Alfabeta - anno IV - n. 41 - ottobre 1982

, EUen Moecs Storia inimitabile del cbndy Milano, Rizzali, 1965 pp. 471, lire 6.500 Roger Kempf Daadies Milano, Bompiani, 1980 pp. 163, lire 6.000 Jules Barbey d'Aurevilly Del daadismo e t1i George Bra-ell Roma, Marginalia, 1981 pp. 150, lire 9.500 «Il mondo appartiene agli spirili freddi-,,. (Machiavelli) V i sono vari modi di essere artisti e per creare delle opere d'arte, ovvero ci sono molti modi per allontanarsi dalla natura e dalle sue leggi. Mentre la scienza tenta di dominare la natura semplicemente per conoscerla o per renderla più benevola, l'arte ignora la natura e crea degli universi di discorso indipendenti dal mondo reale. Per questo la sottrazione del corpo, del proprio corpo, alla natura per affidarlo alle ccure estetiche» è qualcosa che ha a che vedere con il puro atto della creazione che presuppone il desiderio di perfezione (che in quanto sintesi della bellezza e felicità si oppone al sublime kantiano) e la rigida matericità del mondo dato. Si dicono queste cose per giungere a parlare di George Bryan Brummell, inventore di un uomo senza ombra che si muove nel regno del significante, pura apparenza creata per assorbire lo sguardo e moltiplicare la meraviglia. George Brummell inventò il dandy. utilizzando l'unica materia che aveva a sua disposizione: se stesso. Quando fornl una forma alla sua creatura verso la fine del sec. XVI Il non avrebbe mai immaginato che ad essa sarebbero stati attribuiti spessori e significato né taotomeoo avrebbe immaginato che scrittori e filosofi si sarebbero occupati di lui e della sua sfolgorante apparizione mondana. cBeau» Brummell insegnò ad una società, quella inglese della Reggenza. che lo stile non ha nulla a che vedere: con la moda e che si poteva ottenere In stupore e l'ammirazione proponendo una filosofia dell'abbigliamento che non aveva bisogno di essere scritta. li potere che egli raggiunse fu enorme e il suo giudizio poteva elevare o consegnare al fango qualsiasi persona: arrivò al punto che per pagare i debiti di gioco accumulati con noncuranza, risarciva i suoi creditori con un sincero saluto in pubblico. La sua toilette era interminabile, trascorreva ore a lavarsi per poi finalmente indossare il suo abito color turchino e biscotto con i pantaloni di daino aderentissimi, fermati sotto il piede da una striscia di tessuto. Lucidava le scarpe personalmente e non solo la tomaia ma anche la suola, avendo cura che nel suo abbigliamento ci fosse sempre qualcosa di casuale, qualcosa di premeditatamente trascurato. Del resto era lui a sostenere che la vera eleganza (che «è più della grazia e meno della bellezza» come scrisse Barbey d' Aurevilly) deve sempre passare inosservata. Per Brummell vestire era un modo di essere, uno dei nomi che si possono dare alla creazione, alla poiesis. La sua evanescenza, il suo rifiuto a significare condiziona anche le valutazioni che successivamente sono state espresse e che riflettono la sfuggente condizione del dandy: tra un residuo del passato e un'anticipazione del futuro, socialmente situato in una terra di nessuno fra la borghesia e l'aristocrazia, politicamente ingannevole. La sua libertà è anche la sua debolezza e in ogni caso il suo potere è costruito sulla sabbia, sulla sfuggente superficie di uno specchio. Per il dandy non c'è famiglia, né obblighi morali da sostenere, i legami affettivi non lo riguardano più del colore del nastrino sul bastone da passeggio. Non deve avere nemmeno una fonte di reddito rilevabile. singo\are che Brummell che a :, ., r l 'J i Eaton era stato soprannominato cBuch (maschio), in pubblico si sia sempre negato ad ogni istanza femminile. Non poteva concedersi a nessuna forma di passione né tantomeno poteva provare amicizia per una donna: vi sono nel dandy molte qualità femminili e l'amicizia fra donne o fra ex amanti è un evento ipotetico e meraviglioso. Del resto il suo disprezzo per ogni forma di passione era completo come si conviene a chi professa sempre e comunque l'indifferenza: quando un suo inopportuno e sproloquiante ospite che lo tediava con i racconti dei suoi viaggigli domandò con insistenza quale fosse il suo lago preferito, Brummell chiamò il cameriere e gli domandò a sua volta: cQual è il mio lago preferito?-,,cWindemere, signore», rispose il cameriere e Brummell: cAh, già, Wiodemere, proprio cosi, Windemere». Un vero dandy detesta tutto qqello che viene dall'istinto e può darsi solo all'artificio. ln questo senso Brummell è autenticamente artista. in quanto <nln «si elevò al rango di una categoria: fu il Dan•dismo stesso• (Barbcy d' Aurevilly); creava la propria vita giorno per giorno facendo dell'affettazione e della cmenzogna» il movente del suo vivere. cli dandismo, dunquescrive Ellen Moers - proprio nel suo atteggiamento essenzialmente aotiborghese, appartiene al mondo dell'artista e dell'intellettuale. Il dandy non è soggetto ai valori e alle costrizioni di una società la cui sola meta è il denaro. li dandy non lavora, esiste. E la sua esistenza è di per sé una lezione d'eleganza per l'individuo volgare». Il suo bisogno di avere intorno della gente, di frequentare i clubs, di passeggiare per le vie più esclusive era solo un modo per mostrare la sua superiorità e la sua inestinguibile eccezionalità. Del resto la sua posizione non era facile, l'umorismo di Brummell gli procurava numerosi nemici e la sua stessa amicizia.con il principe di Galles, futuro Giorgio IV, pare sia stata rovinata da un motto di spirito del dandy che urtò la principesca suscettibilità. Un aneddoto riferisce che una signora dell'alta società abbia chiesto un giorno al cBeau» se avesse mangiato delle verdure, al che egli rispose: cSignora, una volta ho mangiato un pisello». Per questa ironia pronta e pedante la posizione di Brummell, anche se raggiunse vertici di onnipotenza, vacillò spesso fino alla conclusione dell'esilio di Calais del 1816. Scrisse Barbey d' Aurevilly: cli Dandismo è il prodotto di una società che si annoia, e annoiarsi non rende buoni». Fu quello che accadde a Brummell quando la sua stella volse al declino. E se si vuole vedere io ciò la vocazione di un destino, la dobI, Valerio Delw biamo trovare nel rifiuto del banale e del quotidiano per addentrarsi nel distacco del giooo, che è soprattutto gioco linguistico, in cui le regole sono poste di volta in volta, sempre disposte per essere sovvertite. E d è per questo atteggiamento nei confronti del mondo che lo circondava che merita di essere ricordato e non certo per i suoi guanti che erano fabbricati da quattro artisti diversi: tre per la mano e uno per il pollice. Se la sua immagine appartiene alla società inglese della Reggenza, la società allegra e ciarliera di clubs famosi come il White's, il Broock's, il Watier's in St. James' Street o l'Almack's in King Street, che fondava il proprio principio sulla ricerca dell'esclusivo, è anche vero che Brummell a tale società non partecipa se non per dimostrare l'intraducibilità del proprio linguaggio. Per questo quando fu inviato console inglese a Calais, solo e dispeptico, in una terra straniera che lo privava della possibilità di giocare con il linguaggio. recitò la sua follia nei saloni vuoti, privato della lingua e dei fantasmi di un mondo che lo adorava. Ed è in questo che consiste la grandezza di «Beau» Brummell: nell'essere stato l'iniziatore di una moda che non ha mai seguito. creatore di un codice di cui non aveva bisogno e che contraddiceva continuamente con la sua esistenza: unica opera che abbia portato a compimento. Non vi sono e non vi possono essere delle regole per diventare un dandy. ma esserlo vuol dire osservare una qualche norma non scritta, irrappresentabile. Allora la mancanza di spessore comporta anche un'altra conseguenza: se l'essenza consiste nell'apparire non vi è nulla che l'abito nasconda, e non certo con una connotazione negativa come volle Carlyle in Sartor Rosartus. li dandy stile Brummell nega ogni semiosi, la sua superficie è traslucida, le nostre parole scivolano su di essa. Nel secolo in cui la cultura articola il proprio ambito nella dicotomia hegeliana (tesi-antitesi), marxiana (valore d'uso - valore di scambio e borghesia - proletariato), evoluzionista (individuo-specie), spingendosi fino ai primi anni del nuovo secolo con de Saussure (significante-significato), il dandy propone una visione delle cose superficiale quanto universale: il mondo, nonostante ciò che dice la filosofia, potrebbe anche essere ciò che si vede. Non vi sono più «veli di Maya• da sollevare né noumeni (morali o spirituali) inconoscibili, bisogna sostituire l'estetica come strumento di conoscenza ad ogni forma di analisi perché è solo la percezione che ci mette in relazione con il mondo, senza supporre altre entità che ne sostengono la struttura. Ma il rifiuto di diventare segno per il dandy è anche la sua perdita definitiva dato che nulla egli potrà consegnare ad un linguaggio perché la storia ne mostri memoria. li suo messaggio nasce e muore con lui stesso, il suo rifiuto del codice diventa il prezzo della dimenticanza: il dandy allo specchio ammira la meraviglia riflessa, ma quando lui non c'è più, allo specchio non rimane che riflettere il vuoto. Dopo Brummell arriva la moda, il dandy-farfalla, i romanzi di successo. Edward Bulwer scrive Pelham e Disraeli il suo celebre Vivian Grey. Sono lunghe storie che hanno per protagonisti i dandies della fashion - - - - - - -- - - -portare la-mancanza-di compostezza e discrezione in esseri cosi piccoli e rivoltanti, per questo qualcuno suggerisce che l'unica maniera per viaggiare in treno con dei bambini è quella di farsi accompagnare da uno strangolatore. londinese, i romanzi stucchevoli, ripetitivi in cui la descrizione della toilette del dandy è il punto cardinale in cui l'autore dà fondo alla propria improbabile immaginazione. Ma l'eleganza è solo un mezzo per avere successo, non è l'unico e irrinunciabile fine, pertanto Bulwer merita di essere ricordato per aver inventato l'abito nero e bianco per la sera (Brummell lo definl una volta «una gazza») e Disraeli fu un uomo politico che aveva fatto fortuna vestito di pacchianerie. Il dandismo comunque si sposta in Francia: il 1830 è l'anno che vede la fine del periodo della Reggenza in Inghilterra, mentre in Francia Balzac pubblica il suo Traité de la vie élégante. Balzac non era certo un esempio di eleganza e pulizia, ma nel Traité apre la strada a quello che sarà il dandy «francese»: egli parla infatti di csuperiorità morale» del dandy, attribuendogli direttamente non solo un corpo oltre l'abito, ma anche un'anima. li dandy diventa quindi un segno che fa riferimento ad un codice culturale che a\'rà la t.ua pit.·na rt.·alizzazinnc con Bauddaire. La trasparenza di Brummell, la sua a-semioticità si trasforma in una operazione di ipercodifica, in cui dal vestirsi si passa al travestirsi e l'abito non diventa solo un segno ma anche un simbolo. Per accrescere la propria bellezza, io Francia il dandy s'accosta ad una passione morale e religiosa, basti pensare al dandismo cristiano di Huysmans. Non vuol essere originale, ma fare di se stesso qualcosa d'originale. Lo specchio del dandy si frantuma e ogni pezzo riflette l'immagine compiuta di un altro dandy. Ma questa volta si tratta di un uomo in rivolta che dà realizzazione ai sogni, al desiderio; come scrisse Alberi Camus: «dal sembrare al fare, dal dandy al rivoluzionario•. Non importa allora se la pulizia è incostante e i vestiti logori; è importante sorprendere, farsi notare, violare la sensibilità borghese: la parrucca verde di Baudelaire, per esempio, o Barbey d' Aurevilly che si reca a donare una copia delle Diaboliques rilegata in nero completamente vestito a lutto. C'è peraltro nel dandy un'istanza d'ascetismo che è rifiuto della merce e del consumo, negazione dell'abbondanza per sottrarsi alla società bottegaia. Scrive infatti R. Kempf: cli poco nasconde un'immensità spirituale, mentre il troppo ci lusinga, mascherando l'indigenza o il nulla». La rivolta poi si completa attaccando la famiglia che nega ogni volontà d'indipendenza e ne discende un odio verso la donna in quanto «fabbrica di feti• nella società borghese, macchina che genera morale. Nemmeno i bambini sfuggono alle ire del dandy che non può certo sopA llora dal dandy come artista si passa all'artista come dandy in una proliferazione semiotica che ha del meraviglioso. Allo stesso termine dandy vengono sostituiti in Francia gli indigeni lions, incroyables, élégants, fashionables, ma questi sono i nomi di quelli che frequentano il Jockey Club e amano i cavalli, il loro modello è l'apollineo conte d'Orsay io quanto esempio di uomo di garbo che sa come vivere. L'altra strada porta in altri luoghi, verso un'eccentricità che è sempre più diversità, orrore dei valori acquisiti, una strada che conduce ai caffè e ai boulevard della riva destra: la strada indicata da Baudelaire. Il poeta veste dimesso e funereo attratto dal nero che nega ogni colore e tiene le distanze dagli altri uomini. «Baudelaire - scrive Ellen Moers - sapeva quale forma simbolica emanasse dal modo di vestirsi. Il nero, sosteneva, era il colore appropriato per un'epoca in lutto ...». E l'austerità della linea, la rigida temperanza nel colore e negli ornamenti simbolizzavano un isolamento spirituale. Si rase la barba, tagliò cortissimi i capelli e, infine, rinunciò ai baffi, perché trovava, secondo le parole di Theophile Gautier, «que c'etait un reste de vieux chic pittoresque qu'il était bourgeois de cooserver». La distanza da Brummell, che peraltro Baudelaire conosceva perfettamente, è enorme ed è proprio quella superiorità morale di cui aveva parlato Balzac che rende i rapporti fra dandy e società ancora più distanti e cupi. Il distacco dall'organizzazione sociale deve essere totale e al poeta non resta che la pacata e serena contemplazione del convalescente che osserva, senza partecipare, sensibile e lontano, l'agitarsi della gente intorno a lui. Per Baudelaire bisogna essere moderni a tutti i costi anche andando contro i propri sentimenti. Ciò che è moderno è fuggevole, vacuo, indefinibile, effimero, ma è tutto ciò che abbiamo ed è inutile glorificare la natura facendo finta che la bellezza possa appartenerle dopo il peccato originale. Bisogna rendere ciò che è moderno, morale, farci carico del male che viene dalla natura e immergerci nell'artificio da cui solo può scaturire il bene, artificio che è «une déformation sublime de la nature•. Si comprende allora come l'abbigliamento possa condurre e diffondere l'artificio: se il corpo appartiene alla natura l'abito lo modifica e lo rende morale, perciò perfettamente moderno. La bellezza nasce dalla corruzione per cui il compito dell'artista è di distillare dal male la bellezza. Il dandy, pertanto, stanco e annoiato osserva il mondo che si sgretola intorno a sé, corteggiando la modernità e le donne ricoperte di cosmetici e crinoline. Il suo autocontrollo, la sua ironia, l'abbigliamento, la disciplina che s'impone quotidianamente ne fanno un conservatore che elogia la modernità. In ogni caso, ne fanno un solitario che è il prezzo dell'originalità. «Le dandysme est un solei( couchant -scrive Baudelaire ne «Il pittore della vita moderna»- comme l'astre qui décline, il est-superbe, sans chaleur et plein de mélancolie». La parabola del dandismo è cosi compiuta e Baudelaire e Brummell rimangono i paradigmi dei dandies a venire; ed è l'unica cosa che li unisca perché se mai si fossero incontrati non si sarebbero neppure salutati. Brummell non avrebbe compreso la trascuratezza di Baudelaire e Baudelaire avrebbe visto in Brummell un cicisbeo con la passione per le corse dei cavalli. Eppure rimangono due modi di opporsi al conformismo e di essere se stessi comunque, due modi di stupire per ammirarsi.

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