Critica Sociale - anno XL - n. 9 - 1 maggio 1948

CRITICA SOCIALE 211 chè anonimi autori. E dobbiamo, purtro_ppo, dargU ragione. Troppe volte ancora, verso questi gi'ovani nati nel tempo fascista, abbia~o un senso di degnazione o di commisera– zione, come chi ha tutto da insegnare e nulla· da apprendere. Ed è sbagliato. Da queste tormentate e ansi9se biografie di giovani non emerge nè l'umiliante inferiorità di chi è chia– mato ad ·espiare (e· eh~ dovrebbero -poi espiare·?,), nè lo seet– ticismo (anch~ s-e, come nota uno .di loro, « H fascismo fu il ,....vuoto ed il vuoto ed il nulla non uniscono, n-on cara-:tte– rizzano »), nè l'affanno per « l'amarezza del lungo tempo per– duto », bensi qualche cosa di più vivo .e di più umano: un appello alla nostra comprensione, alla nostra fratellanza. « Sentiamo che la miseria del nost;o tempo non è stata solo di natura politica-», soggiunge un terzo. E guai allora se, oggi, aggiungess,imo pFop.rio noi un'incomprensione ~piritua– le nel confronto di questi giovani generosi che da s-., stessi ed in se stessi hanno_ trovato le ragioni e la fede per il pro– prio riscatto. Vorremmo, se.m·mai, a questi glgvani dire qual– che cosa di più semplice e di più schietto: e cioè che se penosa fu la loro desolazione ed amaro il risveglio; non tut– to luce fu da parte nost-ra. Anche noi, <<...:v:eceh{ antifascisti », abbiam0, proprio accanto al nostro « tener duro », conosciuto amarezze, delusioni, sordità ed angusti~, ottundiffiento di va– lori e logoramento di speranze, s.i che talvolta il chiudere-i nella torre d'avari~ della nostra "int;ransigenza eL"a giusto ,. salutare; ma era anche un tagliarci fuori dalla comunicazio– ne con altre forze vive, con altre forze umane, con altre for– ze giovan,i. E allora non ci sentiamo. affìatto « ~igliori » o più e benemeriti» rispetto a costoro, nè -a~torizzati ad inse– gnar loro alcunchè, dato che ciò che più importa, la strada della . libertà in tempo di schiavitù,, costoro l'hanno saputa trovare per proprio conto e non certo per ,merito ed _inter– vento nostro. Ciascuno col muto (e talvolta sterile) dramma del nostro passato, badiamo a procedere fianco a fianco, ed a fronte alta, 1per la v,ia della libertà, com,prendendoci nei valori come nelle miserie, e senza as-surde differenziazioni. E cerchiamo a tal fine di conos-cere ed intendeFe le voci che si fanno udire in libri come questo, voci di Spiriti che l\_an– no desiderio e bisogno di essere compresi per poter continua– re nel•l'opera di conquista di una più sicura libertà, alla quale ha,nno cosi v•aJ.idamente contribuito nel periodo dfl.Jia lotta clandestina. G. P. DAL PANE L.: Profilo di Antonio Labriola - Milano, ed. Giuf- frè, 1948, pagg. 126, Lire 220, . Succinto e spedito, questo libro e-i dà una eccellente ·sinte– si della personalità del grande maestro napoletano. Nè ~ltro potevamo attenderci da uno studioso sel'io, paziente e seve– ro come i,1 Dal Pane, che alle ,indagini sul pensiero del La– br"iola ha dedicato tanta fatica. e che ne scrive con amore quasi filiale. Merito del Dal Pane è di rapp~esentarci il La– briola come frutto di quel fertile humus di pensiero filoso– fico e di coscienza politica costituito a Napoli da quella spe– cie dii tardiva « sinistra hege-liana » che va dal De Sanctis allo Spaventa. Non. solo è liberazione da idoli e da precon– cetti, da schemi e d•a chiesuole, con un'ansia di, ricerca che abborre da ogni faciloneria e da ogni conformismo, e con un profondo anelito di libertà l!>beratrice, ma è assillo di rendersi conto dei. .propri tempi, per mutarli, per operare.... su di essi. Dallo Spaventa il Labriola trae l'avversione àll'hi– dividualismo egoistico e solipsistico e l'ideale morale dell~ vita politica: ma va oltre il Maestro nel postulare, al di là di ogni astratta proclamazione di libertà per i cittadini e di perfetta giuridicità delle istituzioni, la salutare, anzi sal– vatrice immissione nella compagine delio Stato di giovani e irruCnti forze sociali, sino allora tenute in disparte. Ed è parimenti dallo Spaventa che il Labriola trae quella dialet– tica ricerca della verità che ripudia « ogni anticipazione del pensiero sul. saputo per via della teologica o metafisica e– scogitazione » e che, arricchendosi a Contatto con la vissuta realtà. di sempre nuovo contenuto umano e sociale, giq,nge alla concezione della « esperienza che è lavoro e del la– voro che è esperienza ». Originato da una visione dialettica hegeliana, non rinnegata dall'ulteriore tritnsito attraverso 11 pensiero herbartiano, lo storicismo del Labriola, così vivo' ed aperto, è già filosofia della praxis: coscienza della storia come un fare ed un farsi, coscienza che « la storia è la storia del lavoro » e che « nel concetto ,della storia del la– voro è implicita la forma sociale del lavoro stesso ed il va– riare di tale forma », coscienza che « ogni atto di pensiero è uno sforzo', cioè un lavoro nuovo ». E' quindi un pensie~o che ha strette analogie con quello di Marx giovane: e ciò che In quest'ultimo era ripudio delle passività metafisiche .del materialismo tradizionale, -nel Labriola è ribellione nl Biblioteca Gino Bianco facilonismi ed alle ©rettezze del positivismo. « Unico vero marxista italiano dell'Ottocento », il Labriola, rinunciando a cercare nel marxismo un sistema filosofico che rechi in sè la spiegazione e la ragione dell'universo, compie uno sfor– zo di restaurazione critica del marxismo, ·che lo porta, rl-:– s·petto a tante facilonistiche deformazioni bakuniniane, po– sitivistiche o ferriane, « a chiarire Marx con Io stesso Marx, a sviluppare ed- inverare le sue proposizioni fondamentali, liberandole dal contingente e dal caduco, per ritenerne Il vi– vo ed il durevole ». Ma appunto perchè lo sforzo del La– briola è un conc~eto intendere lo sviluppo della praxis, non riducendola a schemi dog,matici, bensì arricchendola, di vi– vente COJ:ltenuto, egH è meglio portato a intendere l'azione correl_ativa e concomita.n1e che esercita la sovrastruttura i– deologica sul substrato e·conomico, comprendendo quindi as– sai bene che il materialismo storico non lo si accetta come metafisica nè tanto meno lo si ridqce a dogma, ma vive ed opera solo in quanto lo si riviva criticamente. Molllè altre cose interessanti il Dal Pane aggiunge sul La– briola eq_ucatore ( « per rifare gli italiani occorre fa.re di noi degli uomini moderni, nutrire il nostro pen.siero di so– da e larga scienza, rienipirci la mente di un grande e libero Stato, - convertirè il nostro cuore in motore di una società vigorosa, civi}.e e morale, dove sia .bello e degno vive– re ») e sul Labriola politico, anche se, piuttosto che mili– tante, as•pro ed iinflessibi-le censore e critic9, senza reticenze. Il socialismo è per il Labriola la grande forza illuminante. « Nessun uomo, schiavo dell'altro uomo, nessun uomo istru– mento della ricchezza altrui » : o·ccorre creare le condizioni m 1 ateriali perchè tutti gli uomini possano ascendere a piena dignità di persona. Ma senza libertà, anzi senza perseve– rante sforzo di 'liberazione, il socialismo è cosa morta, ri– schi-a di decadere a paternalismo o di. travisarsj in quella utopia burocritica e fiscale che egli chiamava « utopia dei cretini ». Socialismo che sia quindi soprattutto ,autoemanci– pazione della classe lavoratrice, diretta azione e volontà del-– la classe oppressa. Di qlii la radicata ostHità del Labriola ad ogni forma di riformismo, che si esplichi come pater– nalismo, -come azione pantofolesca di chiuse consorterie, co– me elargizione di oligarchie di partito. Di ·quo la sua osti– lità agli aspetti . di politicantismo, di trasformismo, di con– formismo di certe personalità del socialismo italiano, che. lo fanno prorompere in cosi aspri, eccessivi ed impazienti giudizi, siho a farlo talvolta dubitare se U socialismo Ita– liano, date le -stesse insuf.ficienze della nostra società, anzi– chè principio di una nriova vita non sia la manifestazione estrema di corruzione politica ed intellettuale. Ma può forse meravigliare che proprio colui che si era eretto a « crftico della conoscenza, critico del pen-siero, critico ·della società, critico dei pregiudizi » si facesse anche ·critico dello stru– mento politico atto ad interpretare quel socialismo che per lui non era allatto nè un mito, nè un~ parola vana? G. P. MICHELE VAINA: Il crollo di un regime nefasto - II volume Ediz. Tecniche - Milano - pp. 249. Recensendo qualche tempo fa in Critica Sociale il L volume di quest'opera, ne ponevàmo in rilievo pregi e limjti. Essi so– no,,..confermati da questo secondo volume, e forse anzi accen– tuati. Sono qui_ pi3-ssati in rassegna, e documentati con dovizia di/" fotografie e ricchezza di particolari, gl~ avvenimenti del periodo della lotta di liberazione. E in questo caso, il tono cronistico in cui il libro è scritto, giova, --ancor più che nel pr-imo, a presentare fatti che, se sono nella Storia, ancora non possorio essere oggetto di un vero e proprio giudizio- storico. Pertanto, noi pensiamo che il modo migliore di tenerli vivi alla mente degli -i,taliani, e di darne un quadro che possa servire di documento, sia proprio questo, della cronaca diretta, che sfugge alla maggiore insidia che minaccia un lavoro di questo genere: la retorica. Forse sarebbe auspicabile una maggiore omogeneità o, me– glio, una maggiore organicità. Ma su questo punto un giudizio completo si potrà dare dopo l'uscita del terzo volume, già an– nunciato, che co-mpleterà l'opera. Ma si può già dire che il lavoro, pur con i suddetti limiti, non è stato vano. Direttore: UGO GUIDO KONDOLFO Redattore re•ponil.: ANTONIO GREPPI P. G. Autorlzz.: Allied. Publicationa B. C, N. 288 - 1~-1945 Tjpografia Pinelll _ Milano • Via Farneti 8

RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=