Alfabeta - anno IV - n. 36 - maggio 1982

L'invenzioMnedtlmlaitologia 1 Marce! Detienne ( 1935) è direttore di studi alla Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi. E' autore di studi fondamentali sulla storia del pensiero e della mitologia in Grecia. Opere principali: De la pensée religieuse à la pensée philosophique. La notion de Daiinon dans le Phythagorisme ancien, Les Belles Lettres, Paris 1963; Les maitres de vérité dans la Grèce archaique, Maspero, Paris 1967 (trad. it. / maestri di verità nella Grecia arcaica, Latern1, Bari 1977); Les Jardins d'Adonis, Gallimard, Paris 1972 (trad. it. / Giardini d'Adone, Einaudi, Torino 1975); Dyonisos mis à mort, Gallimard, Paris 1977 (trad. it. Dioniso e la pantera profumata, Latern1, Bari 1981). In collaborazione con Jean-Pierre Vemant (1914, docente di Storia comparata delle religioni al Collège de France): Les ruses de l'intelligence. La métis des Grecs, Flammarion, Paris 1974 (trad. it. Le astuzie dell'intelligenza nell'antica Grecia, Laterza, Bari 1978); La cuisine du sacrifice en pays grec, Gallimard, Paris 1979 (di prossima traduzione presso Boringhieri, Torino; il saggio «Pratiche culinarie e spirito del sacrificio», tratto da questo volume, si può trovare nel fascicolo monografico di Aut-Aut «Nuove antichità», a cura di Mario Vegetti, n. I 84-185, luglio-ottobre 1981, pp. 152174). Il testo qui presentato costituisce il capitolo conclusivo, «Le mythe introuvable», dell'ultima opera di Detienne, L'Jnvention de la mythologie, Gallimard, Paris I981, di prossima traduzione presso Boringhieri, Torino. Ringraziamo l'editore Boringhieri, che ha conesemente autorizzato la presente anticipazione. S e raccontassero Pelled'Asino a noi che siamo diventati /e/lori di miti, ne trarremmo davvero un gran piacere? Non vi si mescola forse, da gran tempo, il dispiacere di essere condannati a sentire una parola esiliata nel campo della scrillura, e a scoprire con gli occhi racconti che sono ormai narrati solo nei libri? Vi è, in Occidente, una coscienza infelice della mitologia -da quando i romantici si sono persuasi che l'esperienza primaria dello spirito implichi un linguaggio primitivo, quello del mito, insieme parola e canto sgorgati dalla familiarità e dal contatto immediato con il mondo. E, subito, essi hanno incontrato la mitografia proveniente dal mondo grecoromano: la mitologia inimitabile, avviluppata da una ganga testuale di trattati, il cui genere erudito sorge da una tradizione lelleraria, a partire dalla età ellenistica sino al XVIII secolo, passando attraverso Boccaccio e Noii/ Conti' nel Rinascimento. Quando la parola viva di un popolo o di una nazione trova la propria pienezza e unità nel verbo mitologico, essa risulta mutilata da tutto un apparato di scrittura che le viene imposto. La grafia altera il bagliore del gran parlare, deforma la voce del mito, snatura la rivelazione mitologica. Tra uno stato di oralità primordiale, e la forma scritta della mitologia, infelicemente chiamata classica, è giu11to il momento di registrare gli strati, di contabilizzare gli scarti, di snidare gli a11raversamenti,di tracciare la mappa dei sentieri segreti. Pazienti lavori, che assorbono gli interpreti del XIX secolo, subito dopo la scomparsa di coloro che speravano, con Holderli11,nella nascita di una nuova mitologia «dalla più profonda profo11ditàdello spirito»•. Pergli adepti di una storia che valorizzi solo le tracce di scri11ura,il discorso della oralità originaria è diventato, in terra greca, talmente inaudito da essere quasi i/leggibile proprio là dove esso emerge al/raverso i segni scritti. Inaccessibile, la mitologia mostra solo la maschera fittizia che le hanno fabbricato, imbalsamandola, gli oscuri artigiani della mitografia manualistica, ne~'epoca della erudizione alessandrina. Unascrittura di morte, del resto incapace asciogliere le contraddizioni di ciò che è ormai solo un resto, una spoglia. E queste incoerenze risultano imbarazumti tanto per gli scienziati moderni quanto per gli spiriti rigorosi dell'Antichità: Senofane, Erodoto o Platone•. Parrebbe che i Greci abbiano assicurato il trionfo della ragione, del logos, con una efficacia tale da distruggere l'antico sistema di pensiero, al punto da lasciarne sussistere soltanto frammenti, inintelligibili, cosi che non si può superare la distanza tra la parola vissuta del mito e la tradizione scritta. Secondo altri, più numerosi, e evidentemete più attivi, non tutte le vie di accesso si sono spezzate. Vi sono cammini dimenticati o sentieri cancellati, che condurrebbero alle soglie del paese dei miti. Vengono proposte sJrategieper ridurre lo scarto tra noi e il parlare mitico originario. Una delleprime, è l'archeologia del linguaggio: la grammatica comparativa imbastisce una scienza infallibile della mitologia. Nella teoria di Fr. Max Miiller, il sistema delle sonorità, regolato dal meccanismo della flessione, si radica nella voce umana, i cui primi suoni, emessi per effetto dello stupefacente spettacolo ddla narura.danno vitaa una serie di tipi fonetici, potenti al punto da agi.rrsulpensiero ddla umanitàprimùiva, che essitraggonoin inganno e fanno arare. È qui che 1lllSll la mitologia: nasce come iDusione; cresce in un sovrappiù di significazione, non.più padroneggiabile dalla p,uo/a, e nel quale prendono fomuz str1111ferllSi, aberranti e spesso incongrue. Le rigorose regole della scienza linguistica spiegano la formazione del discorso mitico. Nella sua essenza, la prima mitologia è il postumo di una malattia parassitaria del linguaggio, le cui tracce sono ancora riconoscibili nella superficie scrilla delle società più razionali. La grammatica comparativa conduce direttamente al paese dei miti, ma vi scopre gli strani miraggi che il linguaggio suscita nel pensiero: fantasmi, finzioni che ossessionano i primi locutori; uno sciame di menzogne, invece della verità trasparente del cominciamento dello spirito. -... b1u11otecaginobianco Altra strategia, elaborata nella stessa epoca e che si avvale anch'essa della via genetica, ma adottando gli strumenti della storia e della geografia. Per Kar/ Otfried Muller ( 1797-1840), scopritore di questo campo, la mitologia è una produzione essenziale dello spirito umano, necessaria e inconscia•. E' una modalità di pe11sieroascrivibile alla ingenuità e alla semplicità dei primi tempi; ma essa si costruisce lentamente, sotto l'azione di eventi e circostanze, gli uni interni, e le altre esterne. Accedere alla mitologia è ritrovarne il paesaggio primario, riconoscerne le modalità di enunciazione in un determinato territorio, scoprire, con ritrovamenti successivi, il fondo di realtà che, tra due cime montane o in una vallata, ha improvvisamente smosso lo spirito dalla sonnolenza, lo ha spinto a stabilire, a articolare relazioni in forma di azioni ordinate, in un racconto la cui base è solitamente un nome proprio. La storia consente di assegnare un limite molto preciso allafacoltà mitopoietica;imorno ali'anno mille avanti Cristo,essadà seg11di i esaurimento, anche se la febbre della colonizzazione la riattiva momentaneamente. L'erosione ha inizio con lascrittura, e in particolare con quella dei prosatori, che contribuisce a cancellare le figure della tradizione primitiva e a disgregare le appartenenze locali. L'apparizione dello scritto, di per se stessa, è solo un singolo aspetto di un movimento più ampio che, con la filosofia, le ricerche sulla natura, la nascita del senso storico, viene a ostacolare, se non proprio la creazione del mito, almeno il suo riprodursi ne/l'ordine della tradizione. Ma la scrittura assume un ruolo ambivalente: ovur,que essa penetri, la creazione mitopoietica si atrofizza, e solo i territori lontani, le zone montane, protette dal loro isolamento, favoriscono la sopravvivenza di racconti, il cui arcaismo è presto rivelato dal confronto con altre versioni.La scrillura pietrifica immediatamente la tradizione che essa stessa ritrova, scrivendo le tracce di quanto ha appena cancellato, e dando da leggere i reperti -nomi propri e traili geografici - la cui paziente combinazione fornisce a/l'archeologo viaggiatore la cifra di ur, paesaggio primario. Si costituisce una ermeneutica, che richiede all'onomastica di dirle la verità del se11so racchiuso in un racconto, non procedendo per etimologia, ma rintracciando la storia i cui avver,imenti si dipanano in uno spazio orientato e banalizzato. E la ricerca si conclude quanto alla fine del periplo compare la terra natia di un mitologema, finalmente restaurato nei suoi privilegi originari. Paradiso perduto, la terra dei miti è un mondo obliato la cui anamnesi -più che rammemorazione-, si effe11uacontemplando un paesaggio che autentifica il racconto condotto nel territorio stesso. Talvolta, addirittura, capita che un mitologo, seguendo una via traversa, giunga a un villaggio isolato nel quale, sulle orme di Pausania Periegeta, scopre una storia «mitica» non ancora contaminata né dalla seri/tura, né dalla cultura. Dopo i viaggi solitari di K. O. Miiller, a/l'inizio del XIX secolo, l'itinerario ha continuato a essere perseguito sino ai nostri contemporanei. Cosi, in una recente ricerca sui Giganti e la loro guerra contro gli dèi•, Fr. Vian si propone di «spurgare la favola da ogni sorta di concrezioni, che nel corso del tempo la avevano resa irriconoscibile»•, per isolare il racconto mitico che informa un ampio discorso politico-religioso sulla vittoria dell'ordine e del/'Olimpo 7 . In una.~ seconda tappa, si tratta di ritrovare, al di là della elaborazione•, effeuuata da aedi o poeti, il mito autentico, la cui verità è certificata dalla sua forma orale: proprio quella che un altro viaggiatore, nel Il secolo della nostra era, ha raccolto in un angolo sperduto dell'Arcadia; proprio come a/la fine di un lungo viaggio, l'etnografo uscito di fresco dai corsi di Marce/ Mauss, registra il raccomo 1101a1ncora udito narratogli più o meno spolllaneamellle dagli indigeni, i111egra11dolocon referenze a un paesaggio culturale e a una geografia sacrale. , Tuili cammini, questi, nessuno de: quali pone in discussione il fallo che la vera vita del mito tragga origine da una parola viva. Del resto, non è forse vero che la prima antropologia scopre, prendendo possesso del proprio impero, che milioni di selvaggi o di barbari continuano a produrre quelle stesse rappresentazioni mitiche ,/ella natura che si faceva l'uomo primitivo? Ecco giungere le razze inferiori, i Primitivi, i Popoli della Natura, che fanno sentire le parole scaturite dalla bocca della umanità presente nel mondo; invece della eco fuggitiva di una voce all'orizzonte, la forza selvaggia di una mitologia che riveste ogni cosa con un linguaggio primario. Si diffonde cosi la buona novella, per cui la mitologia è vissuta e vivente; per cui nel mondo retrostante all'homo .sapiens, la parola regna sul corpo e il verbo sullo spirito; per cui siamo liberati dal grar, mito classico e dalle vecchie pompe dell'umanismo. Ma la divisior,e del lavoro impone leproprie costrizioni: gli auto, toni cantano, narrano, raccontano; e gli etnografi, come prescrive loro nome, scrivono, prendono appunti, registrano, archivian, Come diceva Lévy-Bruhl al suo uditorio alla Sorbona: Loro, l sentono, e noi, invece, scriviamo•. Agli indigeni, l'ascolto primitiv, le Ìfltense emozioni, la pienezza della conoscenza; a 11oi1101r1estar, che i libri, la concettualizzazione del prelogico, la scrillura sul, mitologia selvaggia. Bisogna ricominciare il processo allo scriltl denunciare l'alienazione indolla dai sistemi grafici. «La funziot, primaria della comunicazior,e scrilla è facilitare l'assoggetamento: afferma Lévi-Strauss•, con gran soddisfazione di certi marxisti pur tani. Ma, al tempo stesso, l'analisi strullurale, posta in opera nel/ combinatoria dei Mitologica, postula la unar,imità dei le/lori di og, paese nello stabilire la natura del mito: « Un mito è percepito com tale da ogni lettore, in 1u110il mondo» 10 . I Greci, che inventa110una le11urastrutturale della loro mitologi, divengono i garanti dello sguardo lellerato che noi rivolgiamo ai m, del pensiero selvaggio; la loro cauzione autorizza un buon uso d, segni scrilli, nei ton fronti dei popoli che una volta chiamavano «110 civilizzati», e che oggi sono qualificati come «senza scri11ura» 1 Sorgono società paradossali, nelle quali i miti si pe11sanoe si par/an reciprocamente, ma da un libro etnografico all'altro, nel silenzio, uno studiolo nel quale nessuno deve disturbare l'antropologo , lavoro. Civiltà salvate, più che private, dalla scrillura, perché /'a. senza di segni scritti vi riceve un valore positivo: essa esercita «un specie di influsso regolatore» sulla loro tradizione. Una tradizior, «che deve restare orale», vien detto 1 2 . Ma da dove proviene ques1 distinzione, che una società di lettori è invitata a sancire, se no dall'a-priori di una oralità originaria? Come se vi fosse, nel cuore, alcur,e civiltà, la cui storia sarebbe paralizzata, statica e mai cumul, tiva, un dover-essere della bocca e·dell'orecchio. Postulare una tradizione «che deve restare orale», rientra ne/, stesso famasma del supporre la esistenza di un pensiero mitico: con la ragione dei filosofi, la scrittura occidentale si inventa una figw avversa. Talmente ossessiva che giunge a mascherare il luogo fo, damentale in cui, in rapporto a quelle società, si misura l'efficac della scrittura: l'attività mnemonica, il lavoro della memoria, la si virtù cognitiva. E non per porre una ennesima opposizione «meta; sica» tra memoria cor, o senza scrittura. Ma per interrogare modalità dell'impatto esercitato dai vari sistemi di segni scritti sul/'a tività i111elle11uael,eir, particolare, sulla memoria sociale, macchi, memale per la produzione di cultura, che trasforma co111inuame11 quamo crede di ridire e ripetere. Ma della quale, di fa110,le variazi, ni, le successive metamorfosi attraverso cui si generano lestorie del 1ribù, res1a110invisibili per ur, tempo così lungo che la scri11ura, prima di tutto quella della emografia, non svolge il suo ruolo inedito rivelatore, fotografando, in tempi e luoghi dis1in1i, i diversi stati d raccomo di una storia che in apparenza è sempre la stessa. La voce fuggitiva e la parola viva far,no parte delle invenzio, della mitòlogia, dei suoi inganni, dei miraggi sempre rinascemi, cl essasi compiacedi suscitare,invemadose stessalungo una storiadi cui sarebbe dovuto riconoscere il percorso, anche se in modo provvis, rio. Perché la mitologia, in senso greco-insieme fondatore, e semp, ripreso-, si costruisce attraverso pratiche di scri11ura,nella moven: imperiosa della scrittura. Una storia fatta da/l'interno, ribadita dal semantica del mythos, oppon; una formale smentita alla afferm, zione corrente per cui la mitologia non avrebbe né luogo né data . nascita, non avrebbe inventori, proprio come i miti non conoscono loro autore. La ricerca genealogica esibisce il proprio'stato civile: «mito» è nato come illusione. Non come una di quelle finzio, prodolle inconsciamente dai primi locutori, come una di quel. ombre che il linguaggio proietta sul pensiero, ma come una finzio, consapevolmeme delimitata, deliberatamenteprivativa. Un bagliore , illusione, insignificante; una singolarità, frammentata e vuota: sen plice racconto incredibile, pura seduzior,e ingannevole, un mon brusio. Il «mito» si forma sulla illusione degli altri. È anche u luogo molto adatto per le parole sovversive, per le storie assurde a scartare. L'illusorio trascurato, l'illusione /ore/usa, ma per decisiot, di nuovi saperi, filosofia epensiero storico, costituitisi nella scrillur, e che con il mito designano un non sapere su cui non vi è r,ul/a lJ dire. E però la pietra dello scandalo, implicata nella invenzio, dell'illusione mitica, minaccia quel mutismo, importuna quel si/e, zio, invita a far parlare dell'escluso, e su di esso; certo, non aparlar, in quanto tale, ma nella sua appartenenza, interro/la, alla tradizion, a una memoria antica e comune, la cui interpretazione prende colloquiare, nella distanza e attraverso gli spazi aperti dalla auività, coloro che fabbricano storie, ma mellendole ora per iscri110. Quando la ragione storica di Tucidide, con immane violenz segregazionistica, porta sino alle estreme conseguenze una politic della esclusione, è però costretta a porre sotto il segno della illusion sia dei modi di scrivere i racconti, di ieri e di oggi, sia delle idee orm,. costituite, delle storie assurde, e le relazioni di avvenimenti scandali samente incontrollabili. Jr, ciò che il sapere storico chiama «mitico», l'illusorio si nutl della antica memoria, e il fi11iziosi impadronisce dei racconti d, logografi, delle ricerche degli archeologi, delle litanie dei genealog sti. Breve, puntuale, o lentamente accumulata, l'illusione mitic sembra non avere alcun avvenire, e il «mito», in questo stato, resi l'ombra di una finzione. Non gli si richiede alcuna verità, e no alfabeto n. 36 m-aggio /982 pagina I

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