I, passiva - della « legge della domanda e dell'offerta», del nomadismo del capitale. Simile forse a quello sperimentalismo direttamente legato al consumismo economico, che già era stato rilevato, in maniera tutta e solo apologetica s'intende, da Marinetti quando celebrava «i grandi sarti parigini che mediante l'invenzione veloce delle mode, creano la passione del nuovo e l'odio per il già visto». Ma diversamente da Marinetti o dal non di rado «marinettiano» McLuhan, Musi! introduce anche una differenza, una distanza, una ,spaziatura, fra sperimentalismo dell'economia e sperimentalismo della vita, nomadismo del capitale e nomadismo dell'anima, pur Charles Sanders Peirce Semiotica Testi scelti e introdotti da Massimo A. Bonfantini, Letizia Grassi, Roberto Grazia Torino, Einaudi, 1980 pp. LVI+ 316, lire 15.000 P eirce, per i suoi offici quale dipendente dell'United States Coast and Geodetic Survey, viaggiò per l'Europa in cinque occasioni. La prima volta dall'inizio di luglio del 1870 sino al febbraio del I 871. Aveva trentun anni. Traversò l'Europa dall'Inghilterra sino a Varna. Quindi, per nave, raggiunse Istanbul. Di U a Volo; e a Messina a metà settembre. E poi Taormina, Catania, l'Etna, Siracusa, Napoli, Roma, Firenze, Pisa. Il 28 ottobre, attraversando il sud della Francia, arrivò in Spagna. A metà novembre tornava in Italia: Torino, Milano, Venezia. Dopo una escursione a Graz e a Vienna, eccolo di nuovo a Venezia e a Firenze, a Roma e a Napoli: sino a Catania. Qui esegui le osservazioni della corona del sole durante l'eclissi totale del 22 dicembre. Ripercorse la penisola, fu a Napoli fino al 2 gennaio del 1871, a Roma sino all'8 gennaio, a Torino per due o tre giorni. E infine rientrò in patria, passando per la Svizzera, la Germania, l'Inghilterra. Da molti di questi luoghi Peirce scrisse lunghe lettere che ci sono rimaste. Peirce tornò in Europa nel 1875-76, nel_ 1877, nel 1878, e nel 1883. In complesso, i suoi cinque soggiorni in Europa riempiono quasi tre dei tredici anni in cui lavorò nello staff scientifico del Coast and Geodetic Survey. In Italia Peirce conobbe Annibale Ferrero, che lo aiutò a imparare l'italiano. Quando usci L'Esposizione del metodo dei minimi quadrati di Ferrero, Peirce nel 1878 ne fece una recensione di cinque pagine per il primo numero sottolineando anch'egli le omologie strutturali e le strabilianti coincidenze di linguaggio fra i due. Come se, ambigui e bifronti, i linguaggi sorti dal terreno della tecnica, da una parte ne ricalcassero gli aspetti più visibili e reali di automatismo anonimo, dall'altra esibissero però l'indicazione utopica di sue essenze e virtualità più nascoste. Ed è in questo spazio sospeso e oscillante del linguaggio, ancora aperto e indeciso, che si può forse ancora inserire costruttivamente e «utopicamente», secondo Musi), la letteratura. La sua estetica non è né «tecnologica» ne «antitecnologica», non segue un regime di opposizioni binarie: lontanissimo da posizioni nostalgiche o anche solo melancoliche, aderisce al mondo della tecnica e ne assume in toto i linguaggi, ma per spostarli, spiazzarli, straniarli, cambiarli di segno, variarli di funzione: toglierli dal terreno strumentale-pragmatico dell'economico in cui sono nati, onde liberarne e lasciarne sviluppare possibilità di significazione diverse. Lasciare sviluppare cioè quei germi «estetici» di fluidità, liberazione, creatività ecc., che nascono sì, in questa nostra stravagante contemporaneità, sul terreno dell'economico ma, in dissonante contrasto con esso, soffocano o deviano, su quel terreno, in realizzazioni pervertite ovvero, per dirla alla Musi!, in «caricaturali aborti, troppo presto venuti al mondo, di fenomeni più profondi». Ed è poi questo all'incirca il senso di tutto quanto il primo volume dell'Uomo senza qualirà, scritto all'insegna di quella peculiare «utopia» musiliana consistente per l'appunto nel «liberare une elemento dai suoi legami, o dalle circostanze attuali che lo impediscono, per lasciare che si sviluppi», e che si concretizza, come lavoro sul linguaggio, nell'assunzione in toto di stili, gerghi o paradigmi della tecnica ma per sottoporli a procedimenti di decontestualizzazione e straniamento, citazione e montaggio che portino a epifania, fra pieghe e interstizi di quei linguaggi un'essenza più celata e riposta della PeirceinItalia dell'American Journal of Mathematics. In Italia, nel primo decennio di questo secolo, fioriva «un piccolo circolo di pragmatisti», come disse William James in una conferenza tenuta a Roma sulla fine dell'aprile 1905. Questo gruppo di studiosi era composto da Amendola, Calderoni, Papini, Vailati. Quasi tutti vivevano a Firenze, dove pubblicavano un mensile, Leonardo (I 903-1907), mediante il quale portavano avanti un movimento filosofico manifestamente ispirato da James e Schiller (cfr. pp. 309-311 dell'antologia Semiotica curata da Bonfantini, Grassi, Grazia). Di questo circolo Calderonie Vailati a quanto pare erano quelli più dotati di spirito scientifico, ed erano quelli che parteggiavano per Peirce, mentre gli altri preferivano le idee di James e Schiller. È rimasta, fra le carte lasciate da Peirce, una lunga minuta di una sua lettera non firmata, scritta circa nel 1905 e destinata a Calderoni. Le prime pagine di questo testo sono state pubblicate nell'ottavo volume dei Col- /ected Papers di Peirce (8.205-2 I 3) con il titolo «To Signor Calderoni, on Pragmaticism». Qui Peirce, dopo avere avvertito del senso alquanto largo in cui Schiller, James, Dewey e Royce possono essere ricondotti al pragmatismo, spiega il senso più stretto del suo proprio pragmaticismo, con quella decisiva sillaba in più! Si tratta, dice Peirce, non già di un sistema filosofico, bensì soltanto di un metodo di pensiero, e neppure totalmente nuovo, cosa ben rilevata da Giuliano il Sofista, come si firmava in molti dei suoi frequenti contributi al Leonardo Giuseppe Prezzolini. La verità del pragmaticismo, scrive Peirce a Calderoni, può essere provata in vari modi, e fa capo alle tre specie Thomas A. Sebeok elementari del ragionamento: l'abdu- La parte restante della lunga lettera zione, la deduzione, l'induzione. Que- di Peirce a Calderoni, illuminante ste nozioni e soprattutto il concetto di soprattutto sulla dottrina dei seabduzione, così centrale nel pensiero gni, appare sul primo numero della di Peirce, sono discussi, in un altro nuova rivista Topoi, per cura di Max contesto, nel nostro libro« You Know H. Fisch e Christian Kloesel. Nel loro My Merhod. A Juxraposition of Char- studio Fisch e Kloesel tracciano un /es S. Peirce and Sherlock Ho/mes. quadro minuzioso dei rapporti e degli Nella lettera a Calderoni, Peirce scambi di lettere fra Peirce e i suoi ripete quella sua idea affascinante e colleghi italiani. Apprendiamo fra l'algerminale secondo cui «l'uomo pene- tro che Vailati spedì a Peirce un estraitra realmente in una certa misura le to del suo scritto «Sull'arte d'interroidee che governano la creazione»: e gare» e che Calderoni gli mandò tre· =-----, numeri del Leonardo, compreso il t confessa che, «nello sforzo disperato di trovare il bandolo nella matassa ... dopo tre anni di pensiero così concentrato da sfiorare la follia e così continuato da non essere quasi neppure interrotto dal sonno», riuscì alfine a produrre quel suo grande contributo alla filosofia che è contenuto in «A New Lisi of Categories» (testo tradotto in italiano alle pp. 21-35 diSemiorica). numero di aprile del 1905, che conteneva il saggio «Il pragmatismo messo in ordine», firmato The Florence Pragmatism Club e scritto da Papini. <. In quel medesimo numero di aprile, c'è una lettera di Giuliano il Sofista a Mario Calderoni, in· cui quest'ultimo viene definito «più peirciano di Peirce» ! L'ammirevole «Introduzione al pragmatismo• di Giovanni Papini apparve sul numero di febbraio del 1907 del Leonardo. Peirce ne scrisse subito, il 26 febbraio, come di un saggio dovuto «a uno scrittore geniale e a un abilissimo letterato». Di questa lettera di Peirce deve essere esistita almeno una minuta completa, perché sappiamo che le riviste Atlanric Montlhy e The Narion l'hanno presa in considerazione, ma non è mai stata pubblicata, e non si sa se e dove sia conservata. Questa scelta, traduzione ed edizione italiana dei testi di Peirce sulla dottrina dei segni rappresenta ut1contributo culturale importantissimo. Per l'intelligenza con cui è stata condotta la selezione dei testi e per il rigore e l'utilità dei commenti, il libro è certamente destinato a ravvivare un diffuso interesse per Peirce in Italia, e quindi anche a stimolare un ulteriore sviluppo della semiotica, intesa sia come area di conoscenze sia come strumento tecnica, dissonante con la sua più vistosa esteriorità. Perché dal nomadismo del capitaJe, attraverso straniamenti, innesti e trapianti, si districhi ed appaia il nomadismo dell'anima, ad esempio. O perché dall'assenza di qualità come perdita dell'io risucchiato nei meandri anonimi della manipolazione e controllo totale, appaia - con un'ammiccante ribaJtamento ironico-utopico - l'assenza di qualità come liberazione invece dall'io, come esperienza cioè che, scioltosi l'irrigidamento del crampo limitato del soggeto, ritorni estatica a espandersi e fluire. di originale progresso inteUettuaJe e di unificazione concettuale e interdisciplinare forse senza precedenti. Nella complessiva esplosione della semiotica, che ha segnato disé l'ultimo quarto di secolo e che non accenna ad arrestarsi, l'Italia è stata sin dal principio all'avanguardia. D'altronde, la semiotica è un progetto antico, che si radica addirittura nella medicina ippocratica. La semiotica ha dunque una tradizione maggiore, continuamente ridefinita e raffinata, che va dalle scuole di medicina e di filosofia dell'antica Grecia su su direttamente sino a Peirce. Ma ci sono anche parecchie tradizioni minori, sussidiarie e circoscritte. Fra queste in Europa la più importante è forse quella che promana daJl'opera di Ferdinand de Saussure. I grandi lavori di sintesi di questo secolo, tra i quali fa spicco il Trauaro di semiorica generai~ di Eco, stanno alla confluenza di queste diverse correnti intellettuali. E uno dei maggiori meriti della scienza semiotica italiana sta nell'avere posto correttamente la minore (ancorché così influente) tradizione francofona nel panorama assai più vasto in cui l'opera di Peirce svetta come la cima più alta sinora raggiunta. È confortante vedere che le idee di Peirce sono ora creativamente dispiegate e formalizzate (specialmente da parte di René Thom) e in qualche misura migliorate nei «laboratori• di tutto il mondo. In questo quadro, Bonfantini e i suoi colleghi hanno reso un servizio importante agli studi peirciani in generale, ma soprattutto a quei «fondamenti della semiotica cognitiva» che lo stesso sottotitolo dell'antologia mette in evidenza. La parola «cognizione» è1 come ovvio, strettamente equivalente a «interpretazione segnica», argomento che è sempre stato centrale per il complesso della filosofia di Peirce_ Tretipi~l.~fa~duzione ::: P eirce e Holmes, il testo pubblicato nell'ultimo numero di Alfabeta, è la traduzione parziale dei primi due capitoli di «You Know My Merhod». A Juxtaposition of Charles S. Peirce and Sherlock Holmes, Bloomington, Indiana, Gaslight, I980. Il saggio di Thomas Scbcok e kan Umiker costituiscono uno dei più autorevoli e insieme dei più affascinanti approcci alla cruciale tematica dell'abduzione in Peirce e a partire da Peirce. Le brevi considerazioni che qui si aggiungono concernono il medesimo nodo, visto da un'angolatura diversa, più interessata a individuare le differenze, anziché le convergenze, fra l'abduzione secondo Holmes e l'abduzione secondo Peirce. Per abduzione, ricordiamo, si intende un'argomentazione o inferenza che obbedisca allo schema del seguente esempio (che è di Peirce): Questi fagioli sono bianchi; (ma) tutti i fagioli di quel sacco sono bianchi; (allora) questi fagioli vengono da quel sacco (forse). È questa la struttura dell'ipotesi, che consiste nell'inferire «a ritroso» l'antecedente dal conseguente (qui l'appartenenza al sacco dalla bianchezza). Richiamando solo alcuni degli argomenti trattati diffusamente in «To 81bl1otecag1nob1anco guess or not to guess?» (Scienze umane, n. 6), steso in collaborazione con Giampaolo Proni, dirò subito che le abduzioni di Holmes a mio avviso risultano di un tipo diverso dal tipo di almeno alcune delle abduzioni che (a) sono caratteristiche della ricerca scientifica teorica e (quindi) (b) interessano soprattutto la riflessione filosofica di Peirce. Che ci possa essere una certa differenza tra i due tipi di abduzioni si potrebbe supporre a priori - ponendo mente alla differenza di scopi dei due tipi di indagine: nell'indagine poliziesca si tratta di risalire da un evento particolare al~a sua causa parti~olare; nell'indagine scientifica si tratta di trovare una fondamentale legge teorica generale, oppure (più spesso) si tratta di ricondurre un fatto anomalo nell'ambito di validità di una legge ·fondamentale riordinando le leggi «intermedie». Se ora andiamo a guardare come procede Holmes, vedremo che egli non insegue leggi universali e specifiche del dominio degli eventi propri della criminologia. Si serve invece di leggi sperimenrali molto consolidate: ricorre spesso a quei forti codici indicali che sono propri delle scienze più osservative, pm tassonomiche, più «semeiotiche», meno intrise di sofisticazione teorica e più prossime al senso comune (per riprendere la utile distinzione tra tipi di scienze introdotta nei capitoli centrali della Théorie physique di Duhem). Anche il ricorso di Holmes all'esperienza è assai diverso da quello proprio di una scienza «molto teorica», come per fare l'esempio par excel/ence la fisica, e soprattutto la fisica contemporanea. Le sue sono più osservazioni precise dei fatti quali si manifestano spontaneamente che ricosrruzioni sperimenrali di fatti artificialmente preparati, selezionati e «purificati», in cui l'esperimento sia intriso di teoria e sia specificamente programmato in base a I L .J •
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