Specch~pma!role Jurgis Baltru~aitis Lo specchio: rivelazioni, inganni e sdence-f"ldion Milano, Adelphi, 1981 pp. 237, lire 50.000 Giovanni Pozzi La parola dipinta Milano, Adelphi, 1981 pp. 399, lire 35.000. I.# Ho oostruito il mio impero finan- '' ziario sullo stesso principio dei caleidoscopi e delle macchine catoptriche, moltiplicando come in un gioco di specchi società senza capitali, ingigantendo crediti, facendo scomparirepassivi disastrosi negli angoli morti di prospettive illusorie. Il mio segreto, il segreto delle mie ininterrotte vittorie finanziarie in un'epoca che ha visto tante crisi e crolli in borsa e bancarotte, è stato sempre questo: che non pensavo mai direttamente al denaro, agli affari,ai profitti, ma solo agli angoli di rifrazione che si stabiliscono tra lucide lastre diversamente inclinate». Questa dichiarazione non è di monsignor Cippico o di Sindona o di uno dei tanti emuli (nei quotidiani e periodici i loro nomi), ma del protagonista del settimo microromanzo inserito da Italo Ca_lvinoin Se una noi/e d'inverno. La catoptrica o catottrica, scienza che si occupa della riflessione della luce, sorregge tutto il racconto·, uno dei più perfetti del volume. La moltiplicazione delle immagini prodotta da sistemi di specchi opportunamente inclinati, e la conseguente confusione tra l'oggetto riflesso e i suoi simulacri, è modello alle attività finanziarie del protagonista, ma anche al suo comportamento privato: moltiplicando amanti e macchine di servizio, nonché le sedi delle proprie agenzie, egli pensa di confondere le tracce, di risultare inafferrabile adaspiranti sequestratori o attentatori. Invece, chiuso in una stanza catoptrica da lui stesso costruita, sarà il protagonista che alla fine non saprà più distinguere tra la moglie e l'amante, né tra le visioni frammentarie presentate dagli specchi, e colpito da una revolverata avrà l'impressione di scoprire l'ultima, sicura Verità. Quale sia questa verità lo si scopre nel volume di Baltru~itis (p. 88), dove è citato lo stesso frammento di Novalis che Calvino interrompe a metà: «Sollevò il velo della dea di Sais. E vide, miracolo dei miracoli, se stesso>. Inesso la deforma: spostando gli oggetti lontano dalla loro sede propria, o cambiandone le proporzioni (specchi curvi). Le asincronie della percezione hanno anche fatto pensare alla possibilità di specchi che riflettano cose passate, o meglio ancora che mostrino, quasi in un film, l'avvenire. Il fascino dei riflessi di specchio sta probabilmente nella loro coincidenza con un postulato della nostra fantasia: che le cose inventate siano tanto simili a quelle già note, da permetterci di comprederle, e tanto mutate da portarci fuori della materialità e della quotidianità. E ·infatti, nelle pratiche magiche, ombre e riflessi ondeggianti tra fumi, vapori e sagome oscure potevano, plasmate dalla suggestione, identificarsi con figure care e oggetti miracolosi; del resto, come già aveva notato Leonardo, anche nelle macchie sui muri la lucida fantasia può ravvisare persone, animali, battaglie. fatti il velo di Iside copriva uno spec- L o splendido libro di Baltru~aitis alchio. Lacorrispondenza non è casuale: linea, come i precedenti, i reperti illibro di Baltru~itis (uscito in Francia di un'esplorazione instancabile tra nel 1979) è fonte (da aggiungere a opere scientifiche e narrative, ma anquelle che segnalai in Strumenti critici che fra i dimenticati scaffali della pro39-40, 1979) del microromanzo di duzione magica ed esoterica. (Tra i Calvino, che ne ha tratto fra l'altro le testi letterari, oltre che su Lewis Carnotizie sul Kircher, grande maestro e roll e Cocteau, c'è da soffermarsi sul costruttore di catoptrica, la citazione Lord Patchogue di Jacques Rigaut, del dai Magiae natura/is libri di Giovanni 1924: la situazione mortale dell'uomo Battista della Porta, il richiamo alla in una camera di specchi è la stessa che colonna dell'isola di Pharos, sorrnon- Calvino ha descritto.) tata da uno specchio che rifletteva da Quasi tutte le proprietà degli specgrandissima distanza le navi nemiche chi erano già state descritte dai Greci; in crociera di avvicinamento, e cosi e anche molti fenomeni collaterali, via. come l'arcobaleno e il miraggio (Ari-, Il fatto è che lo specchio (magari statele). Prescindendo dalla storia, si naturale: si ricordi la fonte di Narciso) potrebbe passare• direttamente dai ha sempre colpito la fantasia dell'uo- Greci alla scienza moderna, dagli mo. Da un lato esso raddoppia la real- specchi ustori di Archimede ai forni tà, e in particolare noi stessi, produ- solari, dall'immagine della luna come cendo uno stupore codificato nella una superficie riflettente alle trasmis- «fase dello specchio»: di qui le connes- sioni via satellite. Ma il lungo segmensioni col tema del doppio. Dall'altro to infermedid è proprio il più suggesti- B i b fl O{ 8Ca gin O b ~ aYl CQ- - - vo, ed è su questo che naturalmente si sofferma Baltru~aitis. Perché in questo segmento avviene una serie di fatti di grande rilievo: lo sviluppo di un sistema di metafore morali e religiose; la diffusione di leggende, presto trasformate in superstizioni; l'elaborazione di esperimenti tra scientifici e ciarlataneschi, caratteristici di un'epoca, come il Cinquecento, in cui ricerca imparziale e imbroglio, curiosità del vero e fame d'illusione si mescolano. E' cosi che lo specchio allegorico disegnato da tanti artisti, in cui la giovane vogliosa si vede trasformata in vecchia o in scheletro, nelle mani di una maga può diventare strumento di predizione, o che le immagini proiettate da un apparecchio catoptrico possono avvalorare le virtù stregonesche dell'operatore. D'altra parte i veri scienziati tacciono spesso sui propri esperimenti, per timore di essere annoverati tra i mistificatori: cosi a volte la riscoperta- può parere scoperta. Quello che, a posteriori, colpisce, è la stretta parentela tra fantasticheria e ipotesi scientifica. I secolari tentativi di creare specchi ustori possono sembrare affini alle elucubrazioni per produrre un moto perpetuo, espressione di un delirio di onnipotenza continuamente frustrato. Le flotte che, secondo la leggenda, sarebbero state incendiate senza fatica grazie a immensi specchi, hanno continuato a ossessionare, e suscitato esperimenti ingegnosi e inutili; ma oggi è in base agli stessi principi che si costruiscono regolarmente impianti per il riscaldamento solare. Della realtà la _parola è invece una rappresentazione astratta, convenzionale. Una specie di quintessenza cui in varie civiltà si sono attribuiti poteri magici: maneggiando le parole o le lettere si esercita un potere sul reale. Altre volte, con minore impegno della volontà, si sono usate scritture e lettere come ornamentazione: il geroglifico può diventare fregio, sostituire persino la pittura in fasi di iconoclastia. Ma fu reiterato in ogni epoca il tentativo di reperire qualche ombra di realtà nel discorso: i rumori, attraverso i giochi onomatopeici; i movimenti, mediante imitazioni fonosimboliche; i colori e il calore, con le sinestesie. Chi cercò di foggiare l'oggetto poetico in modo da disegnare gli oggetti del suo didiscorso (come nei technopaegnia di Teocrito) trovò seguaci nel tempo, sino ai calligrammes di Apollinaire e alle poesie figurate dei futuristi. In questo modo il testo non solo parlava della realtà, ma la imitava, non solo suggeriva oggetti, ma creava forme. Il discorso diventava enunciazione, e insieme specchio; la poesia evocazione e ombra. D'altra parte le caratteristiche della doppia articolazione (le frasi sono catene di parole, ma le parole sono catene di fonemi, o di lettere) invitava a un gioco più complicato: quello di congegnare frasi le cui lettere si colleghino secondo linee alternative (per esempio verticali, oblique, ecc.) a creare altre frasi. Una stessa tessitura di caratteri scritti o stampati può dunque contenere in sé vari percorsi, che dànno adito a più serie di frasi. Esempio meglio noto l'acrostico, in cui le lettere iniziali dei versi o delle strofe dànno, verticalmente, un nome, una frase, un'inte• ra raccolta di composizioni (cosi il lunghissimo acrostico dell'Amorosa visione boccacciana). I due procedimenti, quello iconico (composizione a farina di oggetto) e quello linguistico (incrocio di conposizjoni), sono stati spesso combinati. Proverbiali i carmina figurata di epoca carolingia, nei quali i vari percorsi di lettura, evidenziati con alternanza di caratteri e soprattutto con colori o con disegni sovrapposti, producono figure sacre, rappresentazioni venerabili. La miniatura forniva un incremento di ornamentalità. Naturalmente poi la lingua suggerisce infinite altre combinazioni: palindromi, retrogradi, anagrammi, e cosi via; delizie da enigmisti che taluni verseggiatori inserirono nel repertorio dei loro virtuosismi. E' ben naturale che il Seicento si sia dilettato di giochi di questo genere. Meno noto che anche un uomo come Galileo se ne sia mostrato espertissimo. Ma per lui erano un elegante accaparramento di copywright gli annunci, anagrammati, delle scoperte degli anelli di Saturno e delle fasi di Venere, che inviò per lettera a Keplero e ai colleghi astronomi nel 1610. Si è sempre saputo di poeti aperti a questi procedimenti iconici e cruciverbistici: vi si è guardato con interesse doppio in seguito all'affermarsi, in Brasile, in Germania, e meno intensamente anche da noi, della cosiddetta «poesia concreta», ché «disegna• .con le parole, gioca c.onle lettere e i caratteri di stampa. Oltre all'episodip carolingio, si conoscevano bene gli esperimènd trecentésçhi di Nicolò de' Rossi· e di trattatisti come Antonio da Tempo e Gidino·da Somll_lacampagna;,si erano studiati i molti acrostici del Boiardo e di Folengo. I tech~opaegnia di Francesco Colonna, ben acclimatati"' nell'unità letterario-grafica dell'Hypnerotomachia, hanno anche avuto imitatori; e il Seicento ha naturalmente gozzovigliato tra le portate di vario ludismo. Di questa produzione il Liede aveva fornito nel I963 un ampio panorama, all'insegna del gioco verbale. Ma, per l'Italia, una storia e un'illustrazione soddisfacente di questa produzione mancava. Per farsi un'idea delle ricerche che P_ozzideve avere svolto per tracciare siÒria e illustrazione, basta dare un'occhiata alla bibliografia del suo volume: 25 pagine fitte, in cui i nomi già noti non spesseggiano. Integrando riccamente il poco che eruditi come il Quadrio e I'Affò avevano meritoriamente registrato, Pozzi può tracciare nette linee di sviluppo tra le emergenze già rivelate, e acquisire ai repertori della nostra cultura i nomi di Baldassarre Bonifacio, Fortunio Liceti, Domenico Carrega, G. Valentini, P.F. Passerini, e infiniti altri. Spicca fra tutti Giovanni Caramuel de Lobkowitz (1606-1682), nato a Madrid, morto vescovo di Vigevano, dopo soggiorni a Praga e in Campania. Contemporaneo (e si vede) del Kircher celebrato da BaltruSaitis, il Caramuel non è solo (in latino) un maestro, ma anche un teorico (alludo alla Metametrica del 1663- I668) di virtuosismi poetici. La diversità, e il diverso sviluppo dei procedimenti; la discontinuità della combinatoria a cui furono assoggettati, trasformano l'itinerario dello storiografo in una difficile peripezia, alla quale comunque le forze di Pozzi resistono benissimo. Cronologia e tipologia sono felicemente conciliate; e non mancano contributi a un'interpretazione integrale. Perché c'è da domandarsi: qu~s.ti poe,ti ora ri~coperti citi erano. che·,facevanci nellà,vità." cbmé' alfal!eta Il; 3({rµ(lgg_iIo91J2pa~';8.,f
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