Critica Sociale - Anno XVI - n. 4 - 16 febbraio 1906

CRTTCCASOCIALF. vile e cli ogni progresso sociale. Jl pensiero, mille volte espresso dal ì\ra,w;ini,che non è possibile il pro– g-rcsso là dove spie o bii-ri vigilano notte e giorno a. impedire la lihera circol1111iono del pensiero nelle parole e nei libri) e che il patto dell"Umanità. non può esser segnato che da popoli liheri e uguali, non è certo ripudiato dai socifllisti oggi; nrn, evidente– mente, si trovn prnch:mmentc agli antipodi del pen– siero di I lrrY(•, Posson dire nltrcttanto i ('onser– va.tori? Per noi la conquista della indipondcnia nazionale non è :--t11ta fine a sè stcs~a; è staht raggiungimento di un mezzo, ùellc condizioni, cioi\ nello quali po– tesse ottenersi una politica di lihcrth che pcrmct– tes~e alle forze delle classi lavoratrici di affermarsi e conquistarsi grado gmdo tutta la serie delle loro l'ivendica;r,ioni. Anche recentemente voi scrivevate su queste colonne che " quel che covammo di Giolitti fu In difesa della liherUl e delle organizza– zioni operaie e contadine, ostiche al Corriere e ai suoi amici ": confermando così, a riguardo di un episodio transitorio qual'è la vita di un Ministero, quel principio generale cui non deve mai contraddire l'azione socialista, che la libertà è l'ossigeno, senza il quale si soffoca e si muore. E libertìt (chi non lo capisce?) è termine antitetico e inco1ilpatibile col dominio straniero invocato clall'Hervé. Dunque dall'Herve si trova più lontano chi non sa fare a meno della libertà, che non chi afferma la necessità del militarismo come strumento di difesa di classe e, quindi, di oppl'essione e restrizione della libertà. Neghiamo dunque noi la necessità di una difesa nazionale? No, perchè non chiudiamo gli occhi alla realtà de1le condizioni attuali; e non è molto che il Bissolati, nella franchezza della ~ua mente Jucida e serena, esponeva il dubbio sulla convenienza di in– debolir noi, la Francia e le altre nazioni più liberali di fronte alle nazioni più renzionarie. Affermiamo di essere nemici della patria e desiderosi dì un do– minio straniero? Meno che mai; ma nella patria e nella sua indipendenza cerchiamo precisamente quello che Pericle, nell'orazione funebre che gli fa pronun• ciare Tucidide, diceva essere amato dagli Ateniesi nella loro città.: Puguaglianza effettiva di tutti di– nanzi alla legge, la garanzia della libertà per tutti i cittadini, la, protezione dei deboli. E appunto per ciò noi ci opponiamo a quella concc,donc delreser– cito che il Corriere afferma: che esso debl>a esser strumento di dominazione di classe, per i capitalisti oggi da Conselice a Berra a Granmichele, per ; pro• letari domani a bo1nbanlare le fabbriche che non cedano agli scioperi. Se :a Jotta per l'indipéndenza nazionale è stata un magnifico sbmcio d'insofferenza d'ogni oppressione, dobbiamo consentire che questa oppressione ci continui in casa, e dobbiamo fornirle gli strnmenti? i\la allora il Corriere viene a dar ragione a un certo imw sbarazzino (ricordate?): i nemici, gU stranie1·i non son lttngi, ma son q11i. Noi non neghiamo che il Corriere, nel sostenere la sua t.esi 1 sia stato più logico di quei socialisti che hanno aderito alla teoria di I-fervé. L'esercito, esso ha scritto) può servire anche ad una politica cli s,·i– luppo degli interessi proleta.ri , purchè il ministro della guerra socialista, nei casi cli resistenza paclro• naie agli scioperi, ordini il bombardamento delle fabbriche che non cedono; i moderati in quel giorno se la prenderanno col .Ministero, ma non proteste– ranno contro gli artiglieri ubbidienti agli ordini su– periori. Per essi, anzi, l'importante è questa ub– bidienza cieca e passiva; e dagli stessi socialisti invocano aiuto a fortificare lo spirito militare, senza del qtrnlc non può l'esercito risponder piit al loro concetto di esser docile strumento in mano cli chi comanda. Orbene, noi che riconosriamo l'indipendenza na7,ÌO– uale indii-pemrnbile alle noi-;trefinalità (v~igga l'opera dei socialisti trentini o dei polacchi, chi vuol per– f;Uadersene); noi 1 che nella patria difendia,mo quei vr..utng-giche cs8a ci può a~sicurare; noi, che il.lll· mettiamo nelle condizioni attuali, come dimostrò nttorio Piva nell'Arnnti dr,[{a Dn111mica, la necessitìl di ('Sser pronti a difendere i confini e In libertà dn ogni sopraffnzione straniera; noi, precisamente per ciò, siamo nv,·ersarì del militarismo o cli quello f.!J)i– rito di casta che il Cnl'riere c'invita a sostenere. 1.lilitorismo non~ difesa nniionale: è spirito medioe– vnlc di cieca esaltniione del principio assoluto di autoritì1, che nega nei soggetti, in nome della disci– pli1w, ogni diritto civile e la. ste.;sa qualità di uomo cosciente; è spirito di casta, che vuol porre l'eser– cito sopra e contro il diritto comune, isolandolo dalla vita sociale per chiuderlo ad ogni lihera corrente di pensiero. Pur ieri i giornali narravano di un soldato posto alla prigione di rigore per aver letto l'A1:m1ti!, e ieri e oggi e cloma.ni dal .Ministero della guerra son partiti e partiranno ordini di perquisizioni per scoprire i soldati rei di pensiero socialista. Il che significa che non si può essere, seeùndo i nostri av– versari, ~oldato e pensare co1la propria testa; che c'è antitesi fra le due qualità. di soldato e di citta– dino j che la disciplina deve scaturire, non dalla adesione cosciente alla comune finalits'l. 1 ma dalla rinuncia forzata al proprio pensiero e al proprio sen• timento e dalla obbedienza cieca e passiva agli or– dini superiori. Qualunque sia, l'online del superiore va eseguito: non è questo che vogliono i moderati? Ma dall'In· ghilterra Angelo Crespi, in uno dei suoi lucidi arti• coli, ci segn11Jaya il pensiero di un conservatore, affermante che l'esercito non deve essei· sottratto al diritto comune, e che i soldati, che sparano ed ucci– dono le folle perchè l'ufficiale ha così ordinato, de– vono esser processati al pari di qualsiasi Rltro omicida. A tale pensiero non può aderire chi nell'esercito vede, pill che il mezzo di una eventuale difesa na– zionale, lo strumento cli una permanente domina• z;ione di classe. L'obbedienza passiva, l'assolutismo dell'autol'ità, la sopprnssione ciel cittadino nel soldato ò un dogma per essi, perchè senza ciò l'esercito non risponderebbe pilr ai loro fini. Logici, senza dubbio; ma non possono pretendere da noi l'adesione. Noi vogliamo democratizzal'O l'esercito, e per questo siamo contro il militarismo, e non siamo con l{ervé. J'aurès 1 che pronuncia eloquenti discorsi contro il milita– rismo, rifiuta la sua firma ai manifesti herveiani; in Italia i socialisti parlano, come il Corriere con suo stupore osscrva,·a, di riduzione, non cli soppressione dei bilanci militari, e lo stesso Ciccotti formulava. progetti cli riorganizzazione dell'esercito. J~erchè, ad esempio, chi ha fatto il servizio mili• tare sa bene che nell'istrnzione militare si impie– gano cinque o sei mesi al massimo, e che il resto clella ferma si riduce a un ozioso vagabondaggio per i cortili delle caserme. Io ricordo che, mentre ero soldato, venne dal )linistero l'ordine di conge– dare dopo sei mesi tutti quelli che erano stati rive– dibili; e prima di esser congedati vennero sottoposti all'esame cli caporale, e 1 per quanto in quel reggi– mento (telegrafisti) ci fosse anche un'istruzione spe– ciale, la maggior parte superarono la prova. Ricordo che i volontarì di un anno, anche col semplice cer– tificato di proscioglimento elementare, diventano, dopo 12 mesi, sergenti; se, dunque, 6 n1P,sibastano a chi fu rivedibile per diventar capora!e, e altri 6 valgono a chi paga 1200 lire per diventar sergente, perchè, a chi ò sano e robusto e non paga se non di

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