20 LA CRITICA POLITICA Ritornando al lavoro del Pannone esso ha moltissimi pregi ed è assolutamente raccomandabile agli studiosi. Nuoce soltanto una certa trascuratezza di forma, dovuta forse alla fretta dell'edizione. Difetto dal quale l'A. farà bene ad emendarsi nel secondo volume che tratterà della Ingerenza dello Stato nei rapporti economici. * * * La storia del Regno di Napoli del Croce è senza dubbio degna del maestro. Essa è una brillante sintesi dello sviluppo della tradizione politica nell'organizzazione statale meridionale, che ebbe una povera e difficile vita dopo la secessione siciliana. II sogno ambizioso, ma non privo di grandezza, di Carlo d'Angiò veniva infranto dalla guerra civile, dalla perdita di quel1' isola che era stata sino allora il migliore ornamento della monarchia, e che era base indispensabile per una politica di penetrazione in Oriente ed in Africa. Cosl i suoi successori s'eran trovati costretti a svolgere un'azione di governo di pura amministrazione fra baroni riottosi, congiure di palazzo e conseguenti complicazioni estere. I diversivi ungheresi di Carlo e di Ladislao di Durazzo, avevano presto fallito per la sproporzione fra i fini ed i mezzi a disposizione. Tormentato dalle guerre intestine il Regno era finito in mano agli Aragonesi; ma essi non avevano ricostituito l'unità politica ed economica con la Sicilia, ed erano stati ben presto travolti dalle· necessità ambientali che avevano intristito l'attività di governo degli angioini e durazzeschi. E poi il viceregno con lo sviluppo mostruoso parassitario di Napoli, a cui da ogni parte i sudditi del Reame accorrevano per poter beneficiare dei suoi numerosi privilegi. La folla dei cenciosi, attorno, ai regi castelli dall'architettura severa e dall'aspetto imponente, si era infittita, ed essa godeva di potersi disputare le briciole dei festini allestiti dai nobili signori tutti intenti a sperperare le rendite ed a preparare la rovina della loro ca&ata. E poi le sommosse e gli schiammazzi di una plebe di centinaia di migliaia di lazzari, movimenti che per la loro gigantesca imponenza assumevano l'aspetto di rivoluzioni senza averne lo spirito animatore. Ed intanto a fianco dei baroni fastosi, della plebaglia oziosa e dei mercanti forestieri ecco sorgere nella grande città, rivale per popolazione di Parigi, una schiera di curiali, di letterati, di medici, di fil?sofi, viventi anch'essi in margine a l'attività amministrativa e giurisdizionale dei pubblici poteri o sulla generosità di nobili signori e del medio ceto arricchito, ma dalla seconda metà qel sec. XVII perfettamente informati delle correnti di pensiero del tempo, avversari della mentalità e della cultura gesuitica, sostenitori del giurisdizionalismo, cartesiani, naturalisti, atomisti, rinnovatori dello stile italiano dalle esagerazioni del barocco. E questo moto spirituale, che culmina con l'opera di Pietro Giannone (e da cui sorge come isolato prodotto anacronistico anche quella del Vico) è il • presupposto del regno autonomo, la linfa animatrice del Settecento meridionale. Ma lo Stato borbonico alla fine del secolo s'incontra con la rivoluzione, con l'amministrazione fràncese. E al ritorno della dinastia si manifesta la sua crisi. Incapace di ricollegarsi all'opera febbrilmente compiuta dagli stranieri e dai loro collaboratori indigeni, per continuarla con pari intensità, subisce _una nuova scossa dal pronunciamento del '20-21, ultimo sforzo della generazione illuminista che non si rassegna a morire. Poi il sorgere Biblioteca· Gino Bianco
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