PerI'artigiancttltimo,massimo I. Le mostre equivalgono ai risoui. Mesi fa, partecipando a Modena a una riunione di magistrati che indagavano il tema divenuto decisivo con Agnoli) delle «trasformazioni» in corso nelle istituzioni, ho ascoltato un intervento • tecnico amministrativo che svelava uno spostamento, presso i comuni e il potere centrale. Si passa, dalla pratica tradizionale di ordinanze e norme, con modi acuiti di ineccepibilità complessa, ad una nuova operazione tagliente. Questa: lasciando correre il corso delle ordinanze, si istituisce un coefficiente parallelo diverso di gestione, un commissariato speciale (anzitullo con scopo «sperimentale» in casi indispensabili eticamente come terremoti ed altri). Per ollenere effe/li di soddisfazione e consenso al difuori dell'afr!ministrazione reale. Legillimandosi così. I:, questo, a livello minimo generale, il riso/lo a buon prezzo (con deficit relativo) nelle domeniche estive. La grande mostra. Non si trattadi «panem et circenses», antichissima risorsa proverbiale del potere. Né del clientelismo eleuorale con pacchi di pasta nel sud. Ma di una trovata tecnica legittimante della democrazia evoluta e perversa di oggi. Da qui la merda di mostre che cresce e invade la città. E:veroche Niccolini diceche bisogna «consumare» la grande città «come una festa>: ma, appunto, secondo me questa è legittimazione evasiva, non cultura... La polemica in corso sulla cultura come spettacolo deriva da qui, da questo tipo di «panem et circenses» di alto livello degli assessorati moderni nel tempo in cui le masse giovanili consumistiche assaltano il palazzo dei concertileggeri... Per altro verso vari intelle11ualiritengono che l'intransigenza sia tutta nel cul111ralen,on debba stare anche nell'analisi politica... Ma io voglio parlare di una eccezione rarissima. Di una mostra veramente utile e problematica, che insieme modifica la soglia del bello... I:, una cosa di Mari. IL Conosco Mari e ho fatto con Mari una cinquantina di riunioni a due. Io parlavo in continuazione tracciando intanto come apprendista (stregone) qualche schizzo schifoso (più oltre Fagone ha ignorato, recensendo il risultato del lavoro che io facevo schizzi cosi; Caramel non l'ha compreso in una mostra del visivo e verbale). Mari interloquiva con misura, e con assurdi pensieri; intanto lui su un grande piano e sui fogli velini disegnava a lapis e con la gomma, lentamente e faticosamente. Ceno lui di rado appallottolava per bui/are le carte nel suo cestino famoso inclinato con bocca aperta a riceverepalle. I:, cosa dellaproduzione, ormai, il cestino. Mari i rotoli e ,otolelli li teneva. In un anno ne è venuta laformidabile mappa di analisi e idee che col titolo «Atlante secondo Lenin» è stata edita dopo vari rifiuti dei grandi editori da Elvio Fachinelli anni fa, va/wandola come una serie di piste delle corse di Mari; i librai l'hanno scambiata per un fascicolo di rivista qualsiasi a causa del formato anomalo da cui Mari non si sa trallenere mai, nella sua propria economia (nel senso di Freud); solo Pedio nel suo libro su Mari per Dedalo ha definito il mio contribwo come «bisturi didascalico»... Insomma so come Mari lavora, voglio dire. Il designer celebre e autodidatta e utopista con i suoi gesti contestativi e autogestiona/i non è un industriale, ma mette in questione l'associazione, opera e va con lapis e gomma, monta i suoi cartelli in altri mondi ... III. Sostiene Mari nel catalogo della sua mostra con uno scritto limpidissimo di estrema paradossalità, e nei cartelli della meravigliosa pista della mostra, che l'artigiano è oggi (altrimenti «non c'è»/ l'ar~jice di prototipi q,erimentali per l'industria. I:, un grande argomento, fra altri suggestivi che egli pone. Voglio discuterne con cura. Ad aprire Engels, Antidiihring, si ricostruisce che già l'apprendista, poi garzone, nella tradizione rinascimentale «siede in modo patriarcalealla mensa del maestro» ed ha « una certa comunanza del fondo di consumo possieduto dal maestro». I:, come un vecchio modello di cooperativa. li lavoro dell'artigiano ha il caralleredel possesso dello strumento di lavoro e dellaereditarietà della tecnica di lavoro; è lavoro personale e di abilità; prevede l'intero oggello globale e lo vende anche, ha la previsione insieme alla miseria; e si può considerare, a metà, fine a se stesso (come l'arte). C'è quindi la serie di «dissoluzioni» dei rapporti contestuali (con la terra, con lo strumento, col controllo dire110 delle condizioni di lavoro) che il capitalismo comporta, con la produzione seriale e col lavoro parcellizzato «per l'immediato guadagno» (e cfr. Marx, Lineamenti li, pp. I24-126). Si può dire in riassunto ciò che scrive Eleonor°' Fioronipresentando un'antologia di scrilli inediti di teorici operai e artigiani del I 830-48 in Germania e Francia: «se anche nei primi decenni dell'O11ocentola classe operaia è solo una minoranza, l'organizzazione capitalisticadel lavoro comincia già ad agire, in quanto modello avanzato e proiellato verso il futuro, su tu/li gli strati confinanti, a11irandolie disgregandoli. Le condizio11idi vita e la coscienza di classe degli operai dei mestieri non possono pertanto essere intese come conservative delle strul/ure feudali, né come livello differenziabile in assoluto. I processi stru11ura/istessi non sono in questo senso mai determinabili se non con situazioni di passaggio» (La lotta di classe, edizioni «Lavoro liberato», da me dire110,Milano /975). Gli artigiani vanno ritenuti ancora oggi «operai dei mestieri» (mentre /'o- • peraio di fablfrica è poi divenuto ope- • raio di catena e operaio-massa nel pieno novecento). Gli operai dei mestieri quando no11potevano sostenere la loro situazione di awonomia entravano nell'industria, o dovendo o potendo ne uscivano. Ora si può dire che la differenza con oggi non è qualitativa su questo punto. La «tendenza» che Marx legge nel processo d'industrializzazione ha due effetti: uno., determina un'organizzazione del lavoro che è ouimale per i produ110ri capitalisti ed è da loro ricercata e vincente; due, essamantiene una diversità nettacon altripaesi (il Terzamondo ovunque diffuso e con un «gap» cresceme) per avere tali paesi come consumatori di riserva; e inoltre essa mantiene modi produllivi precapita/istici come funzionali a se stessa, nella loro marginalità (il vecchio sud italiano). Ancora va dello: è recentissimo il processo crisista che è dello «decentramento produllivo»: i licenziati della Fiat con infinite pene lavorano nell'indo110,si ricostiltliscono in gruppi di produzione «familiare» con macchine a prestito, fanno i garzani di officina e i portatori di pane ... Questo è apparso un processo di awo-valorizzazione (con reddito invece che salario, con artigianaglobalità e controllo del processo lavorativo benché in miseria) ai teorici operaisti. I:, un processo di definizione discussa. Per noi, dunque, l'artigiano • è l'operaio dei mestieri ed è fil/le queste cose: a) residuale e marginale; b) globale e intero, con dignità di lavoro manuale autonomo, con gli strumenti suoi, t11ensi/ie biciclelle, e talvolta con sogni cooperativi vari; c) in ripresa di a11ivitànella fase ristrullurativa complessa ed epocale dell'oggi (mentre i neoliberisti tentano di smantellare il Welfare State)... Tenuto conto di ciò, va dello che Mari ha effe1111atuon'autentica e sensazionale scoperta, indaginosa e preliminare alla sua mostra. Trai/asi di un momento o di una caraueristica «d», nella nostra visuale;mentre.Mari vede e valorizza pi1111ostoq11esta. Tale «d» configura l'artigiano come maestro audace in seno all'industria, o con commissione dell'industria. Ciò recentememe avviene, persino nelle capsule spaziali. Mari lancia il senso di questo evento ulteriore nella sua mostra. (Cosa avranno dello gli emiliani e i toscani, dove la mostra è stata per mesi con discussioni assembleari? dato che là il tesstl/o sociale produuivo consente da sempre ed espande oggi forme di produzione artigiana/e, per mano locale, con uso di terzamondo immigrato, e per effeuo di decentramento e ritorno indietro?) IV. I:, certamente della mano di Mari, così sobria e fresca nella razionalità p11ra,emergendo da 11ncastello disordinato ed emozionale di rotoli a lapis, la freccia: quella freccia che in vari esemplari indica via viaai visitatoridella Triennale (l'edificio che presi anch'io d'assalto nel '68 con Novelli, Mari, Castellani, Pistole/lo, i Pomodoro) di girare dietro il pa/azza terribile. Dentro il palazza c'è una serie di mostre con variconcatenamenti disposte, e certamente importanti. Ma girando dietrosi trova nel parco un tendone Zak ... Sono arrivato di ma11inaferiale. Era chiuso. Ho sollevato un lembo e sono penetrato. Avevo gli occhi con quella freccia dentro, così dolce, che la vorrei aguidarmi dove non so andare da solo, ormai, come tutti; e la vorrei in casa come ho in casa l'a11accapannia totem di Mari, ecc. ecc. Il circolo della mostra era nudo di gente. Abbagliante. Indimenticabile. Nel tocco di precarietàsi esalta il rigore della ricerca,la proprietà delle osservazioni e dellescelte di materiali e di lessici, l'invenzione del nuovo. Mi è venuta in meflle quella breve pagina della Heller che definisce l'artista, ora residuale nel mondo, come artigiano... E, dunque, se l'artigiano fornisce i prototipi a/l'industria, non è forse Mari il più realeartigiano di /LIiiigli artigiani reali (11,b,c,d)? Dov'è l'artigiano mostra alla Triennale di Milano nell'inverno 1981-82 (con catalogo a cura di Cinzio Janiro e Gigi Ricci.FirenzeMilano, Electa, 198I). Escursioniel,l~Jmmaginari Stefano Agosti «Effetti di reale nel testo flaubertiano», in U Piccolo Hans n. 26 Bari, Dedalo Libri, 1980 U. Bartoli, F. Artioli (a cura di) D viandante e la sua orma Bologna, Cappelli, 1981 pp. 208, lire 9500 Sergio Finzi «Go-ne-go, à la guerre comme à la guerre: Io spazio della parola, topologia e tecnica psicoanalitica», in D piccolo Hans n. 28 Bari, Dedalo Libri, 1980 Antonio Porta Se fosse lutto un tradimento Milano, Guanda, 1981 pp. 73, lire 6500 «... e attraverso la déchirure soffia quel veni du dehors che spinge il possibile a scivolare, a glisser in quello che ancora ci appare come l'impossibile». (Sergio Finzi, /I vento di fuori, 1973) Preliminari «Lo snodo tra Reale e Immaginario è davvero percorribile o rappresenta il luogo di una impossibilità? Può essere gettato un ponte tra dicibile e indicibile? O resiste soltanto, al di là d'ogni opzione catastrofica, l'esito della sospensione?• Cosl, i curatori de// viandante e lasua orma (libro che raccoglie gli interventi di un convegno tenuto a Mantova, nel I 978, intorno a: «Itinerari: pratiche dell'immaginario, pratiche del reale», colti dal di fuori dei loro testi di postfazione. Con essi, dichiaro subito i percorsi del mio scrivere, tra reale e immaginario. E allo stesso modo, i compagni di viaggio, oltre a quelli già menzionati: Alberto Moravia, Dell'inutile utilità; Sergio Finzi, Dire, fare, amare, baciare, lei/era o Testamento; Antonio Porta, Interazioni; Gino Baratta, Per un Salone internazionale dell'aeronautica e dellospaziodi Le Bourget Bolo eca~.nob1anco elogio dell'indecidibile. La scelta non è solo di piacere e di rilevanza. Altri intervenuti al convegno esposero in quel luogo tracce di parola trosformate, negli anni trascorsi, in libri che già hanno fatto parlare di sé su queste stesse pagine (penso alle questioni del post-moderno, del nichilismo, della differenza, alla problematica del rapporto tra sapere e potere). Itinerari Cosi, fra i meandri della post-modernità vale, forse, la pena di chiederci ancora qualcosa intorno ad un sapere su/l'immaginario che, al di là delle sue Salone imemazionale del/'aeronaU1icae dellospaziodi Le Bourget definizioni per discipline e scuole, rimane oggi perno focale della riflessione (e non solo di quella letteraria, poetica o psicoanalitica).« Uscirà Narciso dal suo delirio, scoprirà, nel furore dell'autocontemplazione, il risvolto osceno della sua immagine abbagliante, in cui il suo occhio è immerso da secoli, da quando il sapere occidentale ha varcato le soglie del moderno?» (Artioli) Reale e Immaginario, dall'interno del gesto che li seleziona, li enuncia, la parola, scoprono nelle scritture che abbiamo scelto luoghi di risposta, di interazione, spesso, di impossibilità Salone inremazionale del/'ueronautica e dellospaziodi Le Bourget che si concretizzano in alcuni itinerari di fruttuosa ricerca (come è il caso di Sergio Finzi, di Antonio Porta e di Stefano Agosti). Da un lato, Porta (in Interazioni, appunti per una poetica) getta un ponte tra dicibile e indicibile assumendo la categoria dell'immaginario come lievito della storia (del rammemorare) «in grado di moltiplicare i suoi effetti di ritorno» divenendo, cosi, promotore diproge11i. E se, tutto questo è detto da una posizione che dichiara intenzioni poetiche, che assumono moto esplicito nella scommessa intorno al progetto («non pare possibile, oggi, parlare di progelli in senso stretto, cosi come è stato possibile negli ultimi 35 anni» ... « Il progetto è linguaggio» che si identifica con la narrativa, la poesia, dove la memoria si fa pronuncia, nominazione per «rifondare l'esistente, il trasmesso, ben consapevoli che prima di questa pronuncia l'uomo ha scarse probabilità e/o possibilità di esistere»), tali dichiarazioni ritrovano oggi un senso nell'ultima raccolta narrativa del poeta con la quale,« Porta attende di saziare la sua avidità di comprensione del reale, dei sogni, delle immaginazioni» (Maria Corti). Dove se, l'immaginario è lievito di alto e squisito pregio, il reale «che in prima istanza identifichiamo come oggetto/soggetto interagente» (Porta) °'
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