Critica Sociale - anno XXXV - n. 13 - 1-15 luglio 1925

CRITICA SOCIALE necessario a produrre un oggello finilo, pronto -per la ven– dita: adesso, ogni operaio esegue soltanto un frammento di oggetto, o il frammento di un frammento, e continua ad eseguirlo ogni giorno per tutta la vit-a. L'operaio odierno esercita e acuisce una sola delle sue facoltà, uno solo _dei suoi muscoli, e lascia atrofizzare le altre e gli altri. L'indu– stria moderna è una enorme.macchina, <li cui gli uomini sono i semplici ingranaggi. È ancora possibile fare che l'odierno proletario torni ad ·essere l'autonomo artigiano del Medio Evo? Oppure fare che quello -si vada evolvendo verso una forma analoga a quella del maestro nell'antica· corporazione? La risposta è nelta: non appare possibile. Nessnn popolo civile può abbandonare la fase dell'economia organizzata, se vuol provvedere dei b~ni necessari la sua massa sempre crescente. Dobbiamo dun– que assistere indifferenti allo spetlacolo di una vasta porzione del pepolo sacrificata all'economia organizzata,• anzichè sfor– zarci di giungere ad un · grado di economia più elevato? Ernesto Abbe nelle sue opere non parla sempre di eco– nomia organizzata, ma anche spesso di economia organica, e Walter Rathenau, morendo, lasciò incompiuto uno scritto in cui propugnava la necessità di una economia organica. L' Abbe si richiama alla Natura vivente, nella sua conce– zione di una economia organica; l'organizzazione come tale, ·egli scrive, è un fatto di origine naturale, biologipa, e quindi non è possibile che debba fatalmente condurre, come oggi conduce, alla distruzione della vita di tanta parte della uma– nilà. L'economia umana è strettamente connessa ai fenomeni organici. Quando l'uomo organizza la propria economia, si comporta col singolo lavoratore come la natura con la sua sin– gola cellula. La natura dalla unica cellula del protozoo pro– cede alla creazione di animali pluricellulari, diMerenziati, toglrendo a quell'originaria cellula la ·sua individualità. Anche l'odiçna industria rapisce all'antico artigiano la propria in– dividualità, per creare un organismo complicato. La via della natura e della vita conduce dal semplice al composto; orga– nizzazione in biologia è il passaggio da forme animali infe– riori a forme superiori, ma l'economia organizzatrice, a dif– ferenza della natura, non si preoccupa delle esigenze della vita, sibbene soltanto delle esigenze del lavoro; e questa è l'infe– riorità più grave di tale economia. Nella natura la legge dell'evoluzione è il progresso: mentre l'industria, l'economia organizzata, non si preoccupa affatto del progresso delle cellule, cioè degli uomini, che essa impiega. E, al contrario della natui;a, l'industria differenzia senza integrare, dissocia senz·a associare; gli operai impiegali in una medesima fabbrica non formano socialmente un organismo, un tutto .sociale: e così rimane insoddisfatto il più profondo degli impulsi biologici. È gloria del marxismo l'avere messa in luce questa insoddisfazione di un istituto vitale nella odierna economia. Cariò Marx mirò ad una economia organica, ad una so– cietà organica, se tale si può chiamare una società senza lotte di classe. L'Abbe invece fa risalire l'inquietezza della società odierna all'esistenza di una economia organizzata, c non organica, anzichè all'esistenza del capitale. Per Mar)( il capitale, per l'Abbe l'organizzazione è la causa prima del malessere sociale: Marx tende a far passare tutto il capitale dalle mani çlegli imprenditori privali in quelle della forza di lavoro collettiva, l' Abbe vuole che l'economia organizzata si sviluppi in una economia organica. Marx si domanda: come si può impedire che il capitale si vada sempre più accumulando nelle tasche dei grandi impren– ditori? L' Abbe si chiede: come si può ovviare alle conse– guenze furieste dell'organizzazione? Per Marx l'importante è frustrare ·1a formazione del capitale, per l'Abbe è apprendere come il capitale si formi. Marx afferma che il capitale sorge quando l'imprenditore comI_>ra fa forza di lavoro dell'ope– raio, pagandola, non secondo il suo valore reale, ma secondo una parte di tale valore, e appropriandosi la parte rimanente: questa frazione non pagata costiluisèe il profitto dell'imprendi– tore, l'origine del capitale:. al'op.eraio non restando altro che lo stretto necessario per vivere. Da questa ingiustizia, che sta alla base del capitalismo, procede per Marx tutto il ma– lessere sociale. La società non sarà felice fin quando non avrà eliminati gli sfruttatori del lavoro umano, e non si sarà appropriato il capitale, cioè il complesso dei plusvalori in cui si incorpora la sua: complessiva fornitura di lavoro. L' Abbe invece non ammette che il capitale sia la causa prima dell'organizzazione: per lui l'organizzazione è la causa prima del capitale: e, mutando il proprietario del capitale, tra– sferendone il possesso dai privati alla collettività, non si riu– scirebbe ad assegnare il plus-valore al suo legittimo produttore, cioè alla società. Se domani lo Stato, o la società, diventasse, per esempio, in Germania, padrona dell'intiero capitale na– zionale o dell'<l maggior parte di esso, si troverebbe di fronte a questo dilemma: o lasciar.e al singolo lavoratore l'importo di quello. che finora era il plusvalore, dedotta· però una fra- 8 i bIiote Ca Gino Bianco zione che finora si appropriava l'imprenditore e che d'ora in poi dovrà servire allo Stato o alla società per rinnovare e completare i mezzi d'esercizio indispensabili in una economia organizzata; o rinunziare a valodzzare il plusvalore, a ser– vìrsene per creare e rafforzare i mezzi di produzione, e in tal caso l'economia organizzata sarà condannata a morire, Non esiste una terza soluzione. L'economia organizzala non ,imporla necessariamente una lotta contro il capitale, ma tutt'al più una lotla contro i ca– pitalisti. Sia il privato, o sia lo Slitto o la società il padrone del capitale, sempre gli sarà indispensabile creare senza inter-. ruzione nuovo capitale, crearlo dalla singola forza di lavoro umana. Certamente la creazione di plusvalore non è lo scopo determinante dell'economia, ma tale creazione è e rimane jJ mezzo indispensabile senza il ,quale non si può svolgere un'e– conomia organizzata. Ogni proprietario di capitale, sia pure questo la forza di lavoro col\ettiva, si trova costretto, come padrone delle fabbriche, a prelevare come tributo un plus– valore di una certa misura: questo è il pensiero fondamentale di Ernesto Abbe. Se non si vuole, egli scrive, che l'economia ritorni all'antico stato frammentario e individuale, non si può evitare che in seno alla collettività dei lavoratori permanga il contrasto di classe e di interessi. Nessuna radicale trasfor– mazione della società può eliminare questo fenomeno neces– sario. Tale contrasto è• indipendente dal fatto che taluno possegga una parte del capitale o soltanto l'amministri, e che tal altro porti il nome di imprenditore privato o di fun– zionario statale: non dipende dalla produzione privato-capitali– stica, ma dalla produzione capitalistica •in genere, cioè dalla produzione !Organizzata. Se cosl è per uha · legge inevitabile, il problema di una economia organica si presenta assai arduo. La rinunzia alla creazione di un plusvalore non può essere la base e la condi– zione della creazione di una forma sociale superiore alla presente: tale rinunzia non condurrebbe ad una eco– nomia organica, ma ad una economia e ad ima società primitiva. Perciò, mentr~ Marx celpisce il capitale alla sua origine rendendo impossibile la formazione del plusvalore, l' Abbe restituisce il capitale accumulato alla sua funzione ori– ginaria; e se, al pari di Marx, egli espropria l'imprendi– tore privato quale sfruttatore del lavoro collettivo, gli attri– buisce però una altissima responsabilità quale orgaaizzatore della produzione; e se non può andar contro la legge storica che priva nella economia moderna l'operaio di parte della - sua individualità, lo risarcisce però elevandolo già oggi so– .cialmente, facendolo passare dal quarto al terzo Statç. Nèll'.istituto_ fondato d'all'Abbe, il capitale ha l'unico scopo di· sopperire all'esercizio dell'aziénda, e non produce divi– dendi, nè redditi superiori a quelli richiesti dal pagamentc> degli interessi delle ipoteche accese sulla fabbrica: perciò il capitale non è padrone del lavoro, ma servo del lavoro. Il capitale qui non corre più dietro al plusvalore, avida– mente; è un , mezzo d'esercizio • e niente altro, - secondo la sua giusta nalura. Il lavoro serve al capitale unicamentfl in quapto nella presente fase economica il lavoro senza ca– pitale resterebbe improduttivo: è rotto lo sforzo per la produ-. zione di un plusvalore senza limiti, e il capitale non è più un divoratore di uomini; e col passaggio del patrimonio dell'azienda dall'imprenditore privato all'impresa collettiva I' Abbe compie il primo passo verso la creazione di 11n'econo– mia organica. ~on per questo l'istituto fondato dall' Abbe costituisce unicamente una Cooperativa di produzione. È Coo– perativa, in quanto la totalità degli uomini occupali nell'a– ziend~ è proprietaria del patrimonio dell'industria e degli strumenti di lavoro. Non è Cooperativa, in quanto quella to– talità non ha rincarico dell'amministrazione e della direzione Poichè ogni organizzazione presuppone un organizzatore, e questi non può essere la società come tale. L' Abbe non organizzò il suo istituto su base sociàle, ma lasciò il massimo spazio alla iniziativa dell', individuo econo– mico ,. Egli respinse l'unione, finora prevalente, del capita– lista e dell'organizzatore il). una medesima persona. Ma as– segnando il capitale all'impresa (ai:izichè all'imprenditore) e quindi rendendo possibile un nuovo rapporto fra capitale e lavoro, e separando l'impresa dall'imprenditore come capo del processo di lavoro, assegna all'imprenditore una respon– sabilità che ,è completamente nuova e non più di ordine .privato: la responsabilità di foggiare il lavoro in modo che la complessiva forza di lavoro non venga continuamente sosti- - luila e rinnovala quando è logora, ma venga migliorata ed elevata. L'impresario assume una funzione nazionale, quasi religiosa: egli amministra _la forza di lavoro nazionale nell'at– tività economica del popolo. L'impresario come semplice capitalista è superato e sosti– tuito dall'organizzatore responsabile del processo di lavoro ~ organico , cioè sociale; e il proletario industriale è so– stituito dal lavoratore specializzato con molta somiglianza

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