Critica Sociale - Anno XXII - n. 24 - 16 dicembre 1912

374 CRITICA SOCIALE chè per libera scelta del cuore;· come sia facile che il gi,ovine ribelle, il quale crede di « fare del Sooiali– smo » ·inducendo una ragazz,a all'amore, ,senza paura del « peccato », faccia inv.e,ce,a propria insaputa, un atto <li conquista e di egemonia di se&so a tipo egoi– stico-borghese; fàr I-oro,considera-re come sia ingiusto applicare criteri di reci-proc·a eguaglianza G due en– tità dis-eguali ,come sono oggi i due sessi, e le con– ,;eguenze d•idànno per il più debol•e, cioè per la don– na; far loro consideral'e, con un punto di vista di onestà, di umanità, di giustizia, il rapporto -sessuale, ch'è quasi: -sempre riguardato con concetti da canni– bal,e, sui quali, per un fenomeno non isolato, -si in– nestano (e li riabilitano) i nuovi principii « ribe,Hi », stranamente deformali dall'uomo, dal giovane, a pro– prio comodo ed uso: tuttooiò non mi par da s·pre– gia,re per noi. Persuadere i giovani che cercare sfogo a un biso– gno fì.siologi-oo presso una prostituta non è affatto un peccalo verso Dio, mG che procurarsi una malattia in– curabile vita natural dur-ante è un peccato ... verso di noi; •convinoerl-iohe possed•ere la, propria amante, in nn sincero r.e,ciproco abb,andono spontaneo, non ha ·nuNa <li peccaminoso, ma che metter.e al mo ndo un mostriociattol-o settimino per aver voluto pr.ocrea.re anzi temp,o è un delitto; crescere· in !<oro H s enso della responsabilità verso sè, verso gli altri, ve~o la specie; non mi sembra opera ind,egna di s·ocialisti. Diffondere i concetti deJla Igiene, ch'è temperanza, equiJibrio, armonia, e aprire ai giovani le porte per cui l'Igiene dell'individuo sbocca nella Morale sociale; afformare che le gener.azioni, uscite daJ.la secolare asti– nenza., fig,lia deUa miseria e della paura, devono su– pe-rare rapidamente il periodo succe,ssivo della libertà sen1,a freni, e ritr.o,vare in sè, nella scien:m, nella fode non metafisica del Soci·al-ismo,l,enorme del vivere sa– pi,ente ed onesto; è tuttociò dis.forme dai nostri prin– ripii, -estraneo al-la nostra funzione? Od è inutHe per– chè inefficace? Airnè! Quanta parte, a.Jlora, dell'opera n'ostro sa– r-ebbe vana, quanto fiato e quanto inohi•ostro, amico · TurGti, consumato in puTa perdita! Certo, l'amore, più che ogni altra cosa forse, sfugge alle regole. Vi sono uomini che non berrebbero nella lazza di un allro poer tutto J'oro del mondo, e non pr-ova,noalcuna repugnanza per i contatti sessuali più vari e sospetti; ·che non dire,bbero una bugìa sotto la min·accia del patibolo, e non schifano rapporti amo– rosi tutti fondati ·sulla menzogna. Vi- sono Gltri, ohe, come- il Mondolfo, vorrebbero disciplinare e nobili– tare I'amor,e, spiritualizzandolo, ed altri ancora., co– me me, ohe v,orrebbero risanare sessua:lmente J.abe– stia0uomo, diffondendo l'esempio de.Jlebestie ... bestie: nl modo stesso che la vi,a migJ.i,ore per· rive:lare ai funciu.Jli i,J fatto sessuale, senza pericolo di curiosità morbose e di fontastioamenti viziosi, è il mostra-r loro, -0011 fa maggiore naturalezza, quel che accade nel mondo delle pi.ante e de.gli animali. Quel che importa, per noi, è che il Socialismo abbia , la capacità e l'ardimento di affermare, anche, ne,! cam– po sessuale, quella dottrina di temperanz a - inte sa come freno e prevenzione dei dann-i fisici e moira.li o he i,l giovine o il maschio in genere può recare a sè, alla donna, alla specie - che così ,oolorosamente bandi·soe, per esempio, nel campo d.ell'alcoo.lL5mo.Gi,overà pe,r quel•lo ohe gioverà, ma noi avremo ass<Jlltoun debito di co~ci,er;,a, e un· d·over,edi sincerità v,erso noi steS1Si. · GIOVANNI Zrnonor. Deo gratias! Avevamo scritto noi stessi: « non siamo poi cani ... ». L'amico nostro - e pare ci voglia proprio un'amicizia venticinquenne per osar– lo - ce ne rende malleveria presso i terzi. Sbaraz– zini, sì; un tantino stecchettiani ( oh! tempora ... senza mores!), ossia, per reazione, preti alla rovescia, potremmo anche parere; ma, in fondo, siamo bravi figlioli. Soltanto, anche lui vorrebbe, che fissassimo la norma, ·che promulgassimo il precetto, a conforto di coloro c·he non sanno stàr r.itti, nella vita, senza· sostegni; ch,e non hanno la coscienza già fatta e fortificata. Il figlio d'Eva non può viviere, se non ha, per ogni suo atto, una legge ... da violare. È la tradizione del frutto proibito. · Ma, se la coscienza non c'è, o è di gelatina, 111 ·che mùro pianteremo il chiodo a clii ·appiccare la legge? · Comunque, per Zibordi, noi siamo troppo nega– tivi; siamo tròppo cùpoc privativo. Il nostro anar– chismo, il nostro liberismo sessuale (ma il program– ma del Partito non è, in somma, antiprotezionista? ... ) non lo appagano. Se q1tella tale morale è scema - convenutissimo! - il socialismo ha ·da avere l':u·– dimento di fucinarne nn'altra: la sua. E sia! Nonchè contentare l'amico ~ in ricambio · del certificato, che ci rilasciò, di buona condotta - vogliamo a dirittura « stroppiarlo di cortesia». Il s0cialismo non soltanto dovrà, ma il socialismo, ,esso solo, può avere una morale sessuale; così co– me esso solo può avere, in genere, una qualsiasi morale. E « potere » - ci rifletta, Zibordi - è qual– cosa più cli « dovere»; appunto perchè, con buona pace dei Lessona e degli Smiles, « dovere >► e « po- tere » sono due cose. · Il « borghese » - alludiamo al sentimento, non alla classe, sebbene si tengano a vicenda assai stnet– tamente - 11011 può ave·re una morale, nel senso idealistico deUa parola. (In compenso, nel senso , natur_alistico, stiamo per dire amorale, cioè di co– stume accettato, ne ha parecchie... in conflagra– zionie fra loro). E la ragione è int1.ùtiva. · Ogni morale, che aJ)pena si levi un po' sopra quella dell'antropofago:· « il bene è se io mi nutro del mio simile; il male, se egli si nutre di me», sup~ pone alcuni punti fermi; cardinalissimi: non 1.1cci– d,ene, non rubare, rispettare l'uomo neffuomo, e quell'altro, grossolano ma comodissimo come mo– neta corrente, del « non fare agli altri ... » con quel che segue. Ora, l'adesione - teorica o pratica - anzi, la non-ribellione, all'assetto sociale capitali– stico, implica il disconoscimento, non già occasio– nale, ma quotidiano, incessante, sistematico, per altri come pe-r sè, di cotesti « assiomi » morali. L'-essenza del capitalismo, la psicologia ch'esso iq.forma, stanno nel fatto consentito come neces– sario, se non anche iesaLtato come provvido, del nutrirsi alle spalle altrui, del costruirsi la casa. de– molendo quella del vicino, del prolungare ed ab– bellire a sè l'esistenza devastando quella del pros– simo; ie di guarentirsene il diritto, sotto specie e nom,e di « ordine pubblico ». Tradotto in termini etici, il capitalismo è questo. Come avrebbe una morale? Dire « morale borghese» è fare, consapu– tame-nw, dell'ironia. Il socialismo può avere una moral,e, in quanto esso ripudià il cannibalismo, non soltanto nelle forme prosor,itte dal Codice, ossia più nocive an– che o principalmente ai dominatori, ma qualunque forma esso assuma. E, se dice, come il patriarca Mosè, « non ucciderai», non soggiunge m,entalmente « di c-oltello, nè di veleno »; se proclama « non ru– berai·», non intende restringere il divieto allo scasso o al falso in cambiale.

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