Critica Sociale - Anno XIX - n. 9 - 1 maggio 1909

142 CRITICA SOCIALII RIJVIPIAt,lTI E OESIOE~II (Nleditazioni di n-iaggio) Una ventina d'anni fa eravamo tutti pili gio,•ani, non c 1 ò dubbio! nm alcuni di noi eravamo dei ra• g-azzi, e studiavamo la repubblica platonica nelle traduzioni interlineari dei testi Hachette, e la repub– blica sociale dell'avvenire sulle pagine di Nell'amw <luemila, che ci pareva l'appendice naturale del Ca– pitale di Carlo }lfarx: appendice proprio alla ma– niera dei giornrtli, nei quali le clo111~ette i ragazzi non leggono che il romanzo. Allora, una ventina d'anni ra, gravi obbiezioni ci si movc,•ano dai nostri gra,•i eguali sopra l'ordina– mento del perfetto tato socialista, e dio ci perdoni le stramberie e la sicumera delle risposte: - Chi farà il beccamo1·ti? Chi il vuota-cessi? E lì si tiravano fuori le macchine 1 gli automi, le scimmie nmnHtestrate (fin che non si fossero evoluto ,i dignità umnnn); e chi sa quali altri rimedi, sino a sopprimere i bisogni per evitare la difficoltà. del sopp<'rir\'i. Por esempio io sostenevo, unendo le più moderne idealità alle pili classiche costumanze, che la cremazione dei ca,laveri avrebbe fatto ri\'ivere il gentile ufficio di A ntigonc in ogni nostrn sorella, figlia o moglie, ed ecco risoluta la prima delle dif– ficoltà. Beate sciocchezze, in cui palpita la nuova anima dell'uomo che matura, come nella prima goffa 1trditezza amorosa o nella nausea del primo sigaro fumato! Eppure, dopo tanti anni e dopo tante lezioni di libri e di cose, certi dubbi e certe domande ci tor– nano allo spirito, ancor che mutate d'aspetto e di modi come quei nostri amici d'allora, che, se ci ri– compnrh1sero innanzi, pur essendo gli stcssii li ve– dremmo con barho ispide sulle guance ohe noi ~o– noscommo rosate; o con le rhiomo deformi di canizia; col \'entra obeso o insecchito, come il cervello gonfio di dottrina ingomhrnnte o imhozzflcchito nelle abi.tu– di11i professionali. Tristo cosa rivedere i v ecchi amici 1 cioè quelli che conoscemmo giovani! .·. Assistevo giorni or sono ad una assemblea di in– fermieri d'ospednli, cui minacciava il licenziamento, pe,· certo gravi risultanze d'un'inchiesta. Si diceva. esser provato che alcuni s'erano im1>iegati con falsi nomi, per evitare gli incomodi di identificazioni Bl>incovoli; che altri agevolavano l'ordinaria opera. di madre natura e la.straordinaria del padre medico, nhbrc\'iando pietosamente la \"ita ai sofferenti i che alcuni si fncev;rno ricompen~are dalle parenti dei ma– lati con donnesca cortesia, di quelle speciali cure o indulgenzo che usassero ai !oro cari; ed altre helle coso. )fa. in quei giorni stessi avevo letto di non so quale c1ttil fùrestiern 1 dove gli infermieri, in un ospe– tlale, ne n.vcv1u1 fatte di cotte e Ji crude. Questo in– dizio cli mnlo reclutamento degli infermieri è dolo– roso e pericoloso; perchè, se la convinzione di mal– trattamenti si diffonde uel popolo, ritorncri\ a vigo– reg-giarc il scnti111P11topauroso che vi destava pur il nome di o,-;perlalf, quando questi erano sentine di su– dicerie e di s111tgueo cl' ignornnza. hurl>anzosa. .Mn, d 1 nltrn pal'fe (pensavo io), chi d<>rn scegliere di far l'infcn11ioro? porchò un uomo 1 che può far il f11lo– gnn.111e,lo stuccatore, i! tipografo, mngari l'usciere ozioso d'un ufficio 1 devo porsi tra le tristezze e i pe– ricoli delle urnlattie; tra i funzional"J della morte; mescendo con dolcezza materna e con virile fermezza la medicina, RI mala.to riluttante; frenando pietoso e vigile il delirio fre mente; pronto ad ogni ributtante ufficio 1 chiuso nd ogni impressione di schifezza; nei ~iorni nfosi tm l'odor greve della febbre o dei disin- fetbrnti ; nelle notti trag·iche fra i lamenti e i sog11i dei nu\lutì, in cui continua il soffrire ... Perrhè deve fare questo tristo mestiere un uomo sano, intelli– gent.o, un poco istruito, quando mille altri so ne of– frono più giocondi, riposati o sereni alla sua attività? La vecchia società, che più si apprezza quanto meglio si conosce la ,·ita, aveva risolto ingegnosa– mente il difficile problema, creando uno staio d'animo che rendeva naturale, spontanea la scelta d'una pro– fessione di dolore. La monaca, che compra la feli– cità eternA. con le poche monete d'oro de' suoi anni mortali, sncrificnti in una corsia d'ospedale o in un corridoio di prigionei non fa questione cli salario no' paragono di occupazioni : quanto più I am~i 1 questo sono ripugnanti e il merito del disimpegnarle si ra maggiore, ossa ne gode in quanto si aumenta il prezzo ciel suo sacrificio e con esso il tantum cli felicifa del ciclo che gliene può derivare. Ilo prospettata hl cosa nei rudi termini d'un con– tratto fra uomo o Dio, perchò, nella gran parte cli quello ignoranti animo conventuali, il merito dell'o– pera o In grnzia ciel premio si disegnano in questi modi: ma, frattanto, nell'esercizio giornaliero dei pie– tosi uffici, hL femminilità giunge qualche volta (lo so, non sempre) a velar di devozione e di dolcezza l'opera u meritorin. ,.,, che lri suora non fa piì1 per un raggio delhL felicità del cielo, ma per il più caro raggio di sorriso umano, nel volto dell'infermo rico– noscente. So hcnissirno lui.ti i danni e le lotte che i dirigenti degli ospedali h anno lamentato o sostenuto per l'assistenza. monacale: ciò deriva eia un fattore storico, poi quule una istituzione, foggiata su abitu– dini d'altri tempi, non si adatta a più tarde muta– zioni. Onde, can~iati radicalmente il governo delle cure e i mezzi o i modi terapeutici e i concetti stessi fond;unentali di ciò che ò il morbo, la monaoa 1 nv– vezza alle nntiche cHre empiriche, di\"e11ned'impaccio o nemica ai nuovi modi; cangiata la coscienza reli– giosa, essa si trovò a far la propaganda agli incre– duli, o talvolta. propaganda. energica e persuasirn, ad opporsi alla ereair, della scienza, impersonata (sem– pre?) dal medico - e nnche per questo dimostrò che nl mondo occorre ri11novarsi por non perire. Dunque mi detergo di lue monacale, o lettori se– veri. Ma resta la domanda - u11adomanda, se volete, da rngazzo quindicenne: nella lciicilà.. della nostra vita, della nostrn legge morale, dell'utile economico e dell'agio individuale, chi vorrà fare da infermiere? . * * Por varie ragio11i e molteplici si rende di giorno in giorno meno agevole e men proficua per la no– stra. società democratica la scelta dei maestri ele– mentnrL Non mi indugio nelle cause, appunto perchè le ho imprudentemente dette rarie e molteplici cd, ora che scrivo 1 non ne ho a mente che una, che dirò, porchè mi suggerisco appunto queste poche righe; ma chi voglia averne miglior notizia legga l'ottima rivista dei _,Yuo,:iDoveri del prof. Lombardo Radice (permetti, '11urati 1 la réclame a nulla. il rigo?), o ne f:;Ollociti la trattazione in questa stessa Critica Sociale 1 dicendo al Direttore che la preparazione e l':1cquisto dei maestri è fondnmentale bisogno sociale - almeno RC vog-liamo una società con « forza di po– polo ,.,, Per ora, la ragiono unica, a cui accen1uivo 1 bn· stcrà. non a risolvere il problema ma a rialln.cciarlo ad uno più vasto: a quello (per esempio) degli infer– mieri. Oh ! non c'è bisogno che vi inteneriate innanzi ai mustacciui tondi e ai testoni rapati o chiomati dei nostri marmocchi 1 per dire che essi non sono re pugnanti o compassionevoli infermi ; ma che hanno solo la più graziosa, delle infermità: la delicotcz:.rn della gemmiL che shoccia. Non ce n'è bisogno, perchè nò io ho voluto offendere l'autorevole classe dei no-

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