Critica Sociale - anno XXXVIII - n. 22 - 15 novembre 1946

CRITÌCASOC_IALE 371 ■i di frequenza dell'Accademia Militare, dalla « Vita mii.i– lare» ai « Ricordi del 187<r71»: perchè se pur sono opere di argo~ent~ militare,_ non vi è in esse la benchè minima esaltazione della guerra, che il De Amicis vede sempre esclusivamente çlal lato umano e popolare; onde ne scatu_ri– sce proprio un antimilitarismo, logico e spontaneo nella natura umanitaria del giovane ufficiale dell'eserci~o della nuova Italia. Dare .a ciò il nome di militarismo equivale a non distinguere più il patriottismo dalla sua degenerazione, anzi dal suo· opposto: il nazionalismo. Ciascun uomo, infat– ti è· portato dalle prime sue esperiei12ie di vita, a conside– r~re soltant~ i propri bisogni, materiali e spirituali, .e i re– lativi soddisfacimenti Solo in un secondo tempo compren– de che il proprio be~essere, frutto della libertà, è legato a quel gruppo di cui fa parte e èol quale ha stretto vincoli di interesse o di affetto. Deriva perciò. dalla sua opera per l'attuazione di questi nuovi sentimenti sociali, l'amor di patria, dal quale poi ancora la coscienza umana progredi– sce, col comprendere che una comunanza di interessi e di affetti, di gioie e di dolori, di mete da raggiungere e di tristi •eredità da buttar via, esiste anche fra uomini di di– verse nazioni, in ognuna delle quali si ripercuotono gli av– venimenti delle altre. Dal patriottismo, quini:li, si passa al– l'internazionalismo - solidarietà generale che. non a.bbat– tendo ma superando ogni frontiera, unisce tutti gli uomini nella lotta per il raggiungimento d'una superiore civiltà, da cui deriverà il benessere per tutti il_ldistintamente. A que– sto internazionalismo socialista - che non contrasta con l'esistenza delle varie patrie, fenom_eno naturale nella vita dell'umanità - ha sempre dedicato tutta la sua opera Ed– mondo De A~icis, che fu sempre socialista, prima ancora di dichiararsi tale, anche nella continua predicazione di fra– tellanza tra gli uomini di tutte le classi. Sentimento che, chiaro in ogni suo libro, si espJica pienamente, cantando a gola spiegata, jn opere come «Cuore», « Il rormanzo d'un maestro» e « La Carrozza di tutti», dopo l'esaltazione del– la_b_ellezza della parola compagno nell'opuscolo che da ta· le parola s'intitola. Non è vero, quindi, che· quello del De Amicis fosse un socialismo a1J'açqua di rose, sentimentale, idealistico, di pa– rata persino. perchè !'ingiustamente bollato Edmondo 'dai' languori fu socialista nel senso più puro e ideale - e quindi più essenziale - del termine. E lo fu, ripetiamo, prima ancora di saper d'e.i;serlo. prima, cioè, di essersi ad– dentrato, con l'aiuto di Arturo· Graf, che gli traduceva gli autori tedeschi, nel labirinto teorico del marxismo, con tutti i problemi fi,Josofici, storici, economici· ad esso ineren– ti. Perchè il Nostro fu come pochi conseguente a se stes– so e non si trovò mai nella necessità di dover sconfessa=– re una sola pagina dei suoi· scritti precedenti : onde, quando, il 1• maggio del 1890, tenne agli operai di Torino il suo primo ·discorso politico pubblico, ).o potè fare con quella serenità d'animo che gli derivava da tutta la vita spesa per una fede. - Così, pur essendo De Amicis uomo· piuttosto timido. noi lo troviamo difensore della fede propria e dei suoi compa– gni in quel processo che, -nel 1898, vide sui banchi degli imputati Filippo Turati, i! quale poi, nel commemorarlo alla Camera, ebbe a dire testualmente: « Quando nel grot– tesco e feroçe 1898 - più ancora grottesco che- feroce - i miei amici ed io fummo trascinati davanti ai tribunali di guerra, e dovunque era un senso di terrore, e tanti amici... facevano i distratti e cercavano ogni sorta di alibi morale se altri li interrogava sul nostro conto; egli - che fu sempre (m timido, nella vita, e sdegnoso e ritroso da Ogni ribalta - volle venire da Torino a Milano ad attestare, ip.– nanzi- a quel sinedrio di giudici" monturati e comandati, dell'altezza della sua e della nostra fede, contro la calun– nia che faceva, in quei· giorni, del nostro comune pensie– ro, assai più perfido strazio che non facesse delle ·nostre persone la brutalità degli aguzzini». Alto è. quindi, il valore dell'opera del De Amicis: una rivelazione, persino, se la si.considera sotto il punto di vi-· sta della socialità. Non sentimèntalismo, quindi. e neppure facile accomodamento per giungere all'animo sensibile dei lettori, sprovveduti, ma costante .certezza del valore della missione propria e_ dell'uomo in generale, il quale possie– de, molto più di quanto le apparenze non lo dimostrino, un sentimento profondo - anche se spesso inconsapevole - di tendenza al bene, al buono, al bello, sentimento cui si appella il De Amicis per la pacificazione fra tutte le classi sociali, dalle più umili a quelle più elevate, nella ferma convinzione che le sof'ferenze dei popoli, quando derivano, ~ come derivano, da cause sociali, -sono dovute all'ignoranza, all'errata_ educazione, ad equiv.oci e a malintesi, più che non alla malvagità degli uomini, E a ciò basti, come esem- 11io, quella p_agina della « Carroaza-di tutti», dove, fra l'al- Bibl10eca 'Gino Bianco Cristianesimo e s cialismo L'articolo ·dell'amico Schiavi su i_ rapporti, fra Chiesa e Stato nella futura costituzione, da noi pubblicato nel fase. del 15 settembre, ci ha procurato alcune lettere di fedeli lettori che esprimevano il loro dissenso. Le abbiamo trasmesse all'autore, che èi ha mandato già da qualche settim.Mlll questo- scritto per chiarir meglio il suo pen– siero. ' Sia lecito aggiungere alcune preci$azioni. Al tempo_ di Gesù di Nazareth la Legge ebraica parla– va ben chiaro: la prosperità materiale era una benedi– zione di Dio e un premio per chi osservava le norme del– la morale .religiosa, mentre la povertà e la miseria erano il retaggio degli empii, secondo l'antica tradizione ebrai,; ca (Levitico e Giobbe). · Gesù, cresciuto in una ristretta comunità di contadini e di artigiani, in uria econònùa povera e statica, tra gente che conosceva del mondo esterno quel tanto che informavano le rade carovane transitanti con balle di merci verso il sud; dove la sorte della nascita determi– nava quella della mort~, Gesù, per preparare gli animi ai prossimo evento liberatore ann:unciato dalla Profezia, invertì i principii della Lègge e disse _alle turbi! adunate sulla collina·: « Nessuno può servire a due padroni: infatti l'uno odierà e l'altro- amerà, oppure all'uno s'attaccherà e l'altro disprezzerà; non potete servire a Dio e a « Mam– mona», cioè alla ricchezza. E al gioyane ricco che a lui si era rivolto come · al « Maestro buono», per· sapere come avrebbe potuto meditare la vita eterna, disse: « Ti manca una cosa. Se ~oi esesre perfetto, va, ven– di tutti i tuoi beni, distribuisci ai poveri il ricavato, chè avrai un tesoro nei cieli; e poi seguimi! ii E . dopo che il giovane, gelido, afflittissimo, se ne fu partito, Gesù spiegò ai discepoli: « Figli, quant'è difficile entrare nel Regno di Dio! E' più agevole per un camme!-. lo passare attraverso la cruna dell'ago, che per un ricco entrare nel regno d'Iddio ». E allora nessun ricco potrà in nessun caso entrare nel regno -di Dio? No, vi potrà entrare, purchè prima svesta la divisa. di suddito di ·Mammona, diventando o povero di fatto o, equivalentemente, povero in ispirito. Che cosa significa questa espressione che Gesù adoperò tro, così parla ad un privilegiato che guarda con disprez– zo un uomo del popolo ubriaco : «Ah! lei s'inganna se cre– de che l'abbrutimento di costui sia vergoglloso per lui sol– tanto... Che cosa faccfamo noi per mettere in loro questi ritegni? E che mai di bello, di nobile e di accessibile a tutti noi mettiamo fra loro e la taverna, che li attragga -e li svii? ». . Questo iJ De Amicis socialista, sinceramente operante per una ,fraternità tra gli uomini, e da questa nativa sin– cerità portato a sc;ivere così naturalmente da presentare · il fianco, con i suoi eccessi ed i• suoi difetti, alle facili éri– tiche d-i chi non vuol vedere di là da una prima lettura formalmente ristretta_ Questq, ancora. il De Am"\cis socia– lista, il quale. parlando, nel 1892, ad un Circolo universita– rio torinese, così diceva: « Non è onestamente possibile di restringersi a servire la società solo quel tanto che è ne– cessario per provvedere ai nostri interessi. Le condizioni del tempo in cui viviamo son così fatte che convien corregge– re la definizione antica di;ll'uomo onesto, e dire che, per essere tale, non basta più ad alcuno neppur l'esercizio delle più elette virtù private, se egli chiude l'orecchio e il cuo– re al grido dei dolori umani, s'egli non s'adopera diretta– mente per la rigeneràzione dei suoi simili e per il trionfo della giustizia, se non volge almeno una parte della pro– pria operosità a cercare coscienziosamente al servizio di qual ·dottrina socia.I.e. per il bene di tutii; debba impiegare le sue forze». Per conto suo, egli aveva già scelto, ed è per questo che, nel già citato discorso del_ 11<> maggio, poteva lanciare quel monito che oggi dovrebbe esser presente ai governanti di · tutti i paesi : « Crediamo che il 1° maggio resterà e in– grandirà negli animi e nei popoli, e che dopo aver redento il lavoro ucciderà la guerra, e che dopo aver confuso le classi affratellerà le nazioni, e che sarà benedetto dalle ge- . nerazioni venture come una delle date più fauste e più glo– riose. della storia del mondo».

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