Alfabeta - anno IV - n. 33 - febbraio 1982

riporta con tu/li i particolari che il do/lor Hu Shin3 in persona ha visitatoalcune prigioni e «amichevolmente» ha riferito al giornalista che «secondo la sua accurata indagine, di fallo non è posssibile trovare la minima prova ... È stato assai facile conversare coi detenuti, e una volta il do/lor Hu Shin ha potuto comunicare con loro in inglese. Quanto alle loro condizioni, egli (il douor Hu Shin - n.d.r.) ha dello che non sono soddisfacenti, 1u11avia,benché essi molto liberamente (oh, molto liberamente - n.d.r.) gli abbiano parlato del tra/lamento disgustoso e umiliante subito, non hanno però fauo assolutamente il minimo cenno alla tortura»... Anche se non ho avuto l'onore di partecipare a questa «accurata indagine», dieci anni fa visitai la p.rigionemodello di Pechino. Era una prigione modello, eppure parlare con i detenuti era decisamente «non libero», si eraseparati da una finestra alla distanza di un metro, con accanto unaguardia; anche il tempo era limitato e nel conversare non erapermesso neppure/are un cenno, per non parlare dell'uso di una lingua straniera. Che invece ora il douor Hu Shih abbia «potuto comunicare con loro in inglese» è veramente strano. Le prigioni cinesi sono state riformate fino a questo punto, e c'è una tale «libertà»; oppure le guardie, intimidite dalla «lingua inglese», hanno preso il douor Hu Shih per qualche personalità molto autorevole, compatriota di Sir Liuon? Fortunatamente però ho leuo il commento del do/lor Hu Shih alle « Tre principali procedure della Società Commerciale di Navigazione»: «La denuncia pubblica è la sola arma per rovesciare la politica oscurantista, quando arriva la luce, la tenebra si dissolve». (Nel testo originale senza punteggiatura•, aggiunta da me - n.d.r.). I Allora ho capito tulio. Nelle prigioni non è permesso comunicare coi detenuti in una lingua straniera, ma con l'arrivo del do/lor Hu Shih si è aperto un caso speciale: egli è in grado di fare «pubblica denuncia» e di conversare «amichevolmente» con gli stranieri, egli è «la luce»; come è arrivata «la luce», «la tenebra si è dissolta». Allora egli ha «pubblicamente denunciato» agli stranieri la Lega per la tutela dei diritti civili, dalla cui parte sono le tenebre. Ma mi domando se, dopo il ritorno a casa del signor «luce», nelle carceri sarà poi sempre permesso anche agli altri di com,micare «in inglese» coi detenuti. Se non è permesso, è segno che, «partita la luce, tornano le tenebre». li signor «luce», troppo occupato con l'università e con la commissione per gli indennizzi dei Boxers, non può correrespesso fra le «tenebre», e prima di una seconda «accurata indagine» temo che i detenuti non avranno lafortuna di parlareancora «molto liberamente» «in inglese». La luce va solo in compagnia della «luce», e nelle prigioni ahimé il mondo della luce dura solo un a/limo! Tuuavia i detenuti non debbono prendersela con nessun altro. stava a loro di non violare mai e poi mai «la legge». Le persone «perbene» infatti assolutamente non violano «la legge». Se non lo credete, guardate a questa «luce»! /5 marzo /933 (La falsa libertà). Storia moderna Da quando ho memoria e fino ad oggi dovunque sono passato. negli spazi liberi ho sempre visto i «giocolieri», altrimenti deui «illusionisti». I loro spellacoli in genere l0no di due tipi: In uno dei due si mette una maschera a una scimmia, la si veste di abiti e le si dà una spada o una lancia; ed essagira di corsa a cavallo di una capra. Poi fa qualche gioco un orso,tenwo in vita con poca pappa e ridouo a pelle e ossa. Alla fine si raccolgono i soldi fra il pubblico. Nell'altro spellacolo, in una scatola vuota si melle un sasso, la si avvolge in un fazzoleuo a destra e a sinistra, e se ne tira fuori un piccione bianco; poi uno si ficca in bocca della carta, l'accende, e manda fuori il fumo dalla bocca e dalle narici. Dopo di che si chiedono soldi ai presenti. Raccolti i soldi, uno si lamenta che sono troppo pochi, si finge deciso a non recitare più, viene un altro a persuaderlo, mentre chiede ancora al pubblico cinque soldi. Qualcuno difaui geua soldi, allora ne chiede ancora quauro, tre... Quando il denaro è sufficiente, lo speuacolo ricomincia. Ora consiste nell'infilare un ragazzino in una giara dalla bocca streua, cosi che se ne vede solo un ciuffeuo di capelli: per farlo uscir fuori si chiedono ancora soldi. Quando hanno raccolto abbastanza, un omone spuntato chissà da dove uccide il ragazzino con il coltello appuntito, lo copre con un lenzuolo e lo lasciaa giacere tulio rigido; per farlo tornare in vita occorrono altri soldi. «A casa contiamo sui genitori, fuori contiamo sugli amici... Huazaa! Huazaa! ( Date soldi, date soldil]» dice in tono triste e lamentevole il giocoliere, facendo con la mano il gesto di chi geua danaro. Se gli altri bambini si avvicinano per veder bene, li traila a male parole, e se 11011 gli dànno rei/a è capace di picchiarli. Di fallo sono in parecchi a huazaa Quando arrivano pressappoco alla somma prevista, meuono insieme il danaro, raccolgono le loro cose, jl ragazzino morto si rialza da sé e Ili/li insieme se ne vanno. Anche gli spellatori se ne vanno come stupidi. Nello spazio vuoto per un po' c'è quiete. Poi ricomincia la stessa cosa. Dice il proverbio: «Tuili sanno far giuochi, ma l'arte 11011 è la stessa». In realtà da parecchi anni è sempre cosi, ci sono sempre spella/ori e, sempre chi tira fuori soldi; solo, fra una volta e l'altra deve passare qualche giorno di quiete. Ecco tulio, il senso è assaimodesto: dopo che la gente ha pagato, c'è bisogno di qualche giorno tranquillo, per poi ricominciare. Solo a questo punto mi rendo conto che ho sbagliato titolo, questa roba non è «né carne né pesce». J aprile 1933 (La falsa libertà). Capodanno Quest'anno a Shanghai il capodanno lunare è stato più vivace del/'qnno scorso. Nel modo di designarlo, per iscrillo o a voce, ci sono delle varianti: «capodanno obsoleto», lo si dipreua; oppure lo si ama quale «antico capodanno». Ma nel modo di trallarlo non ci sono differenze: si fanno i conti, si offrono i sacrifici agli spiriti e agli antenati, si lanciano mortareni, si gioca a majiang. si fanno le visite, ci si augura «bupn anno!» ~•• uù Cl \.,\.I È vero, c'è chi ha sospirato perché il giornale non è sospeso a capodanno, ma erano solo sospiri privi di conseguenze. Alcuni eroici scrinori hanno rivolto appelli affinché a fine d'anno ci si riscuotesse, si levassero lamenti, si commemorasse. Erano solo inviti al lamento, senza conseguenze. Le ricorrenze lui/uose in Cina sono troppe, e come regola si dovrebbe almeno restare in silenzio; ci sarebbero anche non poche ricorrenze liete: ma per il timore che «elementi reazionari ne approfiuino per creare disordini», non è consentito neppure manifestare la contentezza comune. Divieti, epurazioni, tulle le feste strangolate; ci è rimasto solo questo agonizzante capodanno «obsoleto» o «antico»; e perciò ci è più caro. È una celebrazione tu/la particolare, da non liquidare alla leggera con le due parole «residuo feudale». Gli eroi che fanno appello al dolore e al duro lavoro 111110 l'anno, non conoscono certo nulla essi stessi di dolore né di lavoro. Chi soffre e chi lavora, di tanto in tanto ha bisogno di riposo e di gioia. Anche agli schiavi dell'antico Egitto accadeva a un tratto di scoppiare a ridere. È un riso di disprezzo per tutto. A non capirlo sono solo i padroni, quelli che sono contenti della vita di schiavi, e gli schiavi che hanno da lavorare meno e hanno smesso di soffrire. Da ventitre anni non celebro il vecchio capodanno, ma stavolta per tre noni di seguito ho lanciato mortarelli, finché gli stranieri accanto si son messi a ziuire. Con i mortareui, è stato il mio solo piacere di quest'anno. 15 febbraio 1934 (Letteratura a merletti). A tesla in giù Gli occidentali dall'animo compassionevole soffrono a veder trattare gli animali con crudeltà, e chi passa per le concessioni portando polli o anatre a testa in giù vienepunito. La pena consiste solo in una multa, e se uno è disposto a pagare, può anche seguitare a portarli a testa in giù; ma subisce comunque una pena. La cosa ha suscitato grandi agitazioni e proteste fra alcuni cinesi, i quali ritengono che gli occidentali sono gentili con gli animali e crudeli con i cinesi, al punto di mellerli al di sollo dei polli e delle anatre. Questo significa fraintendere gli occidentali. Che ci disprezzano è certo, ma non ci mellono al di sollo delle bestie. Animali come polli e oche finiranno in ogni caso in cucina per essere trasformati in vivande, e per quanto li si porti a testa in su non sfuggiranno allafine al loro destino. Ma essi non sanno parlare, non possono opporre resistenza, e a che servirebbe aggiungere una inutile crudeltà? Per qualsiasi cosa gli occidentali guardano all'utile. I nostri antichi avevana pensato al dolore dellagente «appesa per i piedi» e ne avevano Caccia americano Fl6, esportato in Egitto, Israele, Arabia Saudita, ecc. anche fallo rappresentazioni grafiche, però non avevano scoperto l'infelicità di anatre e polli a testa in giù; eppure in testi molto antichi era stata a/laccata la crudeltà idiota di «tagliar la carne dagli asini vivi» o di «arrostire oche vive». Questo modo di vedere è comune a Oriente e Occidente. Qualche differenza c'è nel modo di vedere riguardo agli uomini. Gli uomini sanno organizzarsi e opporre resistenza, possono essere schiavi ed essere padroni; se non vogliono fare uno sforzo, certo resteranno sempre servi, ma se operano per liberarsi, possono guadagnarsi l'uguaglianza, il loro destino non è di finire immancabilmente in cucina per essertrasformati in vivande. Piùsono miserabili, più compassione ouerrano dai padroni, perciò se un servo degli occidentali picchia un cane, è il servo ad essere ripreso, ese un uomo comune maltratta un servo degli occidentali, è l'uomo comune ad esserepunito. Nelle concessioni non c'è una legge che vieti di trauare con crudeltà i cinesi, proprio perché dobbiamo avere noi una forza e una nostra capacità, senza possibilità di paragone con polli e anatre. Eppure ci hanno così riempiti fin dagli antichi classici di stupide storie di eroi buoni e campioni di giustizia che andavano a liberare gli appesi per i piedi, che ancora oggi continuiamo ad apellarci che scenda la grazia dal cielo o da qualche luogo alto e lontano; e per di più siamo convinti che sia «meglio un cane in pace che un uomo nel disordine»; non importa diventare cani, pur di non me/lerci insieme a riformare le cose. I sospiri per essere tra/latipeggio di polli e anatre nelle concessioni hanno questo odore. Se la gente così si fa numerosa, finiremo tulli appesi per i piedi, e quando saremo portati in cucina, a qual punto nessuno ci salverà. Perché siamo uomini infine, ma uomini senza una prospelliva. 3 giugno /934 (Letteratura a merletti). Bocconcini Oggi il mondo dell'editoria si presenta con molti periodici e pochi libri, cosa che preoccupa chi è capace di rifleuere; sono molte le opere/le e poche le grandi opere, altro motivo di preocèupazione per chi rif/elle. Veramente, se uno riflette dovrebbe «passare tulio il (empo a preoccuparsi». Tunavia questa situazione non è nuova, ma oggi è solo resa più evidente da alcuni piccoli cambiamenti. Agli abitanti di Shanghai sono sempre piaciuti i bocconcini. Basta tendere l'orecchio, e si sente gridare per la strada una vera «legione» di venditori di bocconcini. Focaccinedi petali di cannella e zucchero, paste allo strullo e ai semi di loto, tortellini di granchio e carne, sesamo, banane, manghi di Nayang, mandarini siamesi, semi di zucca, e ancora: frulli canditi, olive, ecc. ecc. Se si ha un buon appetito, si può mangiare dall'alba a mezzano/le, ma anche SI! non si ha un buon appetito non impona, perché non si trailadi grandi pialli di pesce e carné, le quantità sono minime. Il loro ml!ritodicono sia di far passare il tempo, essl!re nutrienti, e avere per di più sapori deliziosi. Le pubblicazioni di alcuni anni fa erano bocconcini «nutrienti•, chiamati «corsi elementari», «ABC» o «introduzioni»; si trattava di volumetti so11ili, e qualche decina di centesimi e mez:tora di tempo erano sufficienti a conoscere una scienza, o tulio di una le1teraturao di una lingua straniera. L'idea era che basta mangiare un pacche/lo di semi di zucca alle cinque spezie per crescere come una pianta, nutriti come avendo mangiato per cinque anni. Se dopo aver fallo la prova per qualche anno non si vede nessun effe110,si resta un po' scoraggiati. Un esperimento dove alle parole non corrisponda la cosa lascia sempre un po' scoraggiati; per esempio sono rimasti in pochi a cercaredi diventare immana/i o adistillarel'oro, eche queste pratiche siano state sostituite dai bagni termali e dai biglie/li di lo11eriaè conseguenza degli esperimenti privi di effe/lo. Così non si è badato più al «nutrimento• e ci si è concentrati sui «sapori deliziosi:.. Ma si tratta sempre di bocconcini. Neppure moni gli abitanti di Shanghai ne faranno a meno. Allora sono comparse le opere/le, anch'esse cosa non nuova. Quando la Laojiuzhang 5 era fiorente e prospera, esistevano già libri come Compendio di schizzi, che era un'intera cassa di bocconcini; dopo la chiusura della Laojiuzhang sono ridotti apoco. Se la quantità è diminuita, perché tanto chiasso, fino a riempire di confusione la ci11à?Credo sia perché sopra le loro casse11e i venditori hanno messo insegne con cara/Ieri da sigillo armoniosamente combinati con la scri11uralatina, illuminate da lampade ele1triche. Benché siano sempre bocconcini, le reazioni degli abilanti di Shanghai sono più vivaci di prima, altrimenti non ci sarebbe tanto chiasso. Questo però potrebbe esser causato dalle molte nevrosi. Se le cose stanno così, anche il futuro dei bocconcini è in forse. I I giugno /934 (Letteratura a merletti). Destino Un giorno che sedevo a chiacchierare nella libreria Uchiyama - del fallo che io andavo spesso a chiacchierare alla Iibrt!riaUchiyama i cle1terati•miei avversari approjirtarono per tt!ntarein ogni modo di appiccicarmi l'attributo di «traditore col/aboraxionista•, ma purtroppo ora hanno smt!sso - venni a sapere che le donne giapponesi nate nel/'anno bing-wu [/ 906] e che avevano ora ventinove anni sono quanto mai disgraziati!. Tuili credono che le donM nate quel- /' anno distruggono il marito, e se si risposano lo distruggono di nuovo; la cosa può ripetersi fino a cinque o sei volte. Perciò è difficilissimo che riescano a sposarsi. Naturalmente si trai/a di una superstizione, ma c'è ancora non poca superstizione nella soc~tà giapponese. Chiesi se ci fosse un meno per liberarleda questa sone-prt!destinata. Mi risposero che non c'è. Allora mi venne di pensare alla Cina. Molti sinologi stranieri dicono che i cinesi sono fatalisti, che per essi,'non t'è niente da fare contro quel che è stabilito dal destino. Anche fra gli studiosi cinesi c'è ora chi sostiene la stessacosa. Ma per quel che io ne so, il destino delle donne cinesi non è così ineluttabile. Contro «destini maligni• e «destini forti• esistesempre un modo per rimediare, ci sono i cosidde11i«scongiuri•; oppure la donna sposa 1111 uomo che non teme la sorte di distruzione ed è capace di aver la meglio sul «male» o sulla «forza• in lei. E se c'è un destino per cui ella debba distruggere uno dopo l'altro cinque o sei mariti, apparirà sempre sulla scena qualche specie di monaco taoista a dichiararsi conoscitore di metodi eccellenti; intaglierà in legno di pesco cinque o sei uomini, vi disegnerò sopra figure magiche, e dopo un «rito matrimoniale» di queste immagini con la donna predestinata le brucerà o le seppellirà; allora il marito che realmente sposerà la donna conterà come il se11imo,e sarà fuori pericolo. I cinesi effe11ivamentecredono nel destino, ma un destino tale da poter essere eluso. Dire «non c'è niente da fare. spesso è un modo per cercare un'altra via d'uscita - un modo per e/udt!re il destino. Quando veramente si crede nel destino e che non vi sia «niente da fare», è segno che si sballe contro un muro, che si è proprio sul punto di essereannientati. li destino non è per i cinesi la predizione di cose che accadranno, ma una spiegazione non impegnativa di cose già accadute. Naturalmente i cinesi hanno delle superstizioni e anche delle «credenze•, ma sembra che abbiano ben poche« fedi•. Un tempo nutrivamo il massimo rispe110per l'imperatore, ma cercavamo poi di giocarlo; rispe11avamole imperatrici, ma alcuni cercavano poi di sedurle; abbiamo timore degli dei, ma bruciamo danaro di cana per corromperli; ammiriamo gli eroi, ma non siamo disposti a sacrificarci per loro. Famosi confuciani si inchinarono pure a Buddha, combauenti per A domani crederanno in B. Non c'è mai stataguerra di religione, e se dai Weiseltentrionali [sec. IV- VI]allafine dei Tang [sec. VII-X] buddhismo e taoismo a turno furono in auge e decaddero, dipese solo dalle parole/le sussurrate da pochi alle orecchie degli imperatori. Geomanzia, scongiuri, preghiere... Per quanto pesi il «destino», se solo si spende un po' di danaro osi fa qualche inchino, si trasformerà in cosa completamente diversa da quella prt!stabilitasegno che non era affa110prestabilita. Vi fu tra i nostri antichi filosofi chi comprese che un «destino• cosi indeterminato non bastavaper dare agli uomini una cenezza, perciò dissero che il risultato de~impiego di ogni son a di espedienti per scongiurarlo era il vero «destino», e che la stessa necessilà di imp~- gare espedienti era determinata dal destino. Ma la gente comune sembra non la pensi così. Che gli uomini non abbiano una « fede• e stiano nel dubbio /orsi! non è un bene, èproprio quel che si dice «mancanza di principi•. Ma secondo me si deve esser contenti che i cinesi credano nel destino ma credano pure che il destino può essere eluso. Fino ad oggi però abbiamo usato delle superstizioni per eludere altresuperstizioni, cosi che alla fine il risultato non cambia; se in futuro sapremo usare argomenti e componamenti ragionevoli - se la scienza sostituirà la superstizione - allora anche la mentalilà fatalista abbandonerò i cinesi. Se davvero verrà un giorno simile, i troni di monaci buddhisti, di - taoisti, stregoni, astrologi, geomanti ... cederanno agli scimz:iati, e

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