Critica Sociale - anno XXXV - n. 13 - 1-15 luglio 1925

156 CRITICA SOCIALE aH'artigiano e al ·piccolo padrone di una volta. L'operaio non è più coslrello a contentarsi di un salario che· rapprescula J'indjspcnsabile alla vita; per conlralto egli ha diritto ad uo compenso chi) dalla sfera proletaria lo innalza a quella bor– ghese: di fronte all'impresario egli non è più nella situazione ciel prolelario cli fronte al capitalista, ma in quella del fun– zionario di fronte alla collettività. Da quanlo abbiamo esposto si spiega facihpenle come il tentativo di Ernesto Abbe sia seguilo in lulla la Germania col massimo interesse, e comè questo economista, che dalla pa– rola seppe passare all'azione, incarnare la sua idea, affron– tare e vincere ostacoli tremendi, sia onoralo nel suo paesci e non sollanto in quello, come un audacissimo innovatore nel campo economico ·e sociale. (Traduzione e riduzione di ANGELO TREVES). la terra nella ernnomia romana Le scoperte archeologiche che si sono venule facend·o da un ventiennio, e specialmente i ri_nvenimenli di pa– piri -in Egitto, hanno fornito materiali nuovi preziosis– simi per lo sluclio della Roma antica, specialmente sotto l'aspetto economico, aspetto che dagli storici ro– mani fu in gran parte negletlo, per l'esclusiva attenzio– ne data allo studio della attività politica e diplomatica. Di questi materiali si è valso un· Americano, Tenney Frank, per rifare la storia di Roma nei primi secoli, dalle origini alla fine della Repubblica (Storia econo– mica di Roma; Vallecchi, Edilore, Firenze, 1924). Riappaiono così stadi cli sviluppo, problemi di P.OPO· !azione, fasi del progresso tecnico, con evidenti ahalo– gie con il periodo nostro, in cui, di fronte al problema della crescente popolazione e pur con le trasformazioni carallerisliche dovute allo sviluppo del processo tec– nico indust_riale, la questione agraria, sotto l'aspetto tecnico, sociale e giuridico, ha, nelle odierne rivolu- zioni, una parte eminente. · · · ·Fu· già un tempo, nel VI secolo avanti Cristo, in cui i1ella pianura latina - sci'ive il Frank (pag. 13) - la produzione di un suolo ricco e coltivato con insolita iulensilà manteneva una densa popolazione, tale da somigliare probaJ;>ilmente aHa brulicante popolazione cli coltivatori della· odierna valle del Po». Le i.:eliquie di quel notevole periodo, l'intricalo sistema di prosciuga– mento, il terreno scavato ad alveare, con un sistema complicalo di conclolli che corrono lungo i declivii dei colli verso le paludi Pontine, stanno a provare che quelle opere furono compiute « in un momento di tale sovrapopolazi-one, che ogni piede di terreno arabile do– veva essere risparmiato per la coltivazione. Collo sviare le acque piovane dagli erosivi ingorghi montani in ca– nali solterranei, non solo si evitava larga parte della or– dinaria erosione dei terreni posti nel fianco del' colle ·ma si risparmiava lo spazio· usualmente sacrificato al' letto del torrente» (pag. 14). Basti -ricordare la notevole trincea lunga 60 metri :1 Ponte Lodo, vicino alla rupe della ci~tadella ~i Veio; l'emissario del lago d'Albano, lungo 1300 metri e allo da due a tre metri taaliato at– traverso la roccia viva per risparmiare poche centi– naia di acri di terreno arabile nel margine del pendio dentro il cratere; e le accurate dighe di fine costruzione poligonale, falle in gran parte di enormi blocchi pe– santi mezza tonnellata ciascuno, lungo il corso del _b~rrone di Sca_rpellata, tull?ra esistenti, allo scopo d1 conservare p1~cole ~one d1 terreno alluvionale, per concludere che il Laz10 dovette essere coltivato nel \'l secolo con una intensità raggiunta raramente altro– ve, e che esso dava alimento a una popolazione mollo densa. Tanto densa che non lardù a manifest·arsi quel fe– nomeno sociale della • fame di terra » che trova per una parie dei suoi effetti, analogia con la recent~ fa– se degli avvenimenti in Russia. Fu la fame di terra che determinò. da un lato, b rivoluzione - sebbene incruenta - della massa dei confadini in condizioni infelici, _appoggiati dai proletari urbani, per ottenere un allev1amenlo della loro condizione economica e per la c~rnquista dei diritti politici, e che portò alla distri– buzione ad ogni cittadino di 7 jugeri di suolo del terri– torio <;leiVeien ti ed alla istituzione dei Tribuni della plebe, i qu3:li, e_sten_dendorapidamen'te il loro potere, ottenner,9 ,:ia via riforme tali che permisero a molti pr_olelan di _asc~ndere nella scala delle cariche pub– bliche e avviarsi verso il successo economico e dal- ' BibliotecaGino Bianco l'altro lato, dette impulso e forma alla politica militare– cspansionisla di Roma. Per la grande niassa dei piccoli preprietar1, colti– vatori dei campicelli esistenti e cli quelli risultanti dal– la distribuzione dei 7 jugeri, la fame di terra non fu soddisfatta in modo definitivo. Quella massa servì co– me serbatoio al Govei·no di Boma per formare l'eser– cilo di difesa contro i Galli invasori e cli attacco e di conquista delle terre di altri popoli da colonizzare. Avvenne, infatti, che · il soli ile strato di humus ac– cumulatosi sul terreno vulcanico, ad eccezione delle bas·snre, spazzalo via dalle pioggie tanto più torren– ziali in quanto si ·andava distruggendo il manto fo– restale delle montagne per la necessità di uso e di commercio della popolazione, non bastò più ad ali– mentare la famiglia· del piccolo coltivatore. Tarito più che la disseminazione della proprietà per effetto della distrihuzione di così piccole quote di terreno rendeva difficile il coordinamento degli sforzi necessario a costruire i eondolti di prosciugamento estensivo pri– mst éompiuli, molto probabilmente, da grossi proprie– larr, o meglio feudatarì, per mezzo dei contadini fil– lavoli. L'esaurimento del terreno per la collura dei cereali indusse, da un h"Ho, a sostituirvi il pascolo per gli armenti che, più lardi, si facevano alpeggiare sui colli \'olsci e Sabini e, dall'altro, a sviluppare sulle rocce vulcaniche la vile e l'ulivo, costringendo i contadini a vendere ai più grossi coltivatori le loro parcelle, sia perchè. non avevano i mezzi per un allevamento su lar– ga scala del bestiame, sia perchè non potevano atten– dere cinque anni il prodotto della vite e quindici anni quello dell'ulivo. · Gli schiavi, co1pprati dal b.ollino di guerra, sosti– tuivano i contadini, .i piccoli al'filtuar'ì o i proprietarr,– i quali cercarono sfogo nella espansione territoriale. « La stretta connessione lra la rivoluzione - nota il Frank - e l'espansione politica non può essere ne– gata. Noi possiamo almeno dire che l'eccesso di po– polazione che· appare nel Lazio durante il periodo più antico, e la difficile condizione del popolo, dovuta ad un graduale peggioramento ciel suolo, ebbero parte importante nel porre in moto gli scatti e gli impulsi verso 1ma politica estera aggressivl;l nel 343; i successi posteriori e la disponibililà di una densa popolazione di coltivatori permisero al Governo di formare un eser– cito irresistibile, che rese relalivamen te facile la c0n– quisla. Tuttavia le perdile nelle guerre e la dotazione per le colonie militari nei punti strategici assorbivano presto la maggior popolazione a lal punto, che il terzo secolo mostra piuttosto una insufficienza che un af-. follamento -eccessivo di popolazione». (p. 61-62). · Certo, la fame di terra fu la forza motricè che gui– dò i Romani alla conquista, perchè, • sebbene molto ri– spettosi delle forme legali, erano pronti, come molti altri popoli, a trovare un'offesa mortale nella condotta cli un vicino, quando avevano bisogno del suo cibo »; ma la facilità della co.nquista e della preda con le armi e il sopravvento che ebbe l'azione politica su ogni altra atlivilà fecero sì che la massima _produzione non fu mai l'ideale della politica romana. Quando citta– dini romani occuparono e colonizzarono i campi Fa– lerni sopra Cuma, trovarono un terreno realmente ec– cellente, « ma, se il terreno buono fosse stato lo scopo principale, Roma non avrebbe avuto bisogno di man– dare i suoi cittadini cento miglia lontano». Inoltre, « la. disponibilità continua di buoni terreni, che lo Stato desiderava fossero occupati per prevenire possibili insurrezioni, attraendo sempre uomini e ca– pitali non occupati in allra maniera »J fece sl che « i Romani non sentirono allora nessun impulso a lentare nuove intraprese, a sviluppare industrie, o a tentare commffci per mare e per terra•, ma, per i sut:cessi delle imprese espansionisti che, • sempre invitali a co– lonizzare nuovi terreni e a.cl investire il lor-o capitale eccedente in proprietà immobiliari, divennero per ogni tempo coltivatori e capitalisti fondiari. La necessità, la madre dei mestieri e delle arti, non li spinse mai ad ap– prendere quelle occupazioni che suscitano l'amore per la bellezza arlistka ed educano gli istinti alle imprese commerciali >:- (pag. 63). Così,· là dove, sino al sesto, quinto e quarto secolo della Repubblica, una densa popolazione coltivatrice lraeva dal suolo tutto quanto esso poteva dare, va– garono nei secoli seguenti, a custodia del bestiame e degli armenti, rade torme di schiavi nei vasti possedi- ... ,

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