Alfabeta - anno V - n. 48 - maggio 1983

ADRIATICA EDITRICE BARI «Segni di segni» Quaderni di filosofia del linguaggio e antropologia culturale dell'Università di Bari. Collana diretta da Augusto Ponzio. Patrizia Calefato, Tempo e segno LireS.000 Augusto Ponzio, Spostamenti Percorsi e discorsi sul segno Lire 6.800 Giuseppe Mininni, Psicosemiotica Lire 12.000 Maria Solinini, La materia culturale Strutture miti riti scambi maschere Lire 10.500 Polifonie. Soggetto e scrittura, desiderio e devianza, moda e fiaba. A cura di Augusto Ponzio. Lire 12.000 Augusto Ponzio, Mariagrazia Tundo, Eugenia Paulicelli, Lo spreco dei significanti. L'eros la morte la scrittura Lire 12.000 Giuseppe Mininni, Dialogo e argomentazione. Lire 14.000 ADRIATICA EDITRICE BARI • 11 t! :fi, e,,, a,, ii1l i!, Il corpo e l'anima 'IYE,LL'E, 'P.?I.SSIO~ <.u\',&i.,,•·•••rll ,,...,... ,..•••••·n•·u., <.u.-.itH~°"'m,.,.,.... ~ ~ larsilio Editori 'AA0\l_CYP'IICO'.i'{ "• ,;,u~1t ,t--,,,1tfr•,p,·o o· ......... , .. 1.11,,,,,. TJl"'TJ"TT1T'i ..aJ.'!' ,IIIIUllt ::::~ ~~ :--~ :: ;: ~: . . .....,, Vuoto di pubblico Giuseppe Bartolucci è sempre stato tra quelli che in Italia hanno fatto molto per introdurre, sostenere e diffondere il teatro d'avanguardia, anche sul piano del/'organizzazione e della militanza in senso lato. Il lavoro di Bartolucci, e la determinazione con la quale difende le cose in cui crede, solleva dibattito eperplessità, oggi anche tra molti di coloro che negli anni scorsi facevano parte del suo giro. Per quanto mi riguarda, non condivido la logi<:ache consiste nel creare dei movimenti (e rispettive etichette: neoavanguardia, scuola romana, postavanguardia, ecc.) e nell'esserne poi il difensore d'ufficio. Questo intervento mi sembra tuttavia interessante perché apre, a partire dall'esempio romano, su un problema scottante: la crisi del teatro d'avanguardia (o «di ricerca», comunque non quello istituzionale). Una crisi che viene presentata in modo inedito e pertinente, mettendo in causa non solo gli artisti ma anche un ambiente culturale, e richiamando l'intreccio tra risultati estetici e riscontro di mercato, la funzione dei critici e quella dei politici. Un intervento dunque che riprende alcuni temi sollevati da Alfabeta in questi mesi. Altri potranno seguire. A.A. D i fronte al vuoto di pubblico, di nuove e vecchie istituzioni, di spettacoli, di gruppi, di artisti, che sta attraversando l'avanguardia romana, io sono del parere - e con buonsenso non per terrorismo - che si debba essere lucidi e impietosi sino in fondo, o meglio essere semplicemente osservatori del reale, di quel che sta succedendo; ma sono anche del parere che si debba alzare il tiro, e quindi stanare dall'avanguardia romana la complicità dei critici, il paternalismo delle 1st1tuzioni, l'opportunismo dei politici di sinistra, la presunzione dei gruppi e degli artisti. Cominciamo dai critici: è terribilmente dannoso e un po' indecente che questa avanguardia debba essere disputata dai soliti Cordelli, Garrone, Moscati e pochi altri, e che sia attaccata e vilipesa dai vice, i quali fino a prova contraria non hanno il marchio di intelligenza e di sensibilità scritto sulla fronte per questo loro atteggiamento. Mentre, se i Chiaretti, i Siciliano, i Pagliarani - per fare qualche nome con cui bisogna pur confrontarsi - non frequentano gruppi né vanno a spettacoli di questa avanguardia romana, qualche ragione deve pur esserci, o vogliamo continuare a dirci che non sanno quel che fanno, che sono inguaribilmente per il vecchio teatro, e via dicendo? Intanto da Perlini essi vanno, e ne parlano ragionevolmente, e vanno anche da Leo, e quando merita sanno descriverne la qualità; vanno anche da Mazzali e dalla Gaia Scienza da qualche stagione, con naturali ritrosie e altrettanti naturali entusiasmi. Ma altro non è naturale né giusto: e intanto i giornali farebbero bene a perdere parecchi degli spettacoli che recensiscono con certosina inattualità sia per i gruppi che per i critici. Un po' di selezione, ci vorrebbe, ma anche un po' di attenzione. Giuseppe Bartolucci E naturalmente un po' di responsabilità dei due fronti, se non si vuole faré cadere a pezzi la presenza necessaria dell'avanguardia a Roma e indurla a ruminare quel pettegolezzo e quella complicità in cui tutti quanti - io compreso - ci siamo adagiati, per presunzione e per isolamento, ferme restando le rispettive inclinazioni ed educazioni, e fermi restando i combatti-. menti (quali?) e le barricate (dove?) su cui ci siamo assisi donchisciottescamente e tragicamente. 11 vuoto di pubblico. Le statistiche sono semplicemente paurose: per un Falso Movimento che incamera quindici pieni sull'onda di un successo di contagio e sulla qualità del lavoro, ma direi per coincidenze senza possibilità di riscontro altrove, quanti magri spettacoli, dal Trianon a Spaziozero, dal Padiglione Borghese al Teatro di Trastevere ... E il conto non si ferma qui: potrebbe estendersi alle decine e decine di locali cosiddetti di avanguardia. Dire «magri» è nascondere la verità, bisognerebbe parlare di vuoti. Sono sicuro che lo stesso Perlini, tornando alla Piramide, soffrirebbe della perdita di buona parte dei suoi affezionati. L'anno scorso l'Eti, mal calibrando i suoi progetti - del resto soggetti a troppe pressioni sperimentali e politiche, - invase l'Italia di gruppi, con il risultato di ottenere il 30 per cento degli spettacoli ineffettuato per mancanza di pubblico, e con una media di poche decine di spettatori per tutte le altre rappresentazioni (ma la spesa è stata di circa 300 milioni o giù di lì... ). Questo sì che è dilapidare denaro e bruciare energie, dal momento che gruppi come i Magazzini, o Falso Movimento, o la Gaia Scienza, inviati in luoghi dove il loro lavoro era riconosciuto e apprezzato, e dove gli spettacoli non erano affidati a impresari o mediatori fasulli e impreparati, ne sono usciti bene (non direi ottimamente). Tornando a Roma, che bene può avere fatto al pubblico romano - che aveva già un suo tracciato ed era sensibilmente disponibile, sino a qualche stagione fa, - scodellare un censimento' dove tutti çlemocraticamente potessero morire in piedi, e dove gli spettatori non avevano modo di raccapezzarsi nemmeno un po'? Quello romano è un pubblico già ridottissimo e infelice, perché tagliato fuori dalle sorprese (pochissime) e dalle variazioni (scarsissime), e viene considerato puro e semplice strumento di trastullo e di indifferenza, per di più sotto un «Re di Roma» inguaribilmente malato di egocentrismo e alla ricerca di una intesa impossibile (sia pure sinceramente). Diciamo allora che questo pubblico è ridotto a qualche centinaio di persone, delle quali la metà è costituita dai soliti maniaci e dai soliti eletti, e l'altra metà è racimolata di volta in volta con etichette di danza, di sport, di discoteca, di non so quale altra suggestione. Pochi e permalosi, scontrosi e offensivi, ecco quel che sono, che siamo diventati in queste false trincee, in questi vacui avamposti, e in questo caso non c'è di peggio che lanciarsi ingiurie e dimenticare il lavoro, essere portatori di stupide zizzanie e disattendere così ai mutamenti e alle innovazioni laddove sorgono ed urgono. Ma dica qualcuno che questo pubblico esiste, ed esibisca i borderò, o meglio ancora il numero dei biglietti dati, giurando sul proprio onore, e non su quello della Siae che fa del resto il suo dovere'. Il pubblico non c'è, è stato perduto - e non è soltanto colpa né dei critici stupidi né dei politici maldestri né del peso della tradizione o di chi per essa, no davvero. La colpa è soprattutto dei gruppi, degli artisti in questo caso, e dei loro accompagnatori, dei loro allenatori. I ntendiamoci. Se c'è uno che va matto per Nicolini, sono proprio io, e non mi riesce mai di dargli addosso, anche perché ha lavorato così bene ai fianchi e ha messo a terra tante di quelle volte letterati e accademici di questa capitale addormentata e slabbrata come mai ad alcun altro è stato possibile osare e intraprendere, e in particolare perché ha dato tante OCC36ionail pubblico di uscire dagli specifici artistici e di addentrarsi nell'urbano liberamente. Ma qui bisogna anche chiudere i conti con la spettacolarità, con l'innesto dell'avanguardia e dei suoi modi nel tessuto urbano per avvertita disattenzione (i conflitti di Castelporziano sono perduti e le emergenze hanno voltato la faccia altrove); e, per quel che ci riguarda, il lavoro teatrale - sia di stretta osservanza interdisciplinare, sia quello tendenzialmente fuori di scena, - ha ora bisogno di rientrare, per così dire, e di trovare suoi strumenti espressivi, sue forme comunicative, proprio per insediarsi al centro dell'operatività artistica, e per non agire da corsaro e scappare via e rientrare senza incidenza. Per fare ciò, è necessario rigore, come sono necessarie sedi; è inevitabile la competitività come è necessaria la durata; e si sa che la competitività esige la morte di tanti, e che la durata impone rendite e progettazioni. Non c'è scampo: da questo punto di vista meglio dimenticare le apparizioni, e meglio è imporsi sul mercato, meglio è voltare le spalle alla spettacolarità e incidere direttamente sullo spettacolo. Questo concetto l'ha capito da tempo Carmelo Bene, il quale oggi preferisce giustamente parlare di borderò e di cifre e meno di arte e di avanguardia; poiché il suo lavoro deve afferrare la carne e non le ossa, e i suoi rendimenti artistici devono coincidere con quelli produttivi. Questo concetto non sfiora nemmeno la mente dei nostri avanguardisti quarantenni (non dico dei ventenni, ai quali per fortuna - di tanto in tanto - capita di eccellere e di superare tutti, ma con che fatica e per quale grazia soltanto dio e loro lo sanno e lo provano). Ma i quarantenni che stanno accumulando bollini di pensione (e buon pro gli faccia) e che continuano a mettersi il distintivo dell'avanguardia, è bene che sappiano di essere perduti, non dico superati, ecco: proprio senza destino né presenza, salvo illusoriamente resistere agli anni e alla memoria. È ingratitudine questa oppure è solidarietà di fondo? Lo lascio giudicare ai giovanissimi con i quali ho vissuto questi ultimi vent'anni e ai quali non ho mai negato entusiasmo e solidarietà, comunicazione e simpatia, senza chiedere alcunché e senza risparmio di energie, come forse a pochi è capitato di vivere e crescere. V orrei finire qui senza la presunzione di aver detto pane al pane e vino al vino, quanto di aver portato il discorso sulla assenza del pubblico, sul paternalismo e l'ostracismo della critica, sulla inadeguatezza e sulla indifferenza delle istituzioni, vecchie e nuove. Ma non si può passare sotto silenzio questo restringersi del lavoro dal punto di vista degli scambi e delle offerte, laddove la inguaribile scuola di Nanni ancora trova fedelissimi, e laddove la pratica di Perlini trova corrispondenze un po' dappertutto; e almeno il trio Mazzali-Varetto-Leo' si è imposto un taglio drammaturgico interpretativo, come disputa leale e non sempre in svantaggio nei confronti del lavoro tradizionale; altri purtroppo corrono verso e contro la moda del momento, per soggezione culturale o per rincorsa di suggestioni, impastando sport, rock, musica, danza e via dicendo, senza esigenza vera e per solo riscontro del momento. Non voglio qui proporre la sfilata delle mie predilezioni (ora Gaia Scienza, Leo, Sambati, Cosimi, ecc. per quanto riguarda Roma), perché non è di esse che si può menare vanto, né su di esse assaggiare il piacere della scelta e del privilegio, scherziamo; quanto accennare a questa miscela romana, ridotta nel suo insieme a dare dimostrazione di presenza per assenza, a dichiararsi viva per malattia, senza possibilità di confrontarsi se non di qui e di là del Tevere, e senza capacità di stare al passo con altre città, con altre capitali. Sembra un secolo fa il tempo in cui dicevamo orgogliosamente che soltanto New York era in grado di gareggiare con Roma. Note della redazione (1) B. si riferisce a •l..a strage dei colpevoli•, organizzata alla fine dell'Estate Romana (settembre '82) a Villa Borghese. Leo De Bcrardinis ha diretto l'operazione, la quale prevedeva che qualunque gruppo romano o laziale potesse mostrare i propri spettacoli. Hanno aderito un'ottantina di gruppi, diversissimi tra loro, ovviamente, per opzioni estetiche e livello professionale. Sull'opponunità e i risultati della •Strage» si è molto parlato, a Roma. (2) Si accenna qui alla certificazione fiscale delle presenze ottenute e del numero di rappresentazioni effettuate, testimoniata appunto dai borderò Siae. Si sa che questi ultimi non coincidono precisamente con la realtà e B. invita a non usarli come base per affermazioni improbabili. (3) De Berardinis, Varetto e Mazzali si sono associali nella gestione del Teatro Trianon, fornendo così un segnale nuovo rispetto alla tradizione individualistica dell'avanguardia romana. Ora però il Trianon è chiuso, per il sussulto rigoristico seguito all'incidente del cinema torinese bruciato. E sono stati chiusi altri luoghi del genere, tra cui il Politecnico, il Metateatro e il Padiglione di Villa Borghese. Bibliotecaginobianco

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