Vi saluta la Chiesa che è in Babilonia - n. 7 - maggio 1978

un valore, ma se diventa il centro della fede, ecco, allora, può non signi– ficare nulla. Riacquista, invece, tutto il suo senso quando colui che compie questi gesti, li fa attraverso il Vangelo, situandosi nel luogo stesso di Cristo. Altrimenti che senso ha una conversione come semplice aggregazione sociale al mondo cattolico? Gli è però che si è venuto perdendo il minimo di nostal– gia del divino, anch'esso soffocato dall'abitudine. Il credente sembra non saper stare più innanzi a Dio. Mi è capitato un episodio abbastanza comico: una parrocchiana mi ha pregato di fare meno pause durante la messa perché le risultavano intollerabili e sì che si tratta di pause silenti previste dalla stessa liturgia. Ecco, allora, che, in quei momenti, non più presi dal fascino della parola, venuto meno questo gesto sicuro e buono che è la parola, improvvisamente ci si trova soli innanzi a Dio. E questo fa terrore e ci spinge a pensare che, per alcuni, riuscirebbe più facile capire che cosa vuol dire stare con Dio non frequentando la chiesa. Ieri, nel breviario, ho letto un bellissimo testo di Agostino; qui si dice che l'anima si avvicina a Dio col desiderio e, con rife– rimento ai pescatori di Ippona, si porta l'esempio di un sacco che deve essere allargato se ci si vuol mettere qualche cosa di voluminoso; così è il desiderio che allarga il sacco dell'anima. Se molti sospendessero la comunione, stessero due mesi senza andare a messa, forse aumenterebbe in loro il desiderio. In– vece l'abitudine ha finito con il banalizzare il gesto, ha reso rassicurante e confortevole un gesto da cui non si attende alcuna asprezza ma che serve, in sostanza, a farci sentire a posto. Ebbene, in questo senso, si tratta proprio di un gesto assolutamente ateo: è proprio pagare il prezzo perché Dio mi sia indifferente. Quando ci si trova in presenza di un'assemblea cristiana di que– sto tipo, se ne sente veramente l'orrore perché è una vera fuga da Dio; que– sto significato talvolta assume l'assemblea se si dovessero veramente guardare le cose innanzi allo splendore della maestà, al «Tre volte» Santo. Questo tipo di presenza è dunque il segno della perfetta estraneità; non è a questo che dobbiamo invitare gli uomini ma invece ad avvicinarsi a Dio. Solo chi sia convertito a Gesù Cristo, può, senza pericoli, diventare cattolico; altrimenti saremo come i farisei i quali, come dice il Signore, girano il mondo per fare il proselite e lo fanno peggiore di loro. Possiamo quindi dire che l'avere il senso di Dio, che significa poi avere quello di Cristo, va difeso dalla banaliz– zazione ecclesiastica dell'Israele carnale. Ho detto prima che dobbiamo, da Dio, amare l'Israele carnale ma, per altro verso, per salire a Dio, dobbiamo difendercene. Proprio perché c'è un'educazione ecclesiastica che mortifica, che fa estinguere la fede. Io ho insegnato in seminario e questa esperienza mi ha mostrato come la parola di Dio possa scendere veramente ridotta ad acqua fresca; qualunque cosa sia detta sembra capita da questi giovani come ma– teria d'esame e se qualche cosa, in fondo, qualche filo modesto passa, ciò accade quasi al di là di quello che l'istituzione richiede; ad essi non è chiesto di diventare cristiani ma solo, in sostanza, di convivere con l'istituzione, di avere un rapporto sopportabile col parroco e col vescovo, è chiesto ancor meno di quello che era chiesto trent'anni fa. Non c'è dubbio quindi che non possia– mo non sentire lo scandalo dell'istituzione ma non possiamo non sentire anche nei suoi confronti la carità fraterna. Questo è il nostro dramma. Questi, credo, siano i due atteggiamenti che dobbiamo avere insieme e con questo punto mi pare si possa concludere il tema, città di Dio, città dell'uomo. bibliotecaginobianco 15

RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=