r immagiQs.et.nzafili Aldo Gargani Relazione di apertura al Convegno «Letteratura e Civilizzazione• (Palermo, 21-24 ottobre 1981), pubblicata in versione abbreviata su Alfabeta n. 31 col titolo Il linguaggio come scopo Renato Barilli Tra presenza e assenza, due ipotesi per l'età postmoderna Milano, Bompiani, 1981 (2" ed.) pp. 303, lire 14.000 Gianni Vattimo «Morte o tramonto dell'arte•, in Rivista di estetica, n. 4, 1980 M i pare che nel suo articolo «Il linguaggio come scopo», apparso sul numero 31 di Alfabeta, Aldo Gargani abbia aperto la discussione su un punto nodale della letteratura contemporanea che vale senz'altro la pena di riprendere e sviluppare: in che rapporto stanno cioè i paradigmi linguistici di questa letteratura con la civiltà scientifica e tecnologica dal cui grembo sono sorti, con quel che Gargani riassume sotto il termine di civilizzazione? Nel fenomeno del «linguaggio come scopo», nel passare cioè, cui si assiste nella letteratura contemporanea, del linguaggio dal ruolo di mezzo per la realizzazione di scopi e intenzioni precostituiti all'operazione letteraria, a quello di scopo esso stesso di tale operazione, Gargani individua uno spostamento del processo di significazione, che dall'io e dal soggetto, dal messaggio cioè inteso come progetto o intenzione soggettiva, passa al mezzo, al linguaggio stesso, il quale diventa cosi regolatore del processo di significazione. Spostamento e passaggio che rimanda a quello più vasto e ben noto della fine dell'antropocentrismo umanistico o liberale, e del conseguente spostamento decentrante della responsabilità, del progetto, delle intenzioni dalla sfera dell'io e dei soggetti alla sfera delle tecniche, dei media e dei circuiti comunicativi. Ora, questo sopostamento del processo di significazione e della responsabilità espressiva dal soggetto-messaggio al linguaggio-mezzo che è tipico della civilizzazione, mi pare mostri nella riflessione di Gargani aspetti complessi e contraddittori, gli stessi del resto mostrati da quell'oggetto ibrido, composito e altamente problematico che è la civilizzazione stessa. Perché si può uscire dal soggetto per sensi e direzioni differenti che nulla vale cercare di assimilare l'un !'altre: per spalancarsi cioè su un'esperienza più ampia di pienezza e accrescimento, oppure per annullarsi in un regime di automatismi percettivi che depauperano l'esperienza meccanizzandola. Cosicché lo stesso linguaggio può venire ad essere il luogo autentico dove si esce dalla prigione dell'io per ricongiungersi, scrive Gargani, a un'esperienza più ampia che è anche il teatro della nostra origine, oppure il luogo inautentico dove se si esce dall'isolamento dell'io, è per scomparire estraniandosi nell'universo spersonalizzante e coatto della manipolazione e del controllo totale, per cadere nella subdola rete linguistica del potere: può essere insomma il luogo dell'epifania o il luogo della cattura, oltre che naturalmente -mille altri luoghi intermedi fra i due. Ed è su questa idea della natura ambigua, proteiforme e oscillante della civilizzazione e dei suoi linguaggi che mi sembra si giochi nelle sue linee di fondo la riflessione di Gargani tanto nell'articolo di Alfabeta quanto nella versione più ampia da cui l'articolo è tratto, presentata ad apertura del Convegno di Palermo «Letteratura e Civilizzazione•. C'è da dire una cosa però, e cioè che quest'idea della composita ambiguità della civilta tecnologica sembra essere assai più chiara, e anche mi pare assai più cara, a Gargani che non ad altri autori ai quali lo stesso Gargani invece si richiama, come Marshall McLuhan o Renato Barili i. Sui quali vorrei quindi soffermarmi brevemente. È noto come Renato Barilli nel suo per altro assai ricco Presenza eAssenza (1974) - coniugando Marcuse con McLuhan (cioè una delle tre emme del sessantotto, Marcuse, con un'altra emme che sessantottesca non è ma in Barilli quasi diventa) e nella prefazione della riedizione del I 981 attualizzando il tutto con un po' di DeleuzeGuattari, ma stando ben attento, naturalmente, a tenere a debita distanza Foucault o Baudrillard - veda nell'età elettronica contemporanea o postmoderna la fine del repressivo principio di prestazione e dell'individualistica soggettività gutenberghiana-cartesiana astratta, disincarnata, sensorialmente deprivata. Ergo ipso facto, secondo Barilli, la fine dell'illibertà e dell'oppressione, ovvero il riscatto dell«estetico» in senso primo - del sensuoso, corposo, immaginoso, libidico, giocoso - dalle mortificazioni cui lo sottoponevano l'unilaterale e meccanico Gutenberg o l'indefesso principio di prestazione. E la realizzazione con ciò di quell'utopia o paradiso terrestre la cui pienezza ci riavvicinerebbe alle condizioni che furono già tipiche delle società premoderne, salvo naturalmente un enorme divario di mezzi e di possibilità. E r anche noto però come altri sostengano invece che con la fine del principio di prestazione e del disincarnato soggetto gutenberghiano non finiscano necessariamente ipso facto anche l'illibertà e coazione, ma si passi piuttosto a forme di illibertà e coazione, anzi controllo, più morbide e più duttili, magari anche decentrate e disseminate, incarnate, corpose, e libidinose quasi... «estetiche». Quel noto potere insomma di cui tanto si è parlato, non più accentrato e repressivo ma decentrato e permissivo, che non si costituisce più, negativamente, attraverso il divieto o repressione del corpo, del desiderio, del- !' «estetico•, ma al contrario, positivamente, attraverso una stimolazione «estetica» diffusa e capillare e che inaugura, eliminato lo spazio repressivo tradizionale, lo spazio del controllo e del condizionamento totale, quel potere disseminato e tentacolare insomma, corposo, tattile, libidinoso -«estetico• - quasi- come il desiderio. Quasi soltanto, però, è il caso di sottolineare. Perché se nelle sue dinamiche strutture è certo più vicino alle dinamiche del gioco, della creatività, della libido, non è la stessa cosa, forse chi lo sa le simula soltanto, le simula magari abilmente, "in una contraffazione forse anche perfetta, ma c'è una differenza sottile e essenziale che, ostinatamente, permane. Quasi che stravolti nel loro significato più profondo di libertà e liberazione, l'estetico e il senso, non appena riscattati si siano ribaltati subito d'un botto, snaturandosi in manipolazione e con-senso. Oppure c'è anche chi, come Gianni Vattimo, analizzando il fenomeno di estetizzazione generale della vita a cui si assiste in questo secolo, parla di due forme differenti di estetizzazione dell'esistenza, dalle quali discendono due forme differenti di morte dell'estetico come fatto specifico separato dal resto dell'esperienza (cfr. Morte o tramonto dell'arte, nel fascicolo «Arte e metropoli» della Rivista di Estetica). Una prima forma - in senso forte e utopico -legata all'utopia della reintegrazione, metafisica o rivoluzionaria, della pienezza dell'esistere; quella che, cara soprattutto alle avanguardie storiche e al sessantotto ebbe il suo ultimo banditore in Marcuse, o almeno nel Marcuse ispiratore del sessantotto. E una seconda forma - in senso debole e reale - dell'estetizzazione come estensione del dominio dei mass-media distributori di prodotti estetici in quanto luoghi dell'organizzazione del consenso, legata questa all'avvento di nuove tecnologie che, di fatto, permettono e anzi determinano una forma di generalizzazione dell'~- stetico e cara questa, più che all'avanguardia, alla neoavanguardia. Mi pare che lo stesso Vattimo però, più correttamente, a proposito della seconda forma, reale o tecnologica, che di fatto già viviamo nell'epoca del·- la cultura di massa, non parli di realizzazione tout-court di quell'utopia estetica avanguardistica, marcusiana o sessantottesca che dir si voglia, che pure fu ai bei tempi, oltre che di Barilli, anche la sua, ma parli semmai, evidenziando oltre le analogie anche le differenze fra questi due significati di _ ~stetizzazione dell'esistenza, di realiz- _zazionedeviata o pervertita, di caricatura forse, anche se, tiene a precisare Vattimo, perversione non in senso esclusivamente degenerativo. Modo questo di affrontare la faccenda che mi sembra comunque lm po' meno semplificante e un po' più problematico, quindi più corretto, di quello alla BariUi-McLuhan. O ra, tornando al problema che ci interessa, mi sembra che da queste diverse concezioni della società tecnologica e del suo grado di esteticità, debbano discendere anche interpretazioni diverse del tipo di rapporto che con essa intrattengono i paradigmi linguistici che dal suo grembo sono sorti, i linguaggi cioè dell'area letteraria per definizione implicata con la civilizzazione, quella in senso ti ampiamente nel Grani!e Gioco reale, forse cercano anzi di straniare e ribaltare quel gioco, forse di negarlo, dialetticamente, per svilupparne più autentiche virtualità, e in ogni .caso oscillando problematicamente fra due vettori, due sensi, due direzioni. Ed ~ comunque questo problematico spazio di ambiguità e oscillazioni che necessariamente bisogna percorrere per cercare di far luce sullo snodo complesso rappresentato dal problema che ci interessa. Infatti da quando~ emersa la natura più intricata e ambigua della tecnologia, nient'affatto fissa e rigida, anzi fluida, mobile, nomadica, di una fluidificazione «estetica• cioè, in cui però paradossalmente l'utile e l'economico sono sempre più intimamente e diffusamente implicati, anche il nesso con la letteratura è diventato più intricato ed ambiguo. Non è più risolvibile in un semplice rapporto di opposizione-esclusione, come ai tempi in cui l'interesse, uniformato al principio industriale di produzione e prestazione, mostrava caratteri tanto meccanici e rigidi, «antiestetici• cioè, che all'arte e all'estetico non poteva restare che lo spazio rimanente, opposto e antitetico, del dis-interesse tout-court. Come a quei tempi cioè che videro nascere - proprio per reazione al dilagare dell'utilitaria ratio strumentale esplosa con la rivoluzione industriale - lo stesso moderno concetto di «estetico• come fatto specifico separato dal resto dell'esperienza, un'esperienza appiattitasi ormai sull'asse dell'utile. Ora la faccenda è più intricata: perché nell'era postindustriale l'esplosione dell' «economico» avviata nell'era industriale non accenna a calare anzi sta probabilmente giungendo alla saturazione di ogni spazio e interstizio, ma trattasi ora di un'eoonomicoche, non più connotato dalla rigidità della produzione e connotato invece dalla fluidità della circolazione, ha mutato aspetto, avvicinandosi all'estetica e magari pure mimandolo. Cosl il nesso con la letteratura, si diceva, non sarà più risolvibile in una semplice opposizione-esclusione reciproca, ma sarà anche di perturbanti e intriganti analogie, omologie, quantomeno formali e strutturali, analogie attinenti cio~ le forme, le strutture, i meccanismi: analogie di linguaggio quindi per l'appunto. E in tal modo si fa forse luce finallato avanguardistica e neoavanguardi- mente, non solo sul fatto che avanstica. Che è appunto ciò che, racco- guardie - trasgressive - e neoavangliendo alcune indicazioni contenute guardie - consenzienti - usino linnell'articolo di Gargani vorrei tentare guaggi assai simili (benché quello di di indagare qui. un'avanguardia in blocco «inattuale», Per rifarci ad esempio ad un model- protestataria e una neoavanguardia in lo linguistico della letteratura contem- blocco «attuale• è un'altra delle semporanea caro a Barilli, quello che con plificazioni da cui bisognerebbe guarsua felice definizione si dice ora !in- darsi), ma anche su quell'altro fenoguaggio intraverbale, penso che se del- meno che, liquidato come le non mel'utopia «estetica» la societa tecnolo- glio identificate «contraddizioni delgica va considerata una realizzazione l'avanguardia• restava spesso inesplipervertita o parodistica, anche le ri- cato: il fatto cioè che all'interno della cerche intraverbali che, legate al mot- stessa avanguardia storica (dove, dato to di spirito, al gioco, all'anagramma, l'impatto ancora fresco con l'erompeindubbiamente rappresentano come re della tecni~. sul rapporto con essa sostiene Barilli (Viaggio al termine del- si rifletteva parecchio) avanguardie la parola. La ricerca intraverbale. Mi- «tecnologiche» e avanguardie «antilano, Feltrinelli, 1981), un aspetto at- tecnologiche» usassero gli stessi paratraverso cui quell'utopia cerca di rea- digmi linguistici dichiarandoli però ora lizzarsi, non vadano viste univoca men- attuali ora inattuali, ora negazione e te nel senso di una gioiosa «attualità» protesta, ora adeguamento e celebrama anche in quello di una contenta zione della tenica. «inattualità», perché conterranno Si pensi alle stesse ricerche intraun'istanza di gioco autentico che non verbali che banno i loro precisi precepotrà non porsi in termini inattuali - denti storici, come ricorda Barilli in evers1v1 verso la società reale del.._ Viaggio al termine della parola, in Grande Gioco organizzato, guidato, Hugo Bali e nei futuristi, furiosamente eterodiretto. «antitecnologico» il primo e baldanzoAnche se è vero d'altra parte che samente ctecnologici» invece i seconesse sviluppano delle indicazioni e di. Ribelli ai vincolanti nessi sintattici e predisposizioni in tal senso già presen- alla produzione di significati equiva-
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==