Critica Sociale - Anno XVI - n. 21 - 1 novembre 1906

326 CRITICASOCIALE ditano, e che con noi nulla ànno di comune fuorchè un nome usurpato; ma le nostre convinzioni sincere ànno un diritto al rispetto ed alla discussione, e ri· vendicarlo è appunto scopo di questo articolo. L'autore non à la pretesa di imporre ad alcuno i propri convincimenti, ma riputerà raggiunto il suo intento, se avrà indotto qualcuno a riflettere sere– namente sul problema nazionale italiano. . .. Non occorre ripetere che l'irredentismo mira a riunire il Trentino e la Venezia Giulia (Friuli, Trieste, Istria) all'Italia; che nel Trentino gl'italiani si trovano compatti contro i tedeschi, ed un distacco si potrebbe effettuare senza ledere i diritti altrui; che nella Venezia Giulia invece la mescolanza delle stirpi, ita1iani e slavi (cioè sloveni e croati), rende io qualche parte più difficile, assai difficilei tracciare una linea di distinzione nazionale precisa. Difficoltà non vuol però dire impossibilità. E l'illustrefilosofo senatore Ascoli è riescito a tracciare questa linea in modo assai soddisfacente e con un minimmn di ingiustizia, inevitabile in ogni paese di confine. Se– condo questo progetto, italiani e slavi rinuncereb– bero a far valere il diritto storico sulla regione e s'atterrehbero a1le circostanze presenti. Il Friuli con Gorizia e Gradisca, Trieste e una parte dell'Istria romana sono separabili abbastanza nettamente; queste spetterebbero agPitaliani. Nelle località di popola– zione mista, deciderà il plebiscito. Le minoranze si adatteranno od emigreranno - non sarebbe il primo caso -; del resto dovunque ai confini c'è mesco– lanza di linguaggio, senza che ciò sia causa di guai. Quanto alla Dalmazia, poi,le condizioni sue sono tali, che non ci possiamo più fare illusioni. La so]a 1/.ara. mantiene incorrotto il suo carattere veneto, ed even– tualmente ci dovremmo limitare a redimere quei 20.000 cittadini. :Ma credo che tutto ciò, che per loro si potrà ottenere, sarà una garanzia di pace e di rispetto per ]a loro veneta civiltà. . . . I popoli} che compongono la monarchia austro– ungarica sono, quale più quale meno, quasi tutti irredentisti. Eccettuati i tedeschi delle province al– pine - i quali nello Stato possiedono l'egemonia e conservano ancora, quantunque diminuito, il culto de1la patria e della dinastia - czechi, polacchi, ita– Jiani, slavi, quante sono Je rimanenti stirpi, tutte sentono il disagio d'una unione che nessuna di esse à volontariamente eletta, ma cui le armi ·o i trattati, l'eredità o i matrimoni le ànno costrette, bcnchè nulla fra loro ft\'essero in comune. Il r.apriccio della storia le à riunite sotto la dominazione degli Ab– sburgo, ma la fusione politica non fu seguita mai da una fusione nazionale; il famoso divide et impem,, che fu sempre ]a divisa absburghese, à contribuito a ciò la. sua buona parte. Lo stato cronico di lotta nazionale ne fu la conseguenza immediata. Mi sembra abbastanza logico che, date tali circo– stanze, ognuno dei popoli dell'Austria desideri libe– rarsi dagli altri ed andar per la sua via. Ed è ovvio, che questa aspirazione è tanto più forte in coloro che si sentono più deboli e più esposti agli attacchi degli altri popoli ed alle prepotenze governative. Non occorrono altre spiegazioni per comprendere l'irredentismo deg1i italiani, i quali si vedono in 800.000 costretti a pugnare su due fronti contro l'invadenza dei milioni di tedeschi e di slavi, ricchi di mezzi finanziari. l\fa le loro Società, che 1 sotto la maschera della cultura o della educazione fisica, fanno Ja pro– paganda pangermanica o panslavistica nelle nostre tene, la Sii,d11w1·h, cioè, lo Schulverein, l'Alpenverein la Ci1·illo e Metodio e le Società di "so!wlisU 11 , sono largamente sovvenuto dalle associazioni panslaviste e pangermaniche 'della Russia o tiella Germania; mentre è coi soli mezzi degli italiani irredenti che Ja posizione .è difesa dalla eroica" Lega Nazionale" e dai nostri clubs sportivi. Oltre a questa causa linguistica, sussiste nel 'rl'en– tino la causa economica del distacco. Il sistema e i rami di produzione sono quelli lombardi, nella stessa maniera che i costumi; mentre il 'rirolu, cui esso è unito in mostruoso connubio, à costumi ed economia bavaresi. NelPlstria i maggiori cespiti di rendita sono la pesca, la coltivazione della vite e dell'olivo, il sale ed un po' il carbone. Unendosi a!l'[talia, essa non avrebbe danno economico, vantaggi for-e nep pui·e. l'I Friuli austriaco è la continuazione naturale di quello italiano. Rt'sta Trieste. C'è il pregiudizio che essa senza l'Austria non possa vivere, od almeno prosperare. Si dice: u Trieste è l'unico porto del– l'Austria, ed è naturale che questa se lo tenga caro e lo favorisca comunque può, mentre l'ltalia, che di porti non manca, non saprebbe che farsene) e non spenderebbe una lira per essa. Vedete, per esempio, il nuovo porto, che l'Austria sta costruendo, e la seconda congiunzione 1crroviaria, .. E poi - si BO/.{· giunge - i commercianti stessi della città si ribel– lerebbero contro un distacco dalla monarchia, perchè questo sarebbe il segnale della decadenza del grande emporio marittimo. " Ebbene, tuttociò non à ombra di fondamento. È vero bensì che Trieste è l'unico porto del– l'Impero e che sarebbe nell'interesse di questo di avvantaggiarlo. Ma ciò non avv-iene. La città - e può dirlo ognuno che ne conosca la storia commer– ciale - non ebbe dal Governo di Vienna assoluta– mente nulla. Tn odio alla sua italianità ed al suo spirito liberale, essa fu Ja Cenerentola delle città dell'lmpero. Ciò riesce evidente se si confronta coi favori che Fiume continuamente riceve dall'Ungheria e Vienna e Praga dall'Austria. , La seconda congiunzione ferroviaria con l'interno fu costruita, non per far piacere ai triestini o per dare impulso ai loro commerci, ma per 11ecessitàstrate– giche (tutti i giornali l'àuno riconosciuto) e per vo– lontà dello stato maggiore; le ragioni commerciali entrarono in linea molto subordinata e piuttosto contro Ja volontà dei gros bo11nets dell'Amministra– zione, detentori delle azioni della Ferrovia ì\[eridio– nale. I!! neanche il nuoYo porto è un regalo ai trie– stini; perchè, malgrado le loro decennali insistenze, esso fu concesso solo sotto la pressione degli indu– striali e degli agrari èlell'interno, Cl,li la via d'Am– burgo non bastava piìt. Sfatata così la leggenda dei favol'i austriaci, ve– niamo a ribattere un secondo pregiudizio. Perchè il commercio di Trieste dovrebbe decadere, se la città. s'unisse all'Italia? - Si risponde: " Perchè tutti i suoi interessi sono nella mona.rchia." Correggo: Non nella monarchia, nell'Europa centrale.~ indifferente che i vari paesi dell'Europa centrale costituiscano una l\[onarchia austriaca od una lì'ederazione, o sieno indipendenti l'ur~o dall'altro o in qualunque altro modo organizzati. rl'rieste è in rapporti commercia.li con loro, all'istesso modo che lo è Geno,•a con la Svizzera e la Germania meridionale, e lo rimarrebbe anche nel caso che la SYizzera non esistesse come Stato, o che in Germania comandassero i francesi. Non è la posizione politica d'una città che imJ)orta, ma la posizione geografica. Trieste si trova e si tro– verà sempre in fondo alPAdriatico, allo sbocco di importanti strade commerciali e di valichi alpini. Per scendere dal centro d'Europa al mare, le merci non ànno altra via, se togliamo Salonicco - la quale però nelle circostanze attuali della penisola balca– nica resta fuori di questione - e devono sboccar:,e

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