tutti i gior- ni così!». Anima dei comedores sono le riunioni del mercoledì, iniziate per organizzare mansioni e turni della cuci- na e proseguite per far fron- te ai problemi sempre nuovi della comunità. Le mura domestiche di ogni donna si allargano sino a circoscrive- re un unico grande spazio dove pene e disgrazie si di- stribuiscono sulle spalle di tutte. Insieme si decidono di volta in volta i casi socia- li, ossia coloro che non pos- sono permettersi neanche il piccolo contributo richiesto dalla mensa e vengono aiutati dalla parrocchia. E insieme si trovano soluzioni. «Le donne sapevano tut- to» racconta don Gaspare. Se qualche padre perde il lavoro, la sua famiglia ha diritto al pasto gratuito. Se qualcuno è malato di tu- bercolosi, molto denutrito, incinta, riceve una zuppa più sostanziosa e una razione in più di lenticchie. Alle cinque, finita la riunione, «tutte scappavano per aspettare il rientro del marito, neanche fosse il re» ricorda il missio- nario, ma intanto nelle due ore precedenti avevano dato una bella spallata al maschili- smo che le opprimeva. Condividendo ingiu- stizie e umiliazioni — nell’85 per cento dei casi la violenza era familiare — molte di loro iniziano a rivendicare i propri diritti e impa- rano a difendere se stesse o le compagne da- vanti al giudice di pace. I comedores diventano così il punto di par- tenza di un profondo percorso di emancipa- zione, una macchina da guerra per costruire la pace che dà il meglio di sé nel frangente più critico della storia del Perú. Mentre, a partire dal 1987, l’economia precipita, l’infla- zione e la fame raggiungono livelli mai im- maginati, gli attentati di Sendero Luminoso insanguinano il Paese e le sparizioni sono all’ordine del giorno, i comedores di Villa el Salvador si moltiplicano e si rafforzano. Dai diamanti non nasce niente, cantava De An- drè. Sulla sabbia di Villa el Salvador nascono i fiori. Anche se non sempre fila tutto liscio, spiega don Margottini: «C’erano donne che rubacchiavano o approfittavano del proprio turno in cucina. Ed è importante dirlo, per- ché in realtà così estreme, le contraddizioni sono inevitabili e non c’è da scandalizzarsi». Ciò che conta è l’insieme, lo spirito di co- munità che riesce in imprese altrove impossi- bili. Quando nel 1991 arriva l’epidemia di co- lera i morti di Villa el Salvador sono molti meno rispetto alla media nazionale. «Veniva- no i medici a spiegarci le precauzioni neces- sarie. “Lavatevi continuamente le mani” dice- vano. E noi che vedevamo l’acqua una volta a settimana, sorridevamo. Eppure grazie a una fitta e organizzata collaborazione tra le donne dei comitati, i medici, gli infermieri, i volontari si è evitata l’ecatombe». Certo, si aggravò la disidratazione, un problema che l’estate affliggeva soprattutto i bambini. «A volte — racconta il sacerdote — mi chiamava- no per un’estrema unzione e mi accorgevo che non era tempo di morire ma solo di be- re. Quante vite salvate con un litro d’acqua e un po’ di sale e zucchero!». Quando la povertà raggiunge l’apice, dal 1990 al 1992, Villa el Salvador, grazie alle sue donne, si distingue ancora. Il Governo deci- de di concedere il cherosene gratuito a tutti i comedores del Perú e la Caritas si trova davan- ti al grande problema di come distribuirlo evitando furti e sprechi. Ancora don Gaspare Margottini: «Ricordo una riunione molto te- sa con Caritas nazionale. Al mio fianco, oltre a suor Rosa, un rappresentante del popolo, tanto robusto quanto sulla difensiva. In ma- no stringeva le chiavi dei quattro distributori di cherosene di Villa el Salvador e quando colse la diffidenza nei suoi confronti le tirò sul tavolo proprio davanti al presidente di Caritas. Come a dire: “Se non vi fidate, pen- sateci voi”. E alla fine ci pensammo tutti in- sieme, con un imponente lavoro di squadra. In una settimana ci eravamo organizzati, mentre nel resto del Paese ancora discuteva- no il problema. All’alba interminabili file di donne attendevano la razione di cherosene per il loro comedor . Io passavo a distribuire i biglietti per il ritiro e alla mezza il pranzo era pronto». Così Villa el Salvador, con tenacia e digni- tà, tira avanti fino al 1992 quando l’economia inizia molto lentamente a riprendersi e l’emergenza fame si attenua, anche se la mise- ria resta e ancora oggi, quando quella perife- ria nel deserto conta quattrocentomila abitan- ti, affligge larga parte della popolazione. I co- medores diminuiscono, pian piano chiudono, ma alcuni vengono convertiti in ristorantini a menù fisso, dove per un sol e mezzo la pro- prietaria offre un pasto completo e un’acco- glienza gioiosa. Nel frattempo, le donne arte- fici del destino della comunità per oltre un decennio, sono profondamente cambiate. Molte di loro entrano in politica o continua- no a lottare per un mondo più giusto. A ispi- rarle l’esempio di Maria Elena Moyano, cre- sciuta tra i fumi e i profumi dei comedores dall’età di dodici anni, divenuta vicesindaco di Villa el Salvador e fatta esplodere il 15 feb- braio 1992 davanti ai suoi figli in un attentato di Sendero Luminoso. Il giorno prima aveva risposto allo sciopero armato dei guerriglieri contro l’autonomia dei comedores , organizzan- do una marcia della pace. Il giorno dopo, ai suoi funerali partecipano migliaia di persone. «Noi donne — ha scritto — abbiamo molta forza. Crediamo in quello che stiamo co- struendo, non bisogna avere paura. Le cose non sono facili, ma nemmeno impossibili». Il romanzo La Mennulara La Mennulara è la raccoglitrice di mandorle, la più povera delle povere. Di lei — Maria Rosa Inzerillo — e della sua vita nella Sicilia degli anni Sessanta racconta il romanzo di Simonetta Agnello Hornby, La Mennulara (Feltrinelli, 2002). La Mennulara è una donna rude e ispida, ma intelligente e dotata di una straordinaria forza di volontà. L’autrice ne scolpisce il suo ritratto nella pietra: Maria Rosa non conosce debolezze, non si permette sentimenti e, proprio per questo suo carattere, riesce — lei umile e semianalfabeta — a diventare prima domestica, poi governante e infine amministratrice di una facoltosa e nobile famiglia siciliana. Anche in una vita che sembra ridotta al lavoro, alla fatica, all’abnegazione, che comprende solo durezze, s’intravedono rapporti segreti, sentimenti forti, disperazioni senza parole. Con la sua morte il mistero sulla sua persona s’infittisce. Perché la Mennulara che ha governato i beni di una nobile e ricca famiglia in vita riesce a farlo anche dopo la sua morte, preservando proprietà, terreni, rendite e futuro anche agli ultimi eredi. La sua lotta contro la povertà non ammette tregua. ( @ritannaarmeni ) Il film The Inn of the Sixth Happiness Darà ai bambini poveri cinesi, molti dei quali orfani, una ragione per vivere, dopo tanta paura e sofferenza: è coronata da successo la coraggiosa opera della cameriera inglese Gladys Aylward — interpretata da una straordinaria Ingrid Bergman nel film, del 1958, The Inn of the Sixth Happiness , tratto dal romanzo di Alan Burgess — che, durante la prima guerra mondiale, decide di andare in Cina per fare la missionaria con l’obiettivo di diffondere il cristianesimo. In patria si dovrà scontrare con il ruvido scetticismo di chi la circonda. Non si scoraggia, lavora instancabilmente per guadagnare i soldi per il biglietto del viaggio: salirà quindi su un treno che attraversa anche la Siberia. Una tappa che presenta gravi rischi ma che non scoraggia la missionaria. Una volta in territorio cinese, Gladys dovrà superare non poche difficoltà per inserirsi nel nuovo scenario: saprà, con pazienza e determinazione, vincere la diffidenza della gente e delle istituzioni locali. E dalla diffidenza si passerà all’amore per questa intrepida cameriera: un amore contraccambiato anzitutto dai tanti bambini che ella si è prodigata ad aiutare. (gabriele nicolò) M ANUALI PER LE MADRI JIHADISTE Il ruolo delle donne nel jihad: è questo il titolo di un manuale presentato di recente su internet dal gruppo estremista dello Stato islamico che continua ad addestrare bambini soldato. Il testo — che proibisce ai piccoli il computer, il canto, il ballo, la televisione, mentre incoraggia a dedicarsi a tutto ciò che possa essere utile in un combattimento come le arti marziali, il nuoto, il tiro con l’arco, l’equitazione, gli esercizi di sopravvivenza — spiega alle donne jihadiste come orientare gli ideali dei minori e la loro visione del mondo affinché diventino buoni combattenti. Giacché all’età di 7 anni i piccoli sono già meno ricettivi, spiega il manuale, la formazione e l’apprendimento di idee jihadiste deve iniziare presto. Il manuale — descritto dall’Istituto di ricerca dei media del Medio oriente — mette allo scoperto crudeli metodi di reclutamento di minori: i figli dei membri dello Stato islamico vengono mandati in campi dove imparano a maneggiare le armi da fuoco e a decapitare i nemici. Un piccolo eroe è stato di recente celebrato: nel video circolato in rete a metà gennaio, si vedeva un minore di non più di dieci anni “giustiziare” con la pistola due spie adulte. Una tragedia nella tragedia: alle vittime freddate, infatti, va sommata la terza. Il bambino stesso. I NIZIATIVE IMPRENDITORIALI IN C OSTA R ICA In Costa Rica l’ultimo censimento nazionale delle famiglie conferma come il tasso di disoccupazione nel Paese centroamericano sia molto più alto tra le donne rispetto agli uomini. Tra le famiglie che vivono in condizioni di povertà, il 43,3 per cento è guidato da una donna, il 33 per cento delle quali è in condizione vulnerabile. Per far fronte a questa situazione il programma Ideas Productivas sta avviando diversi progetti coinvolgendo circa 500 donne povere per dare loro una formazione aziendale come imprenditrici, favorendone la formazione e le capacità. I programmi coinvolgono l’agricoltura, l’arte di riciclare materiali usati, l’estetica, il disegno grafico, la toilettatura per cani, la bigiotteria, come anche la conduzione di negozi. U N CENTRO A D OSSO PER DONNE E BAMBINI Nel tentativo di migliorare la copertura sanitaria della regione di Dosso, nell’estremo sud-ovest del Niger, è nato un progetto per la costruzione di un centro medico- sociale al fine di garantire il benessere di donne e bambini: un ospedale per le cure di base, con reparti di maternità, pediatria e centro nutrizionale; un programma di formazione per ostetriche, assistenti al parto a domicilio (una per villaggio), pediatri e nutrizionisti. È stato il Movimento per la lotta contro la fame nel mondo ad attivare il piano, insieme alla diocesi di Lodi, la Conferenza episcopale italiana, la diocesi e il ministero della Salute pubblica nigerino. Il progetto interessa innanzitutto le mamme, che verranno aiutate a partorire in sicurezza presso il centro o a domicilio, ma coinvolgerà più in generale tutto il personale che ruota attorno a gravidanza e nascita. Ne saranno beneficiari i cinquantamila abitanti della periferia di Dosso e i circa quarantamila abitanti dei 56 villaggi che si trovano nel raggio di trenta chilometri dal dispensario. Un totale, dunque, di circa novantamila abitanti, il 52 per cento dei quali sono donne. Tra gli obiettivi principali del progetto la riduzione dei tassi di mortalità infantile e materna, che in Niger sono tra i più alti al mondo, la facilitazione nell’accesso alle cure anche per le fasce più svantaggiate e, infine, la prevenzione della malnutrizione infantile. C ONTRO IL DILAGARE DEI PARTI CESAREI «In quanto medico, docente e ricercatore nel campo della politica sanitaria, credevo di essere alquanto esperta circa lo stato dell’assistenza sanitaria negli Stati Uniti. Eppure nulla mi aveva preparata all’esperienza di partorire». È dura, precisa e circostanziata la denuncia che Carla C. Keirns ha affidato alle colonne del «Washington Post». «Come puerpera, mi sentivo come si sentono tutte le mamme: responsabile per la creatura che stavo portando alla vita e desiderosa di fare tutto ciò che era nelle mie possibilità affinché mio figlio nascesse in salute». Allo stesso tempo però, confida la donna, «ero anche preoccupata: non volevo che, in nome della salvaguardia mia e del piccolo, la tecnologia medica e i dottori finissero per sottopormi a interventi non necessari». Il racconto è, di fatto, quello di un braccio di ferro: consapevole di come il parto sia «un’intricata danza di ormoni, muscoli ed emozioni», Keirns riesce a tener testa a medici, ostetrici e infermieri che le stanno attorno, partorendo il suo primo figlio per via naturale. Ma vi riesce con difficoltà. Le sue parole vibrano di sdegno, e rabbia, nel denunciare la realtà statunitense: 32 per cento di parti cesarei, contro quel 15 per cento che secondo l’Organizzazione mondiale della sanità sarebbe invece obiettivamente accettabile. I NSEGNANTI STUPRATE E UCCISE IN M YANMAR L’esercito del Myanmar ha torturato, stuprato e ucciso Maran Lu Ra (20 anni) e Tangbau Hkawn Nan Tsin (21 anni), insegnanti volontarie cristiane, appartenenti alla Kachin Baptist Convention (Kbc); la violenza è avvenuta il 19 gennaio nel villaggio di Shabuk-Kaunghka, nella cittadina di Mungbaw, nel nord-est del Myanmar. Le due donne, che provengono dallo Stato settentrionale (Kachin) dove continua l’esodo di migliaia di sfollati in fuga dalle violenze, sono state oggetto di attacco per la loro appartenenza etnica. I soldati hanno torturato e violentato a più riprese le due insegnanti volontarie cristiane, prima di ucciderle. Le ragazze — ha scritto Francis Khoo Thwe di Asia News — erano state inviate dai vertici della Kbc in quella zona remota per fornire istruzione ai bambini dei villaggi. In molte aree abitate da minoranze etniche, infatti, gli insegnanti statali scarseggiano e vengono sostituiti dall’instancabile opera di volontari appartenenti, nella maggior parte dei casi, ad associazioni cristiane. Centinaia di persone si sono riunite in preghiera, per un ultimo saluto alle due vittime. Testimoni oculari hanno riferito che l’esercito minacciava gli abitanti, intimando loro di non diffondere la notizia. Fonti cristiane Kachin, interpellate da AsiaNews dietro garanzia di anonimato, hanno ricordato il lavoro delle confessioni cristiane birmane a favore dell’istruzione fin dall’Ottocento: i volontari cristiani «non rifiutano mai di andare nelle zone remote, fra i più emarginati», comprese le aree teatro di guerre civili. «In molti hanno sacrificato la propria vita per la missione, ma non si era mai verificato finora che due insegnanti fossero stuprate e uccise». Il Myanmar è composto da oltre 135 etnie, che hanno sempre faticato a convivere in maniera pacifica, in particolare con il Governo centrale e la sua componente di maggioranza birmana. I saggi Dorothy Day «Quando avevo la vostra età e frequentavo l’università dell’Illinois — disse un giorno Dorothy Day (1897-1980) a un gruppo di studenti — i poveri potevano contare soltanto sulla carità dei ricchi. Mi ricordo che una volta chiesi a mia madre il perché di questa situazione; perché per alcune persone le cose non potevano andare meglio, perché alcuni possedevano tanto e altri tanto poco o nulla. Mi rispondeva sempre che non esiste spiegazione per le ingiustizie: le cose stanno così, semplicemente». Ebbene, concludeva l’attivista e giornalista statunitense, «credo di aver speso la mia vita tentando di far funzionare meglio le cose». Non si può affrontare il tema di donne e povertà senza ricordare gli scritti di questa donna, vissuta radicalmente con i poveri e per i poveri. «Non ci schieravamo con la grande massa dei cattolici che erano ben soddisfatti del mondo contemporaneo» scrive nella sua autobiografia Day ricordando i primi anni del Catholic Worker Movement da lei fondato: «Essi erano ben disposti a dare ai poveri, ma non si sentivano chiamati a lavorare per le cose di questa vita a favore di altri». Day, invece, lo sentì. E la sua vita e le sue pagine lo raccontano. ( @GiuliGaleotti ) Il fatto che il volto della povertà si femminilizzi nel mondo non è dovuto solo alla crisi economica ma anche alla crisi della famiglia Edward Hopper, «Young Women in a Studio» (1901-1902 circa) Solidarietà contro miseria Le mense popolari delle donne di Villa el Salvador alla periferia di Lima Finita la riunione tutte scappavano a casa per aspettare il rientro dei mariti Ma intanto nelle due ore precedenti avevano dato una bella spallata al maschilismo che le opprimeva Le mura domestiche si allargano sino a circoscrivere un unico grande spazio dove pene e disgrazie si distribuiscono sulle spalle di tutte Diaconia e spiritualità Hilde Kieboom è nata il 7 maggio 1965 a Wilrijk (Anversa). Ha studiato greco e latino, poi lingua e letteratura germanica all’università di Anversa e teologia nel Centro Teologico e Pastorale di Anversa e all’università cattolica di Lovanio. È sposata e ha due figli. Nel 1985 ha fondato nella sua città la comunità di Sant’Egidio, che aveva conosciuto dieci anni prima a Roma. Il 21 luglio 2003 re Alberto II le ha attribuito il titolo di baronessa per il suo impegno e due anni dopo l’università di Utrecht le ha conferito un dottorato honoris causa , per il modo in cui ha messo in pratica la diaconia e la spiritualità nella società moderna. Nel 2007 ha ricevuto dal patriarcato della Chiesa russa ortodossa l’onorificenza dell’ordine di Santa Olga per i suoi meriti nella Chiesa e nella società. Nel 2014 è diventata vice-presidente della comunità di Sant’Egidio. Diceva Madre Teresa, che ha dedicato la sua vita ai poveri e agli ultimi: «Non permettere mai che qualcuno venga a te e vada via senza essere migliore e più contento. Sii l’espressione della bontà di Dio. Bontà sul tuo volto e nei tuoi occhi, bontà nel tuo sorriso e nel tuo saluto. Ai bambini, ai poveri, a tutti coloro che soffrono nella carne e nello spirito offri sempre un sorriso gioioso». a mettere su ogni giorno la colazione per i bambini e un pasto per tutti. Nelle fredde mattine di nebbia che si susseguono a Lima tra maggio e dicembre, i più piccoli sulla strada per la scuola si fermano nei comedores , dove — novità assoluta — trovano due panini per ciascuno, avena e latte caldo. E lo stesso al ritorno, quando insieme ai familiari man- di H ILDE K IEBOOM «C i saranno sempre dei poveri in mez- zo a voi» diceva Gesù, certo non perché ci rasse- gnassimo alla loro sorte, ma piuttosto per avvertirci che, in qualsiasi luogo del mondo e in qualsiasi periodo della sto- ria umana, ci saranno sempre persone più deboli, vulnerabili e bisognose che inviteranno a vivere l’amore preferenzia- le per i poveri. Nessuno stato sociale, neanche quello più avanzato, può fare a meno dell’interdipendenza e della soli- darietà tra gli uomini. Il fatto che il vol- to della povertà si femminilizzi in molte città del mondo non è dovuto solo alla spiritualità nelle mentalità. La secolariz- zazione dei cuori non ha alienato i no- stri contemporanei solo da Dio, ma an- che dalle loro famiglie e dai concittadini più deboli: non s’impara a vivere con loro, se ne ha paura, si cerca di evitarli. Infine si ha paura della propria debolez- za e si diviene sprovvisti e indeboliti nell’ambito umano. Non è dovuto al caso che nel Vangelo le persone che accettano per prime il cammino della debolezza sono delle donne. Vedendo la sofferenza di Gesù, capiscono di non avere alcuna capacità di decisione, ma sono lì, e vegliano ai piedi della croce. Quale potere rappre- sentano agli occhi della società? Le donne hanno un carisma particolare per quel che riguarda l’accettazione della propria debolezza e della propria fragili- miti del suo essere e si sforza di utilizza- re i propri doni per creare una sinfonia chiara e limpida della sua persona. Riempie il mondo della sua presenza dal di dentro. (...) L’uomo travalica il suo essere, con il suo carisma di espan- sione. Aspira a raggiungere il massimo della sua potenza della quale riempie il mondo (...). L’istinto maschile di distru- zione “padre della guerra” può essere “accordato” dal femminile e sublimato in istinto di vita, di costruzione della cultura e del culto. (…) L’uomo di oggi disumanizza il mondo in tutte le forme di oggettivazione; ebbene, per l’istinto materno, qualsiasi oggettivazione è or- ganicamente impossibile. (…) La donna umanizza e personalizza il mondo (…). Difende sempre il primato dell’essere sulla teoria». Il ricco deve imparare nuovamente a vivere con la propria debolezza, che esi- ste malgrado tutto ciò che fa per na- sconderla. L’incontro con una persona anziana o malata ci aiuta ad accettare la nostra debolezza. Queste realtà ci co- stringono a interrogarci su ciò che sia- mo, su ciò che speriamo, su dove cer- chiamo e troviamo la nostra gioia. L’in- contro con il povero è un mistero che ci apre a Dio. «La guerra è la madre di ogni pover- tà» dice Andrea Riccardi, fondatore del- la comunità di Sant’Egidio. La pace, questo bene prezioso dell’umanità, è mi- nacciata da ogni lato, una parte impor- tante del mondo è oggi in fiamme. Quanti cuori non sono abitati da un ca- pitale di odio e di vendetta che attendo- no di poter esplodere, seminando così morte e distruzione? Oggi vediamo il deficit di un mondo che non ha investi- to molto sul vivere insieme e che si è abituato alla malattia della violenza e della guerra. I cristiani, che pur hanno ricevuto da Gesù la missione di essere artefici di pace, si sentono spesso con- dannati a essere spettatori di un mondo ingiusto e ingovernabile, e alla fine si rassegnano al pessimismo. Barbara Ehrenreich nel suo libro Riti di sangue. All’origine della passione della guerra precisa che la guerra è una delle attività più apertamente sessiste dell’umanità, a causa dello stretto vinco- lo esistente tra guerra e virilità. Le don- ne, le madri, le spose, le figlie vedono il dolore della guerra: la perdita delle per- sone care, le distruzioni. Le donne pian- gono durante la guerra; piangono perfi- no per quelli che non sono i loro figli; anche la Chiesa piange durante le guer- re. Nei tempi difficili di guerra, la Chie- sa mostra, per antonomasia, la sua ma- ternità, il suo lato materno, mentre gli uomini si uccidono a vicenda. Durante la guerra, la Chiesa mostra il suo profilo di madre. Ama la pace perché è madre. Maria è la figura materna che piange durante la guerra. Maria piange durante la guerra e risplende in tempi di pace. È felice alla nascita del Salvatore e piange ai piedi della croce. Le lacrime esprimo- no la sua disperazione, ma allo stesso tempo la forza di questa donna fragile, che è la madre di Dio. Le sue lacrime mostrano che l’umanità non accetta la guerra. Maria è venerata come la Regi- na della pace che rappresenta la speran- za del nostro mondo. Le lacrime, le grida di disperazione diventano richiesta e preghiera. I sin- ghiozzi sono una supplica di fronte alla quale Dio non resta sordo. Nella pre- ghiera affidiamo la nostra fragilità a Dio che ci rende forti nella fede e nell’amore al servizio degli altri. La preghiera è l’arma dei deboli e dei poveri. Ci trovia- mo qui di fronte a un grande paradosso della vita cristiana: la forza dei deboli e la debolezza dei forti. Come dice san Paolo, «quando sono debole, è allora che sono forte» ( 2 Corinzi , 12, 10). Essere presenti tra quanti soffrono è preghiera, è ascolto. Come dice Gesù, è crisi economica, ma anche alla crisi del- la famiglia: quante donne si vedono ob- bligate a portare da sole il peso dell’educazione dei figli? L’individualismo della nostra società fa aumentare il numero dei poveri. L’in- vecchiamento — fenomeno tipico del ventunesimo secolo su scala mondiale, fenomeno in gran parte femminile — che in una visione biblica della vita dovreb- be essere concepito come una grazia e un dono di Dio, è spesso percepito co- me un problema, che pesa sui bilanci dove si dovrebbe risparmiare. Non più produttivi, gli anziani vengono facil- mente cacciati dalle famiglie, dai quar- tieri, dalle reti umane, per essere con- dannati a una vita anonima in un istitu- to, come se la vecchiaia fosse una malat- tia. Quanti anziani soli ci sono dietro i muri delle case di riposo in Occidente? La solitudine e la disperazione di molte persone anziane diventano una nuova forma di povertà nella nostra società materialista. Allo stesso tempo questa povertà rive- la il deficit di cultura di vicinanza e di tà. Là dove nel Vangelo, per la prima volta, nasce una comunità attorno a Ge- sù, là ci sono le donne: sono ai piedi della croce. Mentre tutti i discepoli so- no fuggiti, loro trovano il coraggio di restare accanto a Gesù: «C’erano anche alcune donne, che stavano a osservare da lontano, tra le quali Maria di Mag- dala, Maria madre di Giacomo il mino- re e di Ioses, e Salome, che lo seguiva- no e servivano quando era ancora in Galilea, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme» ( Marco , 15, 40- 42). Ai piedi della croce nasce una fami- glia nuova, che possiamo considerare come la prima comunità cristiana. Là dove non si evita la sofferenza, là dove si accetta con fiducia la propria debolez- za, là dove la fragilità e l’impotenza si tramutano in preghiere al Signore, là nascono energie insospettate. Il grande filosofo e teologo ortodosso russo Evdokimov nel suo libro La donna e la salvezza del mondo dice: «Più inte- riorizzata, più legata alle radici, la don- na si sente subito a proprio agio nei li- Maria che si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta: la presenza accan- to a Gesù, l’ascolto della sua parola (cfr. Luca , 10, 38-42). Il nostro mondo, che è malato di violenza, di guerra e di solitu- dine, ha sete di amore, di conforto, di pace, ha bisogno di donne forti, di don- ne di fede. Evdokimov scrive: «La don- na salverà il mondo solo se proverà un tremito dinanzi al mistero delle vergini sagge della parabola evangelica, se, gra- tia plena , diventerà realmente, sull’esem- pio della Vergine, la porta del Regno». Le vergini sagge hanno trovato la for- za di mantenere le loro lampade accese: avevano come provvista una grande fi- ducia nel Signore ed erano andate ad attingere alla fonte della speranza. Que- ste donne mostrano il cammino, testi- moniano che il Dio della tenerezza non ha abbandonato il mondo. Le donne presso il sepolcro diventano le prime te- stimoni di Gesù risorto, le prime testi- moni della Buona Novella. Quelle don- ne che sono restate ai piedi del sofferen- te, che hanno vegliato restando presenti, che non hanno eluso la debolezza, sono forti. Vedono un cammino di speranza e di resurrezione e lo comunicano agli al- tri. Alla scuola della sofferenza s’impara a non aver più paura delle lacrime e delle suppliche e ci si ritrova confortati dallo scorgere il cammino della resurre- zione, della speranza e della pace. Una foto recente di don Gaspare Margottini, che oggi vive a Huancayo (Perù)

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