donne chiesa mondo - n. 14 - luglio 2013

women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women L’OSSERVATORE ROMANO luglio 2013 numero 14 Inserto mensile a cura di R ITANNA A RMENI e L UCETTA S CARAFFIA , in redazione G IULIA G ALEOTTI www.osservatoreromano.va - per abbonamenti: ufficiodiffusione@ossrom.va donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo Il segno sulla pietra Etty Hillesum e quel libro della vita offerto «a coloro che non sono in grado di leggere direttamente» di C RISTIANA D OBNER A dolescente, fragile, insicura e mala- ticcia, è Etty Hillesum nelle pagi- ne di apertura del suo Diario , una personalità che si cerca e non si trova, costretta a fare i conti con la sua realtà esistenziale e quella storica che, in- combendo, la sovrasta e minaccia di fagocitar- la. Questa esile creatura, che tale rimarrà fino alla fine della vita, diventa una donna comple- ta che affronta i bui momenti dello squallore umano nazista. Come poté mutare? Quale il suo percorso di donna? Esistono nel Diario delle spie che consentano di percepire questo cammino, insieme iniziatico e fiorito? A mio avviso sì, esistono. lasciandole fluire liberamente fuori di me. Ma sarà pur necessario, se voglio indirizzare la mia vita verso un fine ragionevole e soddi- sfacente» ( Diario 1941-1942 , edizione integra- le a cura di Klaas A.D. Smelik, Adelphi 2012, p. 31). Blocco inibitore, collocato nel più profon- do, che proprio la carta vergata dalla sua scrit- tura saprà sciogliere. «Da un punto di vista intellettuale sono così allenata da essere in grado di valutare ed esprimere ogni cosa con formule chiare. Quando si tratta dei problemi della vita, posso spesso apparire come una persona superiore: eppure nell’intimo, mi sen- to prigioniera di un gomitolo aggrovigliato, e malgrado tutta la mia lucidità di pensiero a volte non sono altro che una poveretta piena di paura» (p. 4). Le pagine che si susseguono non sono scrit- te sotto l’ispirazione di uno slancio creativo folgorante, ma un distillato di introspezione faticosa e di ancor più faticosa consegna alle parole e alla carta. «Devo badare a tenermi in contatto con questo quaderno, vale a dire con me stessa: altrimenti potrebbe andare male, potrei smarrirmi in ogni momento, anche adesso mi sento un po’ così, ma forse è solo stanchezza» (p. 82). Il quaderno diventa uno con lei stessa che si svolge nella storia e le consente di passare da uno stadio della sua vita a un altro, più maturo, più consapevole: insieme costruzione e pescaggio. Dal fondo si nota risalire in su- perficie quanto ribolle e tenta di scaturire. «Ancora non riesco a scrivere. Voglio scrivere della realtà che si cela dietro le cose, ma que- sto è ancora fuori dalla mia portata. L’unica cosa che mi interessa davvero è l’atmosfera, si potrebbe dire l’“anima”, ma la sostanza conti- nua a sfuggirmi (…) se alludi direttamente al- la cosiddetta anima, allora ogni cosa diventa troppo vaga, troppo informe» (pp. 127-128). L’intreccio è profondo, ineludibile: storia che si manifesta negli eventi, nelle cose, e spi- rito che pulsa alla ricerca di quanto tutto so- stiene, l’anima intesa come il vibrare che in- nerva tutto e a tutto dà significato. Etty sem- bra molto prossima ai suoi antenati ebrei quando sulla pietra lasciavano il segno di un evento e lo consegnavano alla grande catena delle generazioni. La giovane è una scultrice delle parole e una scultrice di se stessa, esper- ta dell’arte del togliere, ricca di sensi che via via, smantellando, fanno balzare in primo pia- no il capolavoro. «Devo senza dubbio comin- sbattere di continuo contro gli angoli vivi del- la giornata» (p. 299). La ragazza che non teneva in mano passio- ni, sentimenti, bizzarrie, e viveva a briglia sciolta, ora è una donna che tiene in mano se stessa e, di conseguenza, tiene in mano la sto- ria, cui dà scacco matto, vincendo con la sua debolezza sicura la furia devastatrice del nazi- smo e della Shoah. «Dio, Ti ringrazio per la grande forza che mi dai: il centro interiore da cui viene regolata la mia vita sta diventando sempre più forte e cardinale. Le molte impres- sioni contrastanti che provengono da fuori si accordano ora, in maniera meravigliosa, le une con le altre. Lo spazio interiore riesce ad acco- gliere sempre di più, e le molte contraddizioni non si sottraggono vita l’un l’altra, e non si ostacolano a vicenda. (…) oso dire con una certa convinzione: nel mio regno interiore do- mina la pace perché è retto da una potente autorità centrale» (p. 335). Non mancano a questa donna, che si ritiene una donnetta, gravata dagli acciacchi degli strapazzi nel suo consumarsi nel servizio al- trui, momenti di scoramento, ben presto però superati grazie all’ancoraggio interiore. Ogni grigiore sembrava circondarla, avvilupparla e frantumarla «quando la luce dentro di te si è spenta o, per dirla in modo ardito: quando Dio per un momento ti ha abbandonata». Una situazione di miseria umana, di derelizio- ne che colpisce e fa soffrire, cui però segue per «un inatteso impeto interiore», e il gesto corporeo dell’inginocchiarsi nella notte fonda in mezzo alla stanza trasfigura la realtà. «La mattina grigia al risveglio non era più un pez- zo di carta, ma aveva riconquistato la sua con- sueta ampiezza» (p. 325). Allora «tutti i canali bloccati sono di nuovo aperti e si riversano nel grande Oceano». Si sono unificate in Etty, rendendola sempre più matura come donna, due tensioni che l’abitavano e la facevano addolorare e dubitare di sé: «La distinzione artificiale fra studio e “vita vera”». Ora si ritrova armonizzata: «Adesso “vivo” davvero dietro alla mia scriva- nia. Lo studio è diventato una “vera” espe- rienza di vita e non è più solo qualche cosa che riguardi la mente. Alla mia scrivania io so- no completamente immersa nella vita, e tra- sporto nella “vita vera” la tranquillità interiore e l’equilibrio che mi sono conquistata nell’inti- mo» (p. 336). Quando ancora la giovane si lasciava tra- sportare dalle ondate dell’adolescenza e la scrivania diventava alibi per non affrontare la realtà, «perché le molte impressioni mi con- fondevano e mi rendevano infelice», la solu- zione era una sola: «Rifugiarmi in una stanza silenziosa». Momento di anestesia, di stacco irreale, che poi si ripercuoteva con ancora più vigore di amarezza sulla sua persona intera: corpo e spirito, mente e io in relazione. Lo scalpello, affondando ed eliminando schegge di pietra, ha fatto scoprire la novità di una creazione: «Adesso questa “stanza silen- ziosa” dentro di me, per così dire, la porto sempre con me, e mi ci posso ritirare ad ogni istante, sia che mi trovi in un tram pieno di gente sia nel mezzo della confusione in città» (p. 233). Da questo luogo può prorompere tutta la sua compassione di donna e dispiegar- si sulla crudezza e sulla malvagità come pacifi- co e sanante dono. di A LFONSO C OLZANI E F RANCESCA D OSSI * L ui ha quasi 37 anni (36,6), lei poco più di 34 (34,2). Questa è l’età me- dia in cui ci si sposa per la prima volta a Milano. Secondo i dati del settore Statistica del Comune rife- riti ai matrimoni civili e religiosi del 2011, è in continuo aumento l’età media in cui si pronuncia il fatidico sì. Nel 2001 gli uomini coronavano la loro storia d’amore a 32,5 anni, le donne a 30,3. Il confronto con la media nazionale ci dice che a Milano le coppie at- tendono a sposarsi mediamente quattro anni in più che nel resto d’Italia. Questi dati sono la premessa che permette di comprendere il nuovo assetto dei percorsi di preparazione al matrimonio nella diocesi ambrosiana. La fotografia della situazione non ha una pretesa di alta definizione, stando le caratte- ristiche della diocesi, che copre un ampio e diversificato territorio che include quattro cit- tà attualmente capoluogo di provincia (oltre a Milano, Monza, Lecco e Varese) ma anche moltissimi piccoli paesi nei territori rurali, specie a sud, e montuosi a nord. In diocesi la preparazione al matrimonio è un settore sul quale le comunità cristiane hanno profuso molto impegno e intelligenza. Mediamente vengono proposti 8-9 incontri, variamente gestiti in relazione alle risorse (presenza o meno di coppie preparate, ap- porto del consultorio di ispirazione cristiana) e al punto di vista del parroco, primo re- sponsabile della proposta ai nubendi. In questi ultimi anni questi itinerari sono al cen- tro di un forte processo di ripensamento so- prattutto quanto ai linguaggi, ai metodi, e al- la nuova situazione socio ecclesiale. Ricordiamo che la richiesta dei matrimoni religiosi sta subendo una forte contrazione in Italia (meno 23,3 per cento negli ultimi 5 an- ni) e che il 2011 ha segnato anche nel nord del Paese il sorpasso delle celebrazioni civili su quelle religiose. Non si tratta di un supe- ramento in senso assoluto, poiché fra le unioni civili vengono conteggiate anche le se- conde nozze di persone già sposate in chiesa, che non possono essere celebrate religiosa- mente. La tendenza alla contrazione dei ma- trimoni religiosi è stata registrata nettamente anche nella nostra diocesi — le stime dicono che nel decennio 2001-2011 si è passati da 23.539 a 6.969 — e ha inciso nella pratica pa- storale: così se nel passato ogni parrocchia di media dimensione teneva annualmente alme- no un corso prematrimoniale, ora il calo del- le richieste e la riorganizzazione delle parroc- chie in comunità pastorali ha portato a pro- porre i percorsi di preparazione su scala so- vraparrocchiale e in due momenti distinti dell’anno. I pastori delle comunità più sensibili soli- tamente sono disponibili a seguire anche per- corsi differenziati per coppie con situazioni lavorative o logistiche disagiate. È infatti sempre più frequente la situazione di persone che si avvicinano al matrimonio potendo in- contrarsi solo nel fine settimana, poiché co- stretti a stare lontano da Milano per motivi di lavoro o individuando in questa città un punto medio facilmente raggiungibile da di- slocazioni lontane. Al di là del rammarico per un contesto di crescente secolarizzazione che il diradamento dei percorsi segna, la nuova situazione ha sovente prodotto un guadagno qualitativo, poiché ha stimolato a raccogliere le forze di diverse parrocchie e a confrontare esperienze diverse, cresciute so- vente in assenza di dibattito e verifica. Si è ben consapevoli che coloro che chiedono il matrimonio cristiano oggi sono più motivati, lo fanno perché hanno intuito in questa scel- ta un guadagno per sé e per la propria fami- glia, avvertono che la sfera religiosa ha un valore particolare che garantisce profondità e radici per il futuro. Non si può quindi disat- tendere queste aspettative e queste speranze. Pochi ma buoni, si dice spesso, e mai come in questo frangente la Chiesa avverte la preziosità delle persone che incontra e l’ur- genza di una proposta seria e incisiva dal punto di vista cristiano. Quei buoni non van- no perduti! I dati statistici non riescono a descrivere con altrettanta precisione il fenomeno più sorprendente degli ultimi anni e cioè l’esplo- sione della pratica della convivenza prematri- moniale, diffusissima anche fra chi chiede il matrimonio cristiano. Si tratta di un cambia- mento radicale di mentalità, dato che anche la gran parte dei credenti non si avvicina più al matrimonio nella forma della fides , ma in quella dell’esperimento. Si vuole provare pri- ma di decidere, questa è la motivazione più frequentemente raccolta. Tale mutazione im- pone anche la sua registrazione linguistica, dato che appunto nei percorsi di preparazio- ne al matrimonio i “fidanzati” sono quasi scomparsi, lasciando il posto a coppie di “nubendi” variamente assortite. La prepara- zione al matrimonio si trova quindi di fronte a un nuovo tipo di utenza; dal comprender- ne le caratteristiche dipenderà poi la struttu- razione dei percorsi. Alcuni dati ci possono aiutare: nelle parrocchie delle grandi aree ur- bane le coppie conviventi sono circa il 95 per cento, nelle altre zone la percentuale oscilla fra il 60 e il 75 per cento. Fra loro circa il 30 per cento ha già un figlio e non di rado è già sposata civilmente. Recentemente una coppia che accompagnava un gruppo di nubendi nella parte sud della provincia di Milano ci ha descritto la seguente composizione: su 10 coppie partecipanti, 8 erano conviventi. Fra loro 3 avevano almeno un figlio. Una, chie- deva il matrimonio religioso dopo 12 anni di convivenza e aveva già tre figli. Richiesti di interpretare questi cambiamenti, i sacerdoti e gli operatori pastorali che abbia- mo interpellato sono concordi nell’attribuire il successo della convivenza al carattere pervasi- vo della mentalità corrente, che difficilmente risparmia anche i giovani cresciuti in famiglie credenti e in ambienti vicini alla Chiesa. Più a fondo, questi giovani sembrano condividere coi loro coetanei il timore della riuscita di una relazione impegnativa: un periodo di prova rassicura. Ma queste coppie segnalano che al- la base della decisione di convivere sta anche la precarietà lavorativa, che scoraggia l’assun- zione di responsabilità impegnative. Motiva- zione non priva di fondamento se i dati dell’inchiesta nazionale curata dal Centro ita- liano per gli studi sulla famiglia nel 2008 se- gnalavano che al nord il 65 per cento dei fi- danzati era dipendente a tempo determinato e il 2,6 per cento non aveva lavoro. Altro elemento di novità segnalato è la si- gnificativa correlazione fra generazione e ma- trimonio: diventare genitori è passo impor- tante, che sembra segnare anche un muta- mento nella percezione del legame di coppia, che, dopo la nascita di un figlio si avverte es- sere più importante e quindi richiede un pas- so in più. Il matrimonio viene percepito co- me celebrazione del raggiungimento di una soglia esistenziale importante: non si vive so- lo per se stessi, si dà peso istituzionale alla relazione, si recupera la valenza sociale dell’istituto familiare, che le nuove generazio- ni solitamente faticano a percepire in un con- testo segnato dalla perdita del senso comuni- tario e civile. I percorsi ecclesiali segnano per i partecipanti una gioiosa riscoperta di que- sto complesso di significati e del loro poten- ziale di senso. Gli operatori segnalano un notevole interesse da parte delle coppie par- tecipanti e molte di loro affermano di averne tratto spunto duraturo per proseguire un per- corso di coppia. Gli operatori con più esperienza rilevano tuttavia che il cambiamento descritto porta a considerare che quanto poteva essere dato per scontato 20 anni fa in termini di convin- zioni e comportamenti aderenti al magistero ecclesiale, ora possa essere proposto solo co- me punto d’arrivo di un cammino che inizia proprio in questa occasione, con la riscoperta dei valori dell’“amarsi da cristiani” nei per- corsi di preparazione al matrimonio. Le co- munità cristiane, a partire dalle segreterie parrocchiali, come ha fatto notare Papa Fran- cesco, sono quindi chiamate all’accoglienza di tutte le variegate situazioni esistenziali che bussano alle loro porte chiedendo il matri- monio secondo la Chiesa. Accoglienza grata, poiché chi convive ha già mostrato di poter fare a meno delle indi- cazioni della Chiesa, tuttavia vi ritorna con una domanda che sempre più spesso non è il portato di un condizionamento sociale ed è quindi autentica, sebbene talvolta ancora un po’ confusa e in stato embrionale. Alle co- munità dunque il compito di accogliere e far lievitare, consapevoli del compito delicato e importantissimo: aiutare a riannodare i fili di una fede spesso trascurata da anni attorno al sogno di una vita a due dalla quale ci si aspetta molto. Compito di evangelizzazione, ma anche di “umanizzazione”. Non abbiamo fatto cenno infatti alle alte percentuali di fal- limento matrimoniale, chiaro sintomo della fragilità di un’epoca che vive un momento di evidente incertezza quanto ai riferimenti an- tropologici fondamentali. Ma è chiaro che la situazione descritta incoraggia le comunità cristiane a farsi carico anche di questo profi- lo, ridando parola culturale alla sapienza evangelica delle relazioni. *Responsabili del servizio per la famiglia della diocesi di Milano Il racconto L’angelo Esmeralda Contro la povertà e il degrado del South Bronx ci sono qualche frate, la gang di writer capitanata da Ismael Muñoz e due suore, la giovane e pragmatica Grace ed Edgar, anziana e irascibile. Quest’ultima, protagonista del racconto L’angelo Esmeralda che Don De Lillo scrisse nel 1994, fatica a comprendere e a farsi comprendere dalle sorelle più giovani e dal mondo circostante, un mondo ormai talmente sfiduciato da pensare di non meritarsi aiuto alcuno. In questo percorso di speranza e disperazione, tra amore e paura, povertà e calore, suor Edgar incappa — anche lei come tutto il quartiere — nell’apparizione spettrale, su un tabellone pubblicitario, del volto di una bimba senzatetto, violentata e uccisa: «Esmeralda Lopez, 12 anni, asunta in cielo», come scrivono (con un errore di ortografia) i graffitari autori di quell’angelo vestito con felpa, calzoni rosa, e Air Jordan bianche ai piedi. La folla accorre e «la notizia diventa così potente che non ha bisogno della tv né dei giornali», racconta lo scrittore statunitense, tratteggiando l’impatto di quello che forse è un autentico miracolo, forse un semplice e umanissimo bisogno di consolazione. Suor Edgar è una donna in cammino; Don de Lillo non la capisce. Ma è in grado di intuirla. ( @GiuliGaleotti ) Il film North Country È la storia vera del caso Jenson v. Eveleth Taconite Co. quella raccontata dal film di Niki Caro, North Country (2005). Una storia scioccante non tanto per la vicenda in sé — Josey, interpretata da Charlize Theron, cita per molestie sessuali la società per cui lavorava — o per il fatto che si sia svolta recentemente, a fine anni Ottanta. Colpiscono due cose: nonostante le costituzioni democratiche e il femminismo, ancora nei tribunali occidentali le vite delle vittime di stupro vengono rivoltate alla ricerca di una traccia che dimostri che la donna in realtà la violenza se l’è cercata; contestualmente colpisce che sia ancora un traguardo da conquistare il diritto a un lavoro svolto in dignità e con rispetto della persona. Nel tribunale a cui la minatrice Josey si rivolge per avere giustizia delle molestie subite (di una brutalità e misoginia incredibili), è la sua precedente vita il vero oggetto del processo. Così, solo quando un testimone viene indotto a tradirsi (rivelando che in realtà la sedicenne Josey, per nulla consenziente come tutti credevano, era stata stuprata dal suo professore), si aprirà la possibilità di condannare la società mineraria. È la chiave della vicenda: se Josey fosse stata una ragazza madre per libera scelta, i datori di lavoro non le avrebbero pagato una lira; essendo invece ragazza madre a causa di uno stupro, la società mineraria risarcirà le molestie. ( @GiuliGaleotti ) U CCISE PER AVER DENUNCIATO ESTORSIONI Suleida Raudales Flores e Cynthia Carolina Cruz Bonilla, immigrate honduregne, sono state assassinate nel Chiapas (sud del Messico) dalla banda dedita all’estorsione dei migranti privi di documenti che, appena qualche giorno prima, avevano denunciato. I fatti sono emersi al termine della messa celebrata il 2 giugno dal vescovo di San Cristóbal de Las Casas, monsignor Felipe Arizmendi Esquivel, che — riferisce Fides — ha dichiarato di ritenere inaccettabile il fatto che il Messico «non fornisca una maggiore protezione a coloro che viaggiano» nel suo territorio. Provenienti principalmente da El Salvador, Honduras e Nicaragua, i migranti che attraversano il Paese diretti verso gli Stati Uniti ignorano i terribili rischi cui vanno incontro per mano delle maras (bande) criminali «che estorcono loro denaro, li picchiano e, nei casi peggiori, li uccidono». La Chiesa, ha proseguito il vescovo, ha denunciato spesso la drammatica situazione, suggerendo anche provvedimenti concreti, come quello di far scortare dai militari i treni su cui viaggiano gli immigrati. Purtroppo però i fatti recenti dimostrano che «ancora non si sono adottate le misure necessarie per prevenire i reati, o almeno ridurli». Quanto alle due donne, ha concluso il vescovo, per la banda criminale si è trattato di una passeggiata: identificate, i malviventi hanno fermato il treno sul quale si trovavano le donne «giustiziandole a sangue freddo». C ATHOLIC W OMEN OF THE Y EAR 2013 Nell’anno della fede, si è scelto di conferire il premio Catholic Women of the Year (giunto ormai alla quarantacinquesima edizione) a quattro donne che si sono distinte per il loro impegno a favore della diffusione della fede alle generazioni successive. I nomi di quante verranno premiate a Londra il prossimo 11 ottobre sono Mary Maguire, Mary Cahill, Rosaline Egan e Marjorie Parker. Con il marito, Maguire ha aperto in Kenya un orfanotrofio (che accoglie 60 bimbi) e una scuola (frequentata da 350 minori): metà dell’anno lo trascorre nel Paese africano, l’altra metà in Gran Bretagna a raccogliere fondi. E se Cahill è la fondatrice del Jersey Catholic Youth, associazione rivolta ai giovani e giovanissimi, Parker, che ha tra l’altro aperto ai bisognosi le porte della sua casa, si occupa invece di anziani, rifugiati e persone vulnerabili in genere. Sono ben 93 infine gli anni della quarta premiata, Egan, ancora attivissima nei suoi the settimanali in favore delle persone sole e in difficoltà (a cui fornisce anche cibo e vestiario), e nel suo impegno con la Union of Catholic Mothers nella diocesi di Westminster. Il comitato del premio ha anche conferito una speciale menzione alle mogli dei sacerdoti anglicani entrati nella Chiesa cattolica (dopo la Anglicanorum coetibus di Benedetto XVI ): di solito non si premiano gruppi, ma l’eccezione è stata fatta per riconoscere l’impegno di queste donne che hanno «sostenuto i loro mariti lungo la strada dell’unità tra i cristiani», per il loro essere perno della famiglia in momenti — si legge nella motivazione — «di grande preoccupazione e incertezza». Spesso dimenticate, sono invece a vital part of fulfilling the vision of the Ordinariate . R AGAZZE GRECHE IN FUGA PER DIVENTARE SUORE Nel 1962 sei ventenni provenienti dallo stesso villaggio greco fuggirono dalle famiglie perché impossibilitate a realizzare il loro sogno, quello di diventare suore. La vicenda è all’origine del Lyrio Children’s Village, un piccolo agglomerato di cinque case tra le montagne a trenta chilometri da Atene che da cinque decadi accoglie bimbi abbandonati: le sei ragazze di allora sono arrivate a occuparsi di trecento minori. La storia è stata raccontata dalla regista americana Valerie Kontakos, che ha girato il documentario Mana (mamma in greco) su queste incredibili «femministe», andate «contro tutti per fondare un loro ordine religioso e prendersi cura dei più piccoli», riuscendovi solo grazie agli aiuti dei privati, senza alcun finanziamento pubblico. Passo dopo passo queste donne sono diventate un punto di riferimento per tutto il Paese, distinguendosi anche per un approccio molto diverso da quello usato di solito dalle istituzioni. Quando un bambino viene loro affidato, queste religiose cercano innanzitutto la presenza di eventuali fratelli in altri istituti per il ricongiungimento. I ragazzi non devono lasciare la casa a 18 anni, potendo scegliere di rimanere. Oggi a gestire questo «villaggio di bambini» sono rimaste quattro sorelle (una è morta e una sesta lavora in una casa che accoglie donne vedove): Maria, Dorothea, Parthenia e Kaliniki i loro nomi. M ADRI DISABILI Madri disabili: straordinaria normalità . Con questo titolo sulla copertina dell’ultimo numero del magazine italiano «Superabile» campeggia la foto di una giovane donna seduta che tiene sulle gambe due gemelli. Quella che a prima vista risulta solo una bella immagine, introduce invece tre ritratti inediti: sono le storie di Stefania, Filomena detta Milena e Lauretta, rispettivamente uno, due e quattro figli, e una carrozzina ciascuna. Tra entusiasmi e complicazioni, l’inchiesta di Antonella Patete racconta dunque vie altre alla maternità. Vie normalissime: «Ci siamo creati una famiglia con la “normalità” di una vita vissuta in sedia a ruote — spiega ad esempio Milena — dove anche un gradino può fare la differenza». L’ ABORTO NEGLI S TATI U NITI Con 228 voti a favore e 196 contrari la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti (a maggioranza repubblicana) ha approvato un disegno di legge che vieta di abortire dopo la ventesima settimana, riducendo il termine fissato dalla storica Roe v. Wade del 1973 che invece fa riferimento al momento in cui il feto è in grado di sopravvivere fuori dall’utero materno, e cioè 24-28 settimane. Tra le ragioni che hanno indotto alla proposta di legge vi sono anche gli studi medici attestanti il fatto che dopo questo termine il feto è capace di provare dolore. È molto probabile (data la composizione del Senato e della Casa Bianca) che la proposta non andrà in porto, ma si tratta comunque di una dimostrazione importante circa la possibilità di rivedere alcuni aspetti dell’aborto dati, troppo spesso, per assodati. S TERILIZZATE IN L AOS . L A C HIESA SI OPPONE Una campagna di pianificazione familiare lanciata dal dipartimento per la sanità della provincia di Huaphan nel Laos orientale incoraggia le donne a sterilizzarsi mediante la legatura delle tube. Come riferiscono a Fides fonti locali, il progetto, che offre il servizio gratuitamente e si concluderà a fine 2013, è sostenuto dal Fondo Onu per la Popolazione. Secondo il vicedirettore del dipartimento Thongbay Thavisouk, l’iniziativa si è resa necessaria perché le donne locali mettono al mondo in media sei bambini. Troppi, trattandosi di una cifra che, a suo avviso, inciderebbe negativamente sia sulla salute della donna, sia sul livello di benessere delle famiglie. Triste costante nella storia recente, la sterilizzazione viene dunque presentata dalle autorità come mezzo per migliorare lo status economico dei singoli. Intanto però anche in Laos cresce, specie ma non solo fra le comunità cristiane, il movimento per la vita. L’associazione cattolica Human Life International, ad esempio, grazie agli sforzi della sua sezione asiatica, opera per assistere piccoli gruppi pro-life locali nati partire dal 2008. E se gruppi di cattolici, con altri cristiani, sono impegnati a promuovere temi legati al rispetto della vita, nella capitale Vientiane, nonostante le difficoltà, suor Milagros Azucena svolge il lavoro pastorale per coppie, donne e bambini. D ONNE AI VERTICI DELLO SCAUTISMO FRANCESE Tra loro non si conoscono ancora, ma è sicuro che le occasioni presto non mancheranno: Catherine Larrieu e Claire Verdier sono infatti i nuovi vertici dello scautismo francese, l’una a capo degli Scout e Guide di Francia (Sgdf, per un totale di sessantanovemila aderenti), l’altra delle Guide e scout d’Europa (che ne conta ventinovemila). Pressoché coetanee (52 anni l’una, 51 l’altra), le due donne — presentate da «la Croix» con l’eloquente titolo L’avvenire dello scautismo si scrive al femminile — sono accomunate, tra l’altro, da una profonda e solida conoscenza del territorio. Da «donne chiesa mondo» l’augurio più cordiale di buon lavoro. Il saggio Lui e l’aborto È un tema estremamente complesso e delicato quello che Antonello Vanni tratta nel suo Lui e l’aborto. Viaggio nel cuore maschile (San Paolo 2013). Un tema su cui occorre riflettere ancora e sempre più onde evitare la sterile contrapposizione, il muro contro muro, la deresponsabilizzazione di tutti e, soprattutto, la schizofrenia. L’interruzione volontaria della gravidanza — checché sostengano ancora molti uomini, e qualche donna — non è tema esaurito con la sua legalizzazione, che non è riuscita a rendere facile una questione dolorosisisma. E nel riparlarne, non possiamo più continuare a ignorare l’uomo che, nel bene e nel male, v’è dietro. Continuando a enfatizzare l’aborto come questione esclusivamente femminile, corriamo il rischio di legittimare gli uomini nel loro continuare a chiamarsi sostanzialmente fuori da momenti rilevanti come parto e nascita. Come conciliare coinvolgimento ed esclusione, richiamo alla responsabilità ex ante e l’esclusione dalla decisione ex post ? ( @GiuliGaleotti ) Da insicura e fragile personalità che si cerca ma non riesce a trovarsi questa esile creatura si trasforma in una donna completa Capace di affrontare lo squallore umano nazista La giovane è una scultrice delle parole e una scultrice di se stessa Esperta dell’arte del togliere e ricca di sensi che via via smantellando fanno balzare in primo piano il capolavoro Etty Hillesum Com’è bello sposarsi (a Milano) Inchiesta su come sono cambiati i futuri sposi e i corsi prematrimoniali In questo ambito si è profuso impegno e intelligenza Compiendo di recente un ripensamento su metodi e linguaggi Sono molte le coppie conviventi che frequentano i corsi È un ritorno alla Chiesa che rivela una domanda autentica ciare lentamente a modellare piccole figure nel grande blocco di granito intonso che mi porto dentro, altrimenti alla lunga ne verrò schiac- ciata. Se non cerco e scopro la mia forma con- geniale, finirò a vagare nel buio e nel caos, è qualcosa di cui anche adesso avverto forte il rischio» (p. 128). Paradossalmente togliere, scalzare con un rude scalpello, incidere una ferita alla pietra, dona vita e conduce alla luce quel libro della vita che vuole offrire «a coloro che non sono in grado di leggere direttamente». Ben certa di saper leggere, dono concessole da Dio, ma ancora dubbiosa sull’altro dono: «Mi conce- deresti anche quello di poter scrivere?» (p. 790). Etty sta transitando dall’adolescente alla donna matura e sicura di sé con la sofferenza che la sta maturando, sia nel pensiero, sia nel- la scrittura, via via, sempre più trasparente, sia, soprattutto, nell’equilibrio quotidiano. Comprende che la sofferenza non va fuggita «là dove essa ci si impone, non dobbiamo tentare di evitarla. E ci si impone ad ogni pas- so, eppure la vita è bella». È un punto d’arri- vo, perché c’è stata una fase intermedia. «Si soffre di più giocando a nascondino con il do- lore e maledicendolo. Naturalmente ho pensa- to tutto questo in un modo molto diverso» (p. 281). Presa sulla realtà, ormai guidata da uno scalpello che sa colpire solo dove colpire, sen- za distruggere la pietra. Lentamente la scultura della persona pren- de forma concreta, non esiste solo nella men- te. L’impegno è costante, implacabile nelle analisi, costruttivo nell’apparente distruzione ed eliminazione. Dove poggia? «Negli ultimi tempi, molto lentamente, sta crescendo in me una grande fiducia, una fiducia davvero gran- de. Un sentirsi sicuri nella tua mano, mio Dio. Non mi capita più così spesso di sentir- mi separata dalla profonda corrente nascosta in me. E quando sono appassionata ed eufori- ca non è una sensazione forzata o dissennata, ma si basa sulla certezza circa l’esistenza di quella corrente. E non vado neanche più a Storia di Ester (e dei suoi diari) L’incontro con il chiropratico Julius Spier segna una svolta per la comprensione dell’io della giovane e le indica un sentiero percorri- bile che, a ben riflettere, sedimentava nel suo spirito ma non trovava lo sbocco espressivo: la scrittura. Esercizio e dono, completamente femminile, che palesa diverse sfaccettature: ca- tartica, creativa, riflessiva, di ripiegamento sul- la coscienza. Sempre e comunque però in apertura e in crescita dialogica, favorendo an- che il dialogo con l’Altro da sé che Etty deno- mina Dio: non in chiave confessionale a lei del tutto estranea, non in chiave etica, ma in chiave puramente umana che tocca quel fondo comune a tutti gli esseri entrati nell’esistenza storica. Un passo catartico è illuminante: «Avanti, allora! È un momento penoso, quasi insor- montabile: devo affidare il mio animo represso a uno stupido foglio di carta a righe. A volte i pensieri sono così chiari e limpidi nella mia testa, i sentimenti così profondi, eppure non riesco a metterli per iscritto. Deve essere più che altro la vergogna. Mi sento molto impac- ciata, non ho il coraggio di mostrare le cose Ester, detta Etty, nacque in una famiglia di intellettuali ebrei, aperta ad ampi interessi culturali: predilesse la letteratura e la lingua russa, appresa dalla madre, che portava le cicatrici di un pogrom cui era riuscita a scampare; amò i classici di cui era imbevuto il padre, insegnante di latino e greco, mentre i due fratelli le dischiusero la musica e la medicina. L’ambiente familiare non è sereno e non le infonde sicurezza, l’educazione che si imprime in lei è satura di modernità e libera da ogni schema. In adolescenza iniziano le avventure amorose che la distruggono per l’investimento psicologico eccessivo e mai appagato. Laureatasi ad Amsterdam (con grande sorpresa di tutti scelse giurisprudenza), si rende conto che a soli 27 anni ormai sta cedendo: il suo sentire psichico e psicologico non è equilibrato. La conoscenza dell’eclettico Spier — cantante, editore, bancario e chirologo formatosi alla scuola di Jung — la condurrà lentamente alla padronanza di sé, liberando in lei un amore vero e disinteressato. È a Spier che dobbiamo i Diari : egli comprese che la vena della scrittrice in Etty andava risvegliata, giacché solo scrivendo ella avrebbe compiuto i passi capaci di guarirla: da «gomitolo aggrovigliato» a filo donato e di soave aiuto agli ebrei perseguitati. Fu un’impresa immane. Per noi costituisce un documento in presa diretta non tanto delle nefandezze naziste (scrive Etty «non ne sento il bisogno», riferendosi a una possibile documentazione da lasciare ai posteri), quanto di una luce che trapassa le tenebre di un periodo storico fra i più bui della storia europea. Luce che trasfigurò lei stessa e va trasfigurando chi si accosta alle ottocento pagine che costituiscono il diario, dieci quaderni scampati, grazie alla dedizione degli amici, alla furia della guerra e della Shoah. La partenza definitiva di Etty per il campo di smistamento di Westerbork, dove transitarono 107.000 ebrei olandesi (ne sopravvissero 5.200), primo passo per quella grande fossa comune che si chiama Auschwitz, non fu una cattura ma un consegnarsi spontaneo per condividere la sorte del suo popolo. Nell’ultima sera di libertà l’amica Maria Tuinzing si vide affidare il prezioso carico perché lo passasse all’altro amico, lo scrittore Klaas Smelik. Il non ritorno per Etty era una realtà di cui era consapevole, quindi affidò se stessa, racchiusa nei quaderni, a Smelik perché provvedesse alla loro edizione. A causa della guerra, egli li ebbe in mano solo nel 1946 (o 1947), insieme con una raccolta di lettere, e cercò un editore. I tempi non erano maturi? Non fu compreso il valore di quei quaderni? Stranamente invece le lettere scritte da Westerbork erano già state stampate nel 1943, lo stesso anno in cui Etty venne assassinata ad Auschwitz, il 30 novembre. La gestazione di quello che sarebbe stato il Diario fu laboriosa: nel 1979 il figlio di Smelik consegnò nove quaderni all’editore J. G. Gaarland, che seppe valutarne la bellezza. Si giunse così alla pubblicazione nel 1986. Chissà se il settimo quaderno emergerà da qualche archivio. Per ora è scomparso. ( cristiana dobner ) Pierre-Auguste Renoir, «Ballo a Bougival» (1883)

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