Critica Sociale - anno XLII - n. 12 - 16 giugno 1950

CRITICA SOClALE 155 Errore diagnostico?. S carsa, eco hanno 11vuto nella polemica gior– nalistica recente - i giornali sono spesso in tutt'altre faccende affaccendati - due re– .centi documenti di notevole importanza, la 56a relazione della Banca d'Italia e il « Survey ». 1950 della Commissi,o,ne economic,ai europea dell'ONU. Pregevoli entrambi per la ricca documentazione e per l'ordinata esposjzione della storia economica italiana ed europea del 1949, essi differiscono no– tevolmente nelle conclusioni per ciò che Tiflette il nostro Paese. Riassumere e postillare questi documenti non è possirbile, in una breve nota di rivista. Ma è utile forse segnalarli all'attenta meditazione dei nostri lettori, atteso• il vario modo di giudicare il consuntivo di questo quinquenni-0, del dopoguer– ra, e quindi attesa la differenz?, dei rilievi pro– spettici. E' venuto il tempo di leggere ,di più, e di seguir-e meglio, anche nel campo economico, · quel che di serio si scrive altrove: e certo non basta cullarci in un generico roseo cosmopoliti– smo ideale, ·come noi ita:liani siamo usi fare nel-' l'alternativa con l'odor di muffa delle nostre au– tarchie nostalgiche. La relazione della Banca cl.'ltalia è nettamente ispirata ad un ottimismo fiducioso sull'andamento dell'economia italiana: lo sforzo di interpretare con occhiali rosei la situazione· è evidente falchè spesso si traiduce in una garbata polemica' con gli osservatori stranieri, i quali più volte segnalaro– no la lentezza della nostra ripresa, l'eccessiva pru– denza dellà nostra politica economica, la mancan– za di strumenti' adeguati per mia moderna tec– nica di •consapevoE interventi,_ la permanenza di un'alta e costante disoccupazione, la tarda- ricon– versione, la pigra incertezza negli investime11ti e la loro modesta ampiezza mentre si accrescono i consumi voluttuari. La relazione della Banca d'I– talia - ottimo documento che bene si aggiunge all'ormai lunga serie delle lodate relazioni pre– cedenti - è infatti contraididistinta quest'anno da:llo sforzo evidente di giustificare e difendere una, politica economica che subì molti, e non del tutto ingiustificati attacchi: attenua gli aspetti meno felicitanti della situazion.e, per far conver– gere tutti i proiettori su quelli (e ce ne sono in– dubbiamente) che servono come validi argomenti per la difesa d'ufficio. E in tal senso completa quella relazione del Ministro del Teso,ro sottopo– sta nei ma,rzo scorso al Parlamento, •che fu giudi– cata concordemente forse troppo modesta edr ina– deguata, ma che fu, nelle sue conclusioni, un al– trettale sforzo evi.dente di ottimismo. La :relazio– ne della Banca d'Italia si pro•pone di contribuire « 1 a evitare l'errore ·diagnostico » ( così essa chia– ma i giudizi dell'ECA, dell'ECE, e in parte del– J'OECE, che apparvero severi nei confronti del– l'Italia). E afferma che nessun successo avrebbe potuto o potrebbe avere un flusso anticipatore di credito,' difende una po•litica di impieghi, pri– vati rispetto a una p:rep(mderante politica di im– pieghi pubblici, nega che in Italia vi sia stato, un « complesso » deflazionistico e che la flessione dei prezzi_ interni abbia impedito aumenti produttivi, non s1 sofferma quanto parrelhbe necessario sulla perdurante politica di alto costo del danaro nè ibliotecaGino Bianco sull'esigenza di contribuire a muta,rla, infine si oppone 1 a1l'eventuale utilizzo, delle riserve auree e valutarie del Paese. Il « Survey » della Commissione economica eu– ropea, l)ffrendo un quadro più vasto, è ispirato invece a. un relativo pessimismo, ma a un pessimi– smo attivo, e si sforza di rifuggire da. ottimismi fatalistici. E. in realtà, dà questa finestra più alta, la situazione economica e sociale ·dell'Italia appa– re tra queHe che meno hanno progredito nel lu– stro post-bellico, rispetto agli altri Paesi europei, nonostante gli innegabili sforzi compiuti, e che nessuno vuol disconoscere. Qualche cifra, spigolata qua e là; induce inve– r,o, a sfumare certi pervicaci ottimismi. Tra il 1938 e il 1949 l'aumento della produzione industriale -nel mondo fu del 471%, quello dell'Europa tra il 10 e il 15'%, quello dell'Italia del 4%. L'Italia ha perso terreno ne1la sua posizione relativa., sia nei confronti del resto d'Europa, sia nei confronti del morudo,,anche per ciò che riflette gli scambi in– ternazionali. Il nostro commercio di esportazione •si contrae ora al disotto del 2% di quello mondia– le, mentre nel 1"938 era superiore al 31%. L'Italia vede il proprio commercio estero, (che nel 1928 era p:ari al 351% del proprio reddito lordo) ridursi al 20% del reddito lordo; ha un'esportazione che in volume non raggiunge ancora quello del 1938 mer;1:trel'esportazi,one degli altri Paesi d'Europa - come d'altronde le produzioni - hanno note– volmente superato quei livelli. 'L'Italia denuncia il 421%dei disoccupati d'Europa, ,avendo il 16- 17% della popolazione e il 7% del reddito della zona OECE. Il divario tra produzione agricola e in.dustriale italiana per capita e quello europeo è aumentato : nel 1938 questo valore fu giudicato di 71 do11ari per, abitante italiano contro i 113 dollari di media europea ; nel 1948 noi siamo al disotto dei 6/10 della media europea. Gli investi– menti lordi per abitante sono nel 1949 di 9 dol– la,,ri in Italia, contro 41 nel Regno Unito, 59 in Norvegia, 36 in Svezia, 32 in Danimarca, 31 in O– landa, 24 in Francia, 23 nella Germ. Occidentale, 21 nel Belgio. * * * Sia pure di fronte alla singol~re difformità di giudizio tra osservatori internazionali e osserva– tori naziònali (e puri trovandoci di fronte ugual– mente a meditati e seri documenti), siamo .dun– que indotti a riflettere suHe cifre comparate, le quali sembra attestino concordemente un beri dif– ferente ritmo tra il nostro Paese e la media dei paesi europei e fenomeni di divergenza viep,più crescente. E siamo indotti a chiederci se nella no– stra politica economica ci sia « qualcosa che non va», piuttosto che ad esprimerci mutuamente j,:u– condizionati· giudizi d'una condiscendente soddi– sfazione, come durante il ventennio in cui tutto andava bene. C'è da chiederci se non si possa, e si debba, far di più e meglio, e come. C'è da chie– derci umilmente, insomma, se l.'« errore diagno– stico » sia proprio da attribuirsi all'ECA, all'OE– CE e all'ECE, oppure se, per qualche piccola ·par– te, sia stato, e sia anche nostro, come non da oggi non mancammo di avvertire sommessament,e. ROBERTOTREMELLONI

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