Critica Sociale - Anno XXI - n. 19 - 1 ottobre 1911

Critica Sociale RIVISTA MILVDICINALE DEL SOCIALISMO Nel Regno: Anno L. 8 - Semestre L. 4 — All'Estero: Anno L. 10 - Semestre L. 5,50 Lettere e vaglia all'Ufficio dl CRITICA SOCIALE - MILANO: Portici Galleria V. E., 23 Anno XXI - N. 19 ; Non si vende a numeri separati Milano, 1° ottobre 1911 SOM1VIA.RIO Politica ed Attualità. Anelli Udii... (La CRITICA SOCIALE). L'imbroglio eli Tripoli: COCIAMOCI (00. LEONE CASTANI O la C. e La politica di Tecoppe t .L'ordine del giorno di Bologna e il nostro suicidio politico (Noi). Per it Congresso di Modena: Le conclusioni dei Relatori; L'ordine dei giorno delta Sezione socialista milanese su Mlilistertalismo e Ministeriabítismo „ Studi economici e sociologici Atecannno o mrtrxistno )Avv. TULLIO COLUCCI). Filosofia, Letteratura e Fatti sociali. Fra Libri e Riviste: Le tendenze ollgarchiehe nel movimento ope- ralo (f. p.). Biblioteca di propaganda. .ANCE-IE SOLI!... Sì, la confessione è dura, ma dobbiamo farla. Supponendo che l'assurdo non sarebbe possibile, ricusandoci di prestar fede all'ipotesi del colpo di testa tripolino, avevamo valutato troppo alto il sen- no, il patriottismo, la probità democratica dei go- vernanti italiani. Lontani per più mesi da Roma, esclusi dagli ambulacri dove si « fiutano» le notizie segrete; mal pratici — è un po' il vizio di noi tutti — delle cabale borsistiche, nelle quali è la chiave di tanta parte della politica di ogni paese moderno; non avevamo, per orientarci, se non l'ordinario buon senso, che protestava contro l'ipotesi temeraria. La smargiassate di quei quattro fogliucciacci nazio- nalisti, e gli ardori di conquista dell'ultragiolittiano corrispondente romano della Stampa, ci parevano troppo scarso indizio per indurci a rinnegare il senso comune. Vi è un reale — fu scritto — che è la negazione del zero. Vi hanno fatti, così fuori d'ogni regola, di ogni verosimiglianza, che esulano, in qualche modo, dalla stessa natura. L'arte non li degna del suo soffio, la scienza li cataloga a parte, nel capitolo della teratologia, naturale o sociale. Non importa che altri li indovini; sbaglia a indo- vinarli. Perché quei fatti hanno torto. Pure la impassibile storia, qualche volta, li ac- coglie. Ma che dovesse il Governo di Giovanni Giolitti — l'uomo, in apparenza, il più diverso da Crispi, il più alieno dall'avventura —; che dovesse il Go- verno di Sacchi, di Credaro, di Nitti, i ministri della democrazia positiva e moderna — dopo avere promesso al proletariato italiano, con la ricono- sciuta cittadinanza politica, un inizio non men- dace di riforme civili — che dovesse far cammino a ritroso, frustrare l'opera propria, dar la stura a un periodo di involuzione militaresca del paese, prestarsi — rimorchiato o volente — a scatenare quest'orgia di sciovinismo balordo, di patriottar- dismo fatuo e melenso, così fatuo e melenso che commuove prima alla pietà che allo sdegno — tutto questo era al di là anche della zona di quell'impre- veduto, che la prudenza impone di preventivare. Perchè questo ribollire di spiriti guerrieri — a spese, ben s'intende, della pelle altrui — che riem- pie di frastuono le vie, per l'amore di una landa che i vociatori ignoravano ieri, ignorano oggi, for- se ignoreranno domani (chi ci crede se affermia- mo che, da due settimane, battiamo tutte le libre- rie della capitale industriale d'Italia per trovare una carta di Tripolitania, e non l'abbiamo tro- vata?!); questo ostentato entusiasmo di fronte a procedimenti di Governo, nuovi in tutti gli annali, che disgradano nel cinismo le gesta degli eroi del- la « corsa », e si oltraggiano i pirati col chiamarli pirateria; questo esempio di una gente, cui nep- pure le vergogne ed il sangue di Dogali e di Adua seppero rendere pensosa.., al di là di tre lustri; questa barbarie che risuscita, dilaga, trionfa — e si drappeggia a patriottismo, e si gonfia ripetendo a gran voce il nome d'Italia, e si impennacchia del tricolore — è bene il più penoso spettacolo, il lu- dibrio più triste, cui potesse, nella via toccarci di assistere. Non è neppure l'urlo del violento, del feroce, del masnadiero. Dove i nemici da sgominare? la glo- ria insanguinata da cogliere? — Non è il sogghi- gno malizioso di un nepote, fosse pure degenere, di Machiavello? Non astuzia, non doppiezza sa- piente è nel documento di vergogna, che il mar- chese di San Giuliano, con impropria nomencla- tura diplomatica, definiva ultimatum, poichè non esso intimava cosa alcuna sotto pena di guerra, nè offriva alternativa di sorta, se non fra aggressione ed aggressione, fra una morte e una morte. E neppure è, nel gesto, l'apatico disdegno del baro, che raccoglie, dal tappeto verde, la frodata posta del gioco. Dov'è l'oro? quale la preda?

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