- Susan Sontag Malattia come metafora li cancro e la sua mitologia Torino, Einaudi, 1979 pp. 69, lire 2.500 Luis A. Chiozza Psicoanalisi e cancro Roma, Boria, 1981 pp. 197, lire 10.000 John Caims Cancer. Science and Society San Francisco, Freeman, 1978 pp. 199, d. 8,95 Richard Doli, Richard Peto The Causes of Cancer Oxford-NewYork, Un. Press, 1981 pp. 122, d. 4,95 L a malattia è sempre stata usata come metafora, e - caricata di connotazioni - ha sempre avuto un eosto nell'immaginario collettivo. E interessante, come fa notare la Sontag, che alcune malattie abbiano caratterizzato intere epoche: non solo la tubercolosi è stata la malattia romantica per eccellenza, ma con essa fu introdotta per la prima volta in maniera chiara l'idea della malattia individuale, che assume cioè tinte diverse a seconda dei soggetti in cui si instaura. Le grandi epidemie dei secoli precedenti colpivano ciascuno in egual modo, secondo tragitti lineari e ricostruibili; l'insorgenza della tbc si presentava come molto più capricciosa e in essa la 'reazione' dell'individuo pareva assumere un'importanza ben maggiore. Inoltre la sua lunga durata implicava lente ma inesorabili modifiche fisiche e psicologiche dei soggetti colpiti. Hans Castorp, il protagonista della Montagna incantata di Thomas Mann, rinuncia a una sicura ma mediocre carriera di ingegnere navale per essere portato dalla tbc (o, meglio, dalla particolare condizione che lo caratterizza in quanto malato di tbc) a speculazioni filosofiche che altrimenti non avrebbe sfiorato. Con un rovesciamento della relazione causa-effetto, il malato di tbc - che smagriva, impallidiva e veniva isolato dalla comunità per divenire improduttivo - era identificato con il temperamento romantico, portato agli eccessi della speculazione immateriale e per questo predisposto a una malattia 'aerea', languida, lirica. Egli stesso si condannava alla malattia - anzi, temperamento speculativo, tendenza all'isolamento dal consorzio umano e predisposizione alla malattia erano tutt'uno. Se la tbc fu, nei fatti e nelle connotazioni che assunse, la grande malattia dell'Ottocento, il cancro svolge analoga funzione nel nostro secolo. Con la tbc veniva sottoli- ::::; neato l'aspetto individuale e persino temperamentale dell'insorgenza e del decorso; secondo la Sontag con il cancro si va più in là: apparentemente ogni individuo produce il suo cancro, o almeno questa è la metafora presente nell'immaginario collettivo. Se il malato di tbc era in definitiva responsabile della sua malattia, in quanto :: a essa predisposto, quasi votato, ~ non si associava a tale responsabi- ;g_ lità un senso di colpevolezza; al .; contrario, vi fu un periodo in cui s·o 1otecag ob a Le maldu siècle morire di tbc era segno di spiritualità e per questo apprezzato. Nel caso del cancro, secondo la Sontag, l'idea di colpa individuale è profondamente presente. Il libro Malattia come metafora è denso di riferimenti in tal senso. Vengono citati in particolare Groddeck e Reich, ma non mancano riferimenti letterari: «lt's as if there had to be some outlet / for their foiled creative fire... » dice la Auden dei malati di cancro. L'inibizione delle energie creative e degli istinti sarebbe all'origine di questa malattia. Che tale idea sia effettivamente presente almeno in alcuni settori della società (gli intellettuali?), lo suggerisce l'incredibile giustificazione che Norman Mailer adduceva del fatto di avere accoltellato la moglie: se non lo avesse fatto gli sarebbe certamente venuto il cancro. Alla base di questa interpretazione che la Sontag dà dell'uso metaforico di diverse malattie c'è un duplice presupposto: che la malattia sia usata dalla società per esprimere una visione del mondo e che sia usata dall'individuo per esibire un conflitto. Il primo presupposto è esplicito nell'interpretazione data dalla mitologia greca: la malattia come strumento della collera divina. Il secondo è espresso bene in una lettera di Kafka a Max Brod: «La malattia sta parlando per me perché io le ho chiesto di farlo». Con la tbc le due funzioni si esercitano pienamente: come metafora sociale la tbc indica i pericoli dell'improduttività, dell'intellettualismo, del sovraffollamento cittadino; come metafora individuale viene fatta parlare dai romantici per esprimere le passioni e i conflitti del Soggetto. Nel caso del cancro non è chiara la funzione di metafora sociale: apparentemente non è il cancro a essere usato come metafora di una visione del mondo, ma piuttosto altri contesti vengono presi a prestito per descrivere il cancro (soprattutto, come fa notare la Sontag, il linguaggio militare: 'cellule invasive', 'difese immunitarie', 'bombardamento terapeutico', 'task force'). La funzione di metafora individuale viene invece esasperata, secondo la Sontag: il cancro è 'prodotto', come un feto mostruoso, da individui incapaci di esprimere altrimenti le energie creative represse. Torneremo oltre su questo argomento. È interessante notare, per il momento, che manca apparentemente un'interpretazione culturale del cancro che non sia a livello di psicologia individuale. Il fatto è che manca all'esperienza moderna della malattia - e dunque della 'malattia del nostro secolo' per eccellenza - un modello interpretativo coerente con una visione del mondo. La morte stessa non ha più un senso, in quanto non è più inserita in una struttura culturale che la interpreti e la giustifichi. Il solo modello disponibile è quello medico, che però non è in grado di fornire un senso molto diverso da una spiegazione più o meno meccanicistica della malattia e della morte. Sarà forse per questo divario tra un'interpretazione medica coerente ma culturalmente inefficace e interpretazioni culturali frammenCQ Paolo Vineis tarie, operativamente inefficaci e incoerenti, che tende a imporsi nell'immaginario collettivo un'idea 'psicosomatica' del cancro, anche se quest'affermazione è tutta da verificare. Posto che sia confermata, è singolare come per la malattia del nostro secolo si realizzi quel divario tra 'verità' e 'significato' indicato da Wittgenstein come proprio dell'esperienza moderna. Se la medicina descrive i meccanismi ma non spiega, o addirittura essa stessa ricorre a metafore pur pretendendosi obiettiva (la metafora del cancro è notoriamente la 'cellula impazzita'), e se la società è priva di una teoria della malattia e della morte, non resta che attribuire la responsabilità del 'male', nelle sue diverse accezioni, al singolo individuo. Un tempo, insomma, la peste era metafora della società, di una società punita dagli dei; oggi la società è metafora per il cancro, che viene definito come una crescita incontrollata, afinalistica, invasiva; il cancro è un microcosmo operante nell'individuo, che l'individuo non riesce a controllare come non si riesce a contenere una ribellione. S e non è facile individuare molti esempi a sostegno della tesi della Sontag (per inciso: a tutt'oggi la produzione letteraria sul cancro sembra essere molto più modesta di quella sulla tbc), alcuni degli esempi disponibili sono molto pertinenti. Mi riferisco in particolare alla scuola psicoanalitica che fa capo a Luis Chiozza, a cui si deve un libro che sembra scritto appositamente per confermare la tesi della Sontag. Il timore dell'incesto e la conseguente inibizione sono il risultato, secondo questi autori, di un «timore primario dell'Io di fronte alla realizzazione degli istinti». Dall'orrore dell'incesto si passa a fantasie di gravidanza mostruose, e da queste alla fantasia di una crescita maligna invasiva: «non ci deve meravigliare il fatto che si possa utilizzare la rappresentazione di una crescita tumorale per alludere al contenuto narcisistico di una eccitazione incontrollata, supponendo che il processo somatico che corrisponde a tale rappresentazione sia determinato da una analoga configurazione narcisistièa». Fonti molteplici vengono usate a supporto di questa teoria, comprese le etimologie della parola «cancro» e i significati attribuiti al Cancro come segno zodiacale (esso «viene a trovarsi nove mesi prima del primo segno( ... ) si deduce il valore essenziale di Cancro: simbolo del concepimento e della f econdazi.one» ). E «forsepossiamovedere, mettendo in fila le parole che ho sottolineato, che Cancro si muove fra la vita e la morte e che questo movimento pendolare concentra la fecondazione, la g~stazione, l'embrionario, l'ideale, il narcisistico, la nascita, l'involuzione, la morte e la resurrezione». L'individuo predisposto al cancro ha una personalità narcisistica, ha avuto fissazioni prenatali ed edipiche incestuose, subisce per lo più la perdita di un oggetto fortemente idealizzato, e produce il cancro per negare tale perdita e ottenere una autosoddisfazione narcisistica. Ma la teoria arriva più in là, fino ad attribuire alle stesse cellule una psicologia: «Nel cancro, di fronte al fallimento del sistema immunitario, potremmo domandarci: perché i linfociti 'figli' non reagiscono seguendo le consegne o gli insegnamenti del timo loro 'padre' o loro 'maestro'? ( ... ) Perché il timo si riduce o si affloscia di fronte alla aggressione neoplastica? Perché si lascia invadere la casa e paralizzare la famiglia da questo 'vecchio-bambino', deteriorato, inutile e inconcepibilmente avaro e che insiste fino alla distruzione totale?» «Qual è il piacere, la soddisfazione che ottiene la cellula che si isola? Seguendo Chiozza crediamo si tratti di un piacere narcisistico con caratteristiche estreme». Questo esempio conferma una parte di quanto si diceva prima: la tendenza ad attribuire la responsabilità all'individuo, e soprattutto l'applicazione sul cancro di metafore prese a prestito altrove. Il divario accennato fra teoria scientifica e interpretazioni culturali è testimoniato dalla possibilità di esercitarsi nell'uso delle metafore più disparate ed estreme. Q uello citato è solo un esempio, del tutto insufficiente per giustificare l'idea, insistentemente affermata dalla Sontag, che quella psicosomatica sia oggi l'interpretazione più diffusa del cancro. Certamente non esprime il pensiero medico né più diffuso né «più avanzato» (Malattia come metafora, p. 32). Insomma la Sontag sembra essersi costruita, per altro con notevole efficacia, un bersaglio polemico ad hoc; per quanto pericolosa e nefasta possa essere una tendenza ad attribuire al singolo individuo la responsabilità del suo cancro, questa non è fortunatamente la corrente dominante, né rientra tra le correnti scientificamente accreditate. E non è neppure così vero, come sembra emergere da tutto il libro della Sontag, che manchi una teoria medica soddisfacente. Se guardiamo in particolare ai risultati delle ricerche epidemiologiche e di cancerogenesi chimica, si è oggi in grado di stimare con una certa sicurezza la proporzione di tumori attribuibili rispettivamente al fumo di sigarette, alle esposizioni professionali, alle radiazioni ionizzanti e ad altri tipi di esposizione (a questo esercizio è dedicato l'autorevole volume di Doli e Peto, The Causes of Cancer). Piuttosto queste informazioni vengono malamente diffuse o non vengono diffuse affatto. La stessa Sontag cade nel grave errore di porre il fumo di sigaretta (per il quale vi sono indizi schiaccianti) e gli orologi fosforescenti (per i quali gli indizi sono assolutamente inadeguati) sullo stesso piano, mostrando di non credere ai risultati della ricerca epidemiologica e di aspettarsi una qualche spettacolare trovata dalla ricerca biologica di base. È sorprendente come molti, anche intellettuali come la Sontag, ignorino che sono stati identificati circa venticinque agenti chimici capaci di indurre il cancro nell'uomo, o addirittura appoggino la tesi per cui 'tutto è cancerogeno, dunque nulla è cancerogeno'. Apparentemente, c'è ancora bisogno delle sicurezze fomite dalla ricerca più spettacolare, che in realtà non ha prodotto conoscenze· proporzionali alle somme investite (e in assoluto non ha prodotto molte conoscenze utili, come riconosce Cairns nel suo libro Canee,. Science and Society). La ricerca di base ha seguito, come mostra Cairns, essenzialmente dl!e grandi filoni: quello virale e quello immunologico. Benché, ovviamente, vi fossero motivazioni razionali per entrambi, viene da chiedersi perché tali filoni siano stati perseguiti con un dispendio di energie del tutto sproporzionato rispetto alle motivazioni iniziali e ai risultati via via conseguiti. La risposta non è facile. È singolare tuttavia che sia il filone virale sia il filone immunologico ripropongano interpretazioni della malattia e strategie per affrontarla che appartengono al passato. L'ipotesi virale implica la grande speranza di replicare gli spettacolari successi della profilassi vaccinale delle malattie infettive; l'ipotesi immunologica esprime un aspetto strettamente connesso, quello della reazione individuale. Sono i grandi modelli del secolo scorso e degli inizi di questo: l'infezione da agenti biologici esterni e il modello della tbc con la sua 'individualizzazione' della malattia legata alla risposta immunologica del singolo. Per inciso, con la consueta penetrazione la Sontag individua alcune somiglianze tra l'approccio immunologico e l'interpretazione psicosomatica del cancro: basti dire che alla base della reazione immunitaria c'è la distinzione tra 'self' e 'non-self', Io e non-Io. In questo senso, dunque, erano giustificate le affermazioni der primo paragrafo: le teorie mediche più note (ma non più efficaci) sembrano riprendere i grandi modelli interpretativi del passato; questo, insieme a una distorta diffusione delle informazioni sui reali successi della ricerca, non ha consentito che nascesse una cultura della malattia convincente e operativamente efficace. Che cosa può essere una tale cultura? Probabilmente un atteggiamento diffuso di protezione da esposizioni innecessarie a sostanze chimiche e agenti fisici; in ogni caso una maggiore consapevolezza del fatto che la 'malattia del secolo' è concretamente evitabile in un certo numero di casi con una razionale politica preventiva. La Sontag si assume una grande responsabilità quando afferma: «A provocare false speranze e terrori semplicistici ci sono poi rudimentali statistiche a beneficio del pubblico generico, dalle quali risulta, per esempio, che il 90 per cento dei cancri è 'causato dall'ambiente'». In realtà lei stessa cade nell'atteggiamento che con tanta passione combatte: pensa cioè che il cancro sia un'unica malattia con un'unica causa, ancora una volta nell'inefficace prospettiva di ricerca delle malattie trasmissibili. L'affermazione: «L'idea che una malattia possa essere spiegata solo da una varietà di cause è tipica proprio delle speculazioni sulle malattie di cui non si conoscono le cause» è del tutto in contrasto con le più solide opinioni attuali sul cancro, e sottintende un tentativo di soluzione forzosa al divario accennato tra 'verità' e 'significato'.
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