CapitalismQ.Md,' altaquota Fcrnand Braudel La dinamica del capitalismo Bologna, Il Mulino, l 98 I pp. 134, lire 5.000 Fernand Braudel Civiltà materiale, economia e capitalismo. Voi. l: Le strutture del quotidiano, Voi. U: I giochi dello scambio Torino, Einaudi, 1980 e 198 l entrambi i volumi lire 65.000 lmmanuel Wallerstein Il sistema mondiale dell'economia moderna Bologna, Il Mulino, l 978 pp. 514, lire 15.000 lmmanuel Wallerstein «The Tasks of Historical Socia) Scicnce: an l::.ditorial», in Review, vol l,n. l, 1977 e ome è fatto, in concreto, il capitalismo? In un agile volumetto che riunisce tre conferenze tenute negli Stati Uniti nel l 977 (tr. it.: La dinamica del capitalismo) Fernand Braudel risponde che il capitalismo è propriamente quel livello superiore del sistelT'aeconomico in cui operano grandi capitali finanziari, commerciali e produttivi; un livello che non viene effettivamente sottoposto al mercato e alla divisione tecnica e sociale del lavoro. l::.sso,al contrario, tende a dominare, a manipolare (e anche sviluppare) l'uno e l'altra; e per tale ragione è assai poco «specializzato». Il grande capitale è investito nella struttura superiore del sistema, in settori e zone geografiche diverse, è soprattutto attivo nel campo bancario e finanziario, sviluppa un rapporto «particolare• con le autorità pubbliche. Al di sotto di questo primo livello del sistema esiste poi una vasta realtà economica sottomessa al funzionamento del mercato e alla divisione del lavoro. È il mondo che nel passato era proprio della produzione indipendente e che nel capitalismo di oggi appartiene alla vasta rete della piccola e media azienda. Braudel studia questo livello tramite l'agire dei mercati, la regolarità e la prevedibilità delle correnti commerciali che consentono un margine di profitto «ad un tempo sicuro e contenuto» e chiama questa sfera l'economia di mercato. Infine, al «piano terra• esiste una terza sfera, quella della quotidianità e dell'autoconsumo di merci e servizi in cui il genere umano- sostiene Braudel - è ancor oggi immerso per oltre la metà della sua esistenza. «Innumerevoli gesti ereditati, accumulati confusamente. infinitamente ripetuti (...) ci aiutano a vivere, ci imprigionano, decidono per noi lungo l'arco della nostra vita». I. «L'economia dell'universo può essere considerata come una successione di differenti livelli d'altitudine, che disegnano una mappa in rilievo». Questa struttura gerarchica si muove nel tempo assumendo forme diverse. Il concetto chiave diviene ora quello di «economia-mondo»; vale a dire di un'unità economica e sociale che in ogni deterrninato momento storico fa capo ad un centro - rappresentato da una città dominante - e si articola in zone diverse: «il cuore, cioè il territorio attorno al centro•, «le aree intermedie», «il vasto territorio delle zone periferiche•. La divisione tecnica e sociale del lavoro del sistema si sviluppa di pari passo con la sua struttura gerarchica. Le tre zone principali di cui si compone l'economia-mondo risultano a loro mercato e capitalismo. L'operare simultaneodci livelli economici. tramite processi di scambio diseguale, crea una realtà di profonde diseguaglianze. I rapporti di dominio-dipendenza tra i livelli economici si riflettono in rapporti di dominio-dipendenza tra zone geografiche e tra gli stati che si sono formati nell'economia-mondo. 2. All'interno di questa struttura piramidale (con l'annessa realtà di regioni, gruppi etnici, religiosi, ccc.) penso si debba collocare l'analisi delle classi, delle contraddizioni e delle lotte sociali delle diverse epoche, sviluppando la loro complessa specificità. Si intuisce cosi la potenzialità interpretativa propria dello schema e della concezione del «capitalismo d'alta quota» che le corrisponde - a cui il grande storico dichiara di awr aderito «lentamenlL' ....c.on prudl'nza». Uucsto punto di vista. <:h<:era in parte già presente- in ( i,·iltà ,. i111peri del Mediterraneo 11e//'e1àdi Filippo li ( 1946) civiene dunque presentato nelle sue linee portanti in queste conferenze americane che a loro volta - per usare le parole del curatore italiano Alberto Tenenti - «costituiscono come la presentazione e l'anticipata sintesi» della nuova opera di Braudel dal titolo Civihà materiale, economia e capitalismo, dal XV al XVIII secolo ( 1980). I tre voiuni di questo lavoro (due dei quali, Le strutture del quotidiano e I giochi dello scambio, già disponibili in italiano) sono dedicati per l'appunto alle strutture della vita materiale, dell'economia di mercato e del capitalismo, e all'evolversi del sistema per tutta l'epoca dell'Ancien Régime. Ma nelle conferenze americane il ragionamento viene spinto anche oltre. Pur riconoscendo che l'affermazione dell'egemonia inglese e la rivoluzione industriale segnarono «il passaggio ad un nuovo modello». «la più grossa cesura della storia moderna», Braudel ritiene che la natura del sistema non sia sostanzialmente mutata. Nemmeno oggi, nonostante che il capitalismo abbia raggiunto «proporzioni fantàstiche». Si tratta dunque di una proposta interpretativa generale, di cui la vasta e approfondita ricerca storica sul capitalismo mercantile rappresenta l'autorevole base di partenza. 3. Non è certo il caso di sottolineare la rilevanza di queste tesi per la polemica politica e culturale corrente. Insieme alla maestria dell'esposizione, ciò spiega, già di per sç. l'interesse che si sta formando attorno al lavoro di Braudel. Ma vi è anche un livello più approfondito a cui questi risultati debbono essere presi in considerazione. Braudel parla spesso della storia come punto d'incontro delle diverse scienze umane; il suo contributo può rappresentare la base di partenza per un riesame e una riformulazione delle scienvolta formate da una combinazione ze sociali cosi come le abbiamo credidiversa di autoconsumo. economia di tate dal passato. B1b1otecag1nob1anco (.)uesto punto di vista sta cominciando a farsi strada nella cultura della sinistra, soprattutto negli Stati Uniti dove nei primi anni '70 si è verificata la rottura definitiva del tradizionale monopolio culturale liberal-conservatore e la nascita di una molteplicità di esperienze culturali diverse. Mi riferisco qui in particolare al lavoro del «Centro di studi sulle economie, i sistemi storici e le civiltà», presso l'Università dello Stato di New York a Binghamton, Centro che per l'appunto è intitolato a Fcrnand Braudel. È un'esperienza che nasce, si può dire, dal movimento degli anni '60 sui diritti civili e contro la guerra del Vietnam, ma che più specificatamente si considera l'erede di quella corrente di pensiero, collegata al vasto moto sociale del terzo mondo, che prese il nome di neo-marxismo o di marxismo della dipendenza. A distanza di tempo. quelle idee iniziali sono state oggi «trasformate» all'interno di una concezione che fa perno sulla ricerca storica. Anche prendendo spunto dai risultati di Braudel. lmmanuel Wallcrstcin ha iniziato da tempo un vasto riesame della storia del capitalismo (di cui sono finora usciti due volumi), attorno a questo lavoro sono sorte altre esperienze di studi su zone e periodi specifici (Sud Africa, Caraibi, Turchia. Mediterraneo, ccc.). Lo scopo è la creazione cauta e graduale di una nuova concettualizzazione da contrapporre a quella che ha finora prevalso nclk scienze sociali dominanti. Le scienze accademiche in cui il pensiero sociale è stato diviso (la politica, l'economia, la sociologica, la storia e l'antropologia) - scrive Wallcrstein nell'editoriale del primo numero di Review, la rivista del Centro, - si sono affermate su presupposti positivistici nei paesi dominanti; soprattutto in Inghilterra nel XIX secolo e negli Stati Uniti nel XX. Le correnti culturali che hanno cercato di resistere a questo predominio - come gli Annales francesi, la scuola storica dell'economia di Sombart e Schumpctcr e il marxismo - hanno certo combattuto la base evoluzionista di quelle teorie ma non sono riuscite a fondare effettivamente un'alternativa perché non hanno messo a nudo la caratteristica centrale di dominio-dipendenza che queste scienze nascondono. Ma il grande moto sociale che ha investito le periferie del sistema nel XX secolo ha oggi creato le condizioni per una ricomprcnsionc unitaria del modo di produzione capitalistico e della sua grande parabola storica (che prelude alla sua «futura scomparsa»). 4. Non è possibile fornire qui una panoramica esauriente delle iniziative che stanno nascendo attorno a questa impostazione. Negli Stati Uniti esse culminano in una Conferenza annuale sulla «politica) economy» del sistemamondo, i cui atti vengono pubblicati dall'editore Sagc; all'estero in riu.nioni periodiche che si svolgono a turno in diversi paesi e che coinvolgono studiosi dei quattro angoli del pianeta. Per quanto posso giudicare dalla parte di lavoro di cui sono venuto a conosccmza, l'applicazione di questa prospettiva all'analisi della realtà contemporanea sta dando risultati incoraggianti, sia riguardo allo studio delle tendenze generali (cfr. ad esempio i saggi di Wallcrstcin, Arrighi, Frank e Amin che compongono il volume Crisi, quale crisi?. di prossima pubblicazione in quattro lingue), sia per gli studi di strutture sociali specifiche come le unità domestiche e la formazione del proletariato in diverse zone, o per gli studi antropologico-sociologici sul sud italiano (Arrighi-Pisclli) e sulla Turchia (Kcyder). Quanto poi al processo di critica e di riformulazione unitaria delle scienze sociali, cui si accennava. mi pare che importanti passi avanti siano stati compiuti soprattutto da Wallcrstcin e Hopkins riguardo alla genesi e alla natura dello stato, alla critica delle teorie «sviluppiste» e delle loro tesi sul ritardo storico dei paesi periferici e più in generale riguardo alla critica dell'antropologia e della sociologia funzionalista e alla messa a punto di una metodologia alternativa di analisi sociale del sistema-mondo. In tutto questo, però, l'economia politica rischia di rimanere indietro. l::.ppureanche questa zona delle scienze sociali sembra destinata a venir investita dal nuovo punto di vista (cd a contribuire a suà volta al suo evolversi) sia sul piano dell'analisi empirica. sia su quello teorico. Mi riferisco in particolare all\:nmomia applicata. a cui J"anali:-.i lk·l1·.._:ronumia-1th1ndo dovrà inevitabilmente rivolgersi via via che il lavoro si sviluppa per epoche più vicine a noi per le quali esiste una vasta documentazione statistica (per quanto organizzata secondo principi «statualisti» che fanno riferimento a concezioni discutibili). Ma mi riferisco anche all'economia teorica che è parte necessaria per fondare sul piano logico l'analisi del capitalismo come sistemamondo. 5. Per limitarmi a quest'ultimo problema: penso che già ad una prima riflessione è possibile indicare alcuni campi in cui la trasformazione dell'ottica usata dovrà inevitabilmente mettere radici. In primo luogo si tratta di riportare alla luce e di ricomprendere una parte generalmente dimenticata del pensiero economico: le concezioni mercantiliste, le teorie della grande lotta per l'egemonia sul sistema-mondo capitalistico del XVI-XVIII secolo. Gli squarci di luce sulla realtà globale del sistema che compaiono indirettamente in queste concezioni si può dire non si spengono mai del tutto nel pensiero successivo; eppure vengono in larga misura messi da parte dalla teoria eco-. nomica dominante, che si sviluppa a partire da quella egemonia. D'altra parte, i problemi del comportamento complessivo del sistema sono stati oggi relegati nel campo dell'economia internazionale; una branca che, tuttavia, anche per effetto dei processi politici cui si faceva cenno, è oggi in subbuglio cd ha perduto il polo attorno al quale aveva gravitato per un secolo e mezzo: la tesi ricardiana e poi neoclassica dei costi comparati come base del commercio internazionale. In secondo luogo, l'insistenza di Braudel sul fatto che la storia del sistema-mondo è caratterizzata da una serie di tentativi per la formazione di un sistema bancario e finanziario di tipo moderno, conduce alla rivalutazione del contributo di coloro che furono impegnati (con o senza successo) in queste imprese, come William Pattcrson, John Law, i fratelli Pcrcirc (che Marx considerava per lo più dei lestofanti) e ci spinge allo studio di quell'aspetto del pensiero economico moderno (presente in Wicksell, in Schumpctcr, in Kcyncs) che guarda al sistema capitalistico come ad un'economia monetaria in cui il credito bancario svolge un ruolo di primo piano. In terzo luogo- e qui veniamo all'aspetto più delicato dell'intera questione - il punto di vista sull'analisi del capitalismo sviluppato da Braudel e Wallerstcin conduce a mio avviso ad investire ciò che, a partire dalla fine del '700, è diventato l'asse centrale della teoria economica, la teoria del valore. Lo scambio diseguale che è al centro della concezione del sistemamondo si presenta in realtà come un principio generale alternativo sia alla visione dell'eguale saggio del salario e del profitto della tradizione classica, sia a quella della distribuzione secondo la produttività marginale dei fattori ucll'cconomia neoclassica. È un problema che si può sciogliere solo a partire dallo studio del comportamento concreto del mercato nella storia lontana e recente del sistema. e da quegli spunti teorici che, come si è accennato, sono stati formulati al riguardo. Infine, l'angolo di visuale con cui il punto di vista dell'economia-mondo conduce alla critica della teoria economica implica anche, necessariamente. che la critica dell'economia politica di Marx -il sottotitolo del Capila/e - nonostante la sua ovvia importanza, ucvc essere considerata comc·parziale, perché viene sviluppata a partire dalla tesi dello scambio per equivalenti. A mio avviso una parte delle difficoltà di teoria economica della nuova concezione (cui si accennava) sono legate a questo nodo; vale a dire al problema di «trasformare» la critica dell'economia politica di Marx in una critica più vasta e completa fondata sullo scambio diseguale. Ad esempio, in alcuni scritti di Hopkins e di Wallcrstcin in materia di accumulazione, di opposizione di classe, di trasformazione sociale si può ancora notare un certa influenza di tesi «non trasfomatc» di Marx (mentre il non aver condotto davvero in porto qu·esta trasformazione non consente di assorbire completamente, all'interno del nuovo impianto, alcune tesi centrali di Marx sul rapporto di produzione, la cui riscoperta e il cui impiego concreto nella lotta politica sono un altro importante lascito dei movimenti degli anni '60). Si tratta tuttavia di uno sviluppo che si rende possibile solo dopo che la nuova visione è stata costruita nei suoi clementi portanti. Esiste d'altra parte un autore marxista a cui Braudel fa riferimento al termine delle sue conferenze americane. «li capitalismo - egli scrive - designa essenzialmente le attività economiche che si svolgono alla sommità e che tendono verso la sommità. Di conseguenza questo capitalismo d'alta quota galleggia sul doppio spessore sottostante, formato dalla vita materiale e dalla economia corrente del mercato: esso rappresenta· la zona dell'alto profitto. Ho fatto dunque del capitalismo un superlativo. Mc lo si potrà rimproverare, ma non sono certo l'unico ad avere abbracciato questa tesi». Nell'Imperialismo, fase suprema Lenin afferma che 'il capitalismo è la produzione mercantile al suo più alto livello di sviluppo' e che 'decine di migliaia di grandi imprese sono tutto, milioni di piccole non sono nulla'. Ma questa evidente verità del 1917 - commenta Braudcl - è una vecchia, vecchissima verità». Come dire, il punto di vista deve essere sostenuto in generale, e non solo per l'epoca di Lenin.
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