Ilgoverno· 4.tll' inflazione 11vertice confederale dei primi giorni di luglio si è concluso in modo assai simile a una capitolazione. I sindacati hanno accettato l'idea di concordare con le autorità di governo un tetto di inflazione e di regolare le proprie richieste, contrattuali o in tema di scala mobile, in conformità. Con questo accordo. di cui sarebbe un errore trascurare la portata, il sindacato accetta l'idea che il regime salariale sia davvero il responsabile dell'inflazione. È questa un'idea ormai tanto diffusa, e per di piu affermata e ribadita da destra come da sinistra, che il fatto che anche i vertici sindacali implicitamente la facciano propria, può sembrare un evento normale, quasi dovuto. Se fosse anche un'idea fondata, ci troveremmo di fronte ad un sindacato che, potendo a suo piacimento decidere l'arresto o la prosecuzione del processo inflazionistico, avrebbe ormai nelle sue mani le sorti dell'intera economia del paese. Purtroppo, questa visione semplicistica, sebbene sbandierata con apparente convinzione, è assai lontana da ogni interpretazione ragionevole dei fatti. Il sindacato, ben lungi dall'essere al timone dell'inflazione, è se mai la vittima degli attacchi disgregatori che l'aumento dei prezzi porta contro la sua compagine: in clima di inflazione, gli aumenti contrattuali dei salari si sono ridotti a cifre piu che modeste, il grado di copertura del punto di contingenza si è drasticamente ridotto, la quota dei redditi da lavoro sul reddito nazionale declina inesorabilmente. C'è di che mettere a repentaglio il credito e la coesione di qualsiasi organizzazione sindacale. el dibattito sulle responsabilità del sindacato in materia di inflazione, vi è un aspetto che non sarebbe dovuto sfuggire e che invece, nel clima di demonizzazione antisi•ndacalecorrente, passa per lo piu inosservato. Mentre gli esponenti governativi, i commentatori piu seguiti, gli analisti piu acuti, si diffondono a spiegare gli effetti nefasti che gli aumenti dei salari producono sull'andamento dei prezzi e sulla competitività dell'industria italiana, i vertici della Confindustria ed i rappresentanti piu autorevoli delle grandi imprese assumono un atteggiamento del tutto diverso. Con fiuto economico e politico assia piu fine, ormai da alcuni anni il grande padronato ha chiarito che il proprio obiettivo è quello di portare il sindacato a trattare non sul salario monetario, ma su quel terreno assai piu rilevante che, con termine un po' generico, viene a volte detto della produttività, e che comprende temi ormai familiari a tutti, che 11annodalla mobilità, al lavoro straordinario, all'assenteismo, alle condizioni di lavoro. Il padronato sa bene che è su questo terreno che si misurano le forze rispettive della classe lavoratrice e del capitale, e che una volta riguadagnato lo spazio perduto in questa direzione, non sarà difficile trovare un accordo sul livello del salario. Le dichiarazioni in questo senso da parte di responsabili dell'industria privata sono state chiare e ripetute: nessuna discussione sul salario, ma tutta l'attenzione sul costo del lavoro, e cioè sui fattori che determinano la produttività del lavoratore. Insistere, come pure tanti fanno, sul problemadel salario significa schierarsi, in buona o in mala fede, su un fronte ormai superato e non condiviso piu (e forse non condiviso mai) nemmeno dagli interessati diretti. Cose non molto dissimili si possono ripetere per l'altro demone dell'inflazione, il meccanismo della scala mobile. La sentenza piu accreditata, in materia di scala mobile è che pur non trattandosi di una causa primaria di inflazione, la scala mobile rappresenterebbe tuttavia uno strumento di amplificazione delle spinte inflazionistiche e sarebbe quindi uno dei fattori responsabili del fatto che l'economia italiana sia afflitta da un tasso di inflazione piu elevato degli altri paesi occidentali. Non è facile dire se questa tesi sia scorretta o semplicemente tautologica. La scala mobile è un meccanismo di difesa del salario reale; se funzionasse alla perfezione, essa consentirebbe al salario reale di restare immutato quale che sia l'aumento dei prezzi. La presenza della scala mobile rende impossibile, almeno in linea di principio, ottenere una riduzione del salario reale attraverso l'aumento dei prezzi. In assenza di scala mobile, per ridurre il salario reale, diciamo, del 10%, è sufficiente un aumento dei prezzi esattamente del 10%; ma, con una scala mobile perfetta, aumento di prezzi e aumento dei salari procedono di pari passo, e l'inflazione può procedere all'infinito senza alcun effetto sul salario reale. Come va descritta una situazione simile? L'interpretazione piu ragionevole porterebbe a dire che lascala mobile sta esercitando la sua funzione difensiva nei confronti del salario reale, funzione che consiste appunto nel rendere inutile l'inflazione. La lettura dominante è invece un'altra, e precisamente che la scala mobile sta amplificando la spinta inflazionistica. In Italia, la scala mobile è ben lungi dall'essere perfetta, sia perché gli aumenti dei salari scattano con tre mesi di ritardo, sia perché la copertura del punto di contingenza è inferiore al IOOo/.q. .Di conseguenza, di fronte ad aumenti dei prezzi volti a ridurre il livello del salario reale, l'inflazione che si sviluppa non è infinita; ma è comunque certo che la sola presenza della scala mobile fa sì che, per ridurre di un qualsiasi ammontare il salario reale, non basta piu un aumento dei prezzi di eguale misura, ma occorre un aumento molto superiore. Ma questo dipende dal fatto che la scala mobile sta svolgendo la sua funzione, anche se in misura incompleta, e non dalla pretesa presenza di meccanismi perversi. Le polemiche contro il salario monetario e contro la scala mobile non possono quindi e.ssere prese nei loro termini letterali. La prima è un'argo- < ., t - • " t ;\ .. ~ \, i 'l,-~c.~ struttura industriale dai paesi avanzati verso paesi emergenti. I paesi a struttura industriale sviluppata si riservano i settori di punta, nei quali le tecnologie sono le piu avanzate o rivestono importanza strategica, mentre i settori piu consolidati e meno innovativi vengono trasferiti nei paesi in via di sviluppo, là dove i costi della mano d'opera sono incomparabilmente piu bassi. Operazioni simili richiedono trasformazioni profonde nella struttura produttiva dei paesi avanzati, i quali devono ridimensionare settori interi Disegno per tatuaggio, India meridionale del proprio apparato industriale, trasferire lavoratori da un settore all'altro, affrontare, per i settori in declino, uno stato di crisi prolungata. Licenziamenti, fallimenti, riduzioni della produzione nelle grandi imprese dei paesi ava!lzati trovano la propria origine in questo processo di revisione della divisione internazionale del lavoro. ln questo processo di ristrutturazione internazionale anche l'inflazione svolge il suo ruolo. L'inflazione porta con sé un aumento dei tassi di interesse. In apparenza, si tratta di aumenti soltanto nominali, dal momento che, come tutti si affannano a spiegare, un'impresa che si indebiti pagando il denaro anche al 20%, restituisce a,lla scadenza un capitale monetario svalutato dall'inflazione, per cui il tasso di interesse reale è di altrettanto inferiore, e a conti fatti può risultare anche negativo. Ma, in casi come questi, l'apparenza inganna. È vero che, l'inflazione riduce il livello reale del tasso dell'interesse; ma, al tempo stesso, l'inflazione costringe le imprese a inFigure di danza nei labirinti, Svezia precristiana. mentazione ormai sconfessata anche da parte padronale, la seconda equivale· all'ingenua scoperta che la scala mobile ha la funzione di proteggere il salario reale. Né l'una né l'altra argomentazione consentono di far passi avanti per l'interpretazione corretta dell'inflazione, e quindi nemmeno di acquisire idee su come combatterla. P er trovare il bandolo della matassa, occorre sostare l'attenzione sulla scena internazionale. La grande trasformazione che ormai da oltre un decennio si sta svolgendo nell'industria mond.iale consiste nel trasferimento di interi segmenti della debitarsi in misura crescente, non per espandere il loro giro d'affari in termini reali ma soltanto per tenere dietro all'espanzione del giro d'affari monetario conseguente all'aumento dei prezzi. Quindi, nei rapporti di credito, l'inflazionereca con sé una indicizzazione incorporata: da un lato svaluta i debiti precedenti, dall'altro costringe a contrarre debiti sempre piu estesi. Quando poi nelle fasi di inflazione, i mercati finanziari richiedono tassi di interessi piu elevati, essi accollano alle imprese produttive un onere supplementare netto, e ne riducono automaticamente i profitti. Senonché, i profitti che, in clima di inflazione e di tassi di interesse elevati, scompaiono dalle gestioni industriali ricompaiono nelle gestioni finanziarie. Infatti, mentre le grandi imprese industriali singolarmente prese, si trovano ovunque in crisi, le grandi finanziarie, nazionali o multinazionali che siano, attraversano periodi di prosperità. L'inflazione esercita così la funzione di concentrare la formazione di profitti presso i grandi centri decisionali della finanza internazionale, il che rende assai più agevole sia decretare la soppressione di vecchie imprese in dissesto, <ia trasferirne le attività in forme nuove in altre paesi. In questo processo, che comporta aspetti molteplici e complessi di natura produttiva e finanziaria, non tutti i paesi si presentano con le medesime difficoltà, e l'economia italiana occupa un posto a parte. Altrove, trasformazioni cosi profonde risultano piu agevoli a realizzarsi. Il livello piu elevato del reddito consente di affrontare assai meglio il ridimensionamento di interi settori produttivi; la disoccupazione appare assai meno trautnatica se investe lavoratori stranieri. In Italia, la ristrutturazione comporta problemi assai meno facili sul piano sociale. Crisi e disoccupazione, in modo diretto o indiretto, finiscono con il colpire in misura prevalente i lavoratori del Mezzogiorno, sia sotto forma di perdita diretta dell'occupazione sia sotto forma di mancate occasioni di lavoro e di emigrazione: tutto questo proprio in una fase in cui, men.tre le regioni del Nord hanno raggiunto un livello stabile di popolazione, o addirittura si avviano al calo demografico, le regioni del Mezzogiorno continuano a produrre un'offerta crescente di mano d'opera. S ituazioni simili non consentono di procedere sulla via della ristrutturazione con la medesima disinvoltura che si nota negli altri paesi, e impongono invece l'uso di meccanismi correttivi basati sulla spesa pubblica che finiscono con l'alimentare e accentuare l'inflazione. Per rendersene conto, basti pensare a tre aspetti dominanti delle misure economiche degli ultimi anni, la politica dei trasferimenti, il controllo del credito, la politica dei prezzi amministrati. Anzitutto la politica dei trasferìmenti. Di fronte alle difficoltà finanziarie delle imprese, le autorità hanno preso a sviluppare i trasferimenti a favore del settore produttivo; anzi, negli anni piu recenti, hanno anche dichiarato ·di voler ridurre i trasferimenti alle persone (sussidi di invalidità, assistenza sanitaria) per fare luogo a maggiori trasferimenti alle imprese. Sempre per sostenere la posizione delle imprese, la spesa pubblica effettuata per l'acquisto di beni largheggia nella fissazione dei prezzi. I prezzi fissati per le forniture pubbliche vengono costantemente riveduti al rialzo, e trasmettendosi inevitabilmente alle contrattazioni del settore privato, diventano una delle fonti piu immediate e meno controllabili di inflazione. Qualcosa di simile accade sul terreno della politica monetaria. Ogni qual volta le autorità di governo dichiarano di voler stringere i cordoni del credito, esse accrescono il costo del denaro; ma è assai discutibile se esse abbiano limitato la liquidità sul piano quantitativo. Aumentare il costo del denaro significa, come abbiamo detto, porre le imprese produttive in difficoltà, e spingerle a richiedere un'espansione sempre maggiore della spesa pubblica, espansione che ovviamente viene richiesta non tanto sotto forma di maggiori acquisti quanto piuttosto sotto forma di prezzi piu elevati. Quando infine il disavanzo del settore publico viene dichiarato eccessivo e si afferma di volerlo ridurre, se ne trae l'occasione per aumentare le tariffe pubbliche, dando cosl un altro giro di manovella all'inflazione. Le stesse misure che le autorità presentano come dirette a combattere l'inflazione, nella spstanza non fanno che alimentarla. Emerge così la sostanza del conflitto attuale. Se il sindacato resiste alla ristrutturazione e lotta per la difesa dell'occupazione nei settori dichiarati in crisi, il risultato è un insieme di misure che accentuano l'aumento dei prezzi e rendono il sindacato perdente sul terreno del salario reale. Siamo quindi ben lontani dalla situazione cosi come viene descritta ufficialmente, secondo la quale sarebbero proprio le richieste salariali e la scala mobile a produrre inflazione; al contrario, il sindacato finisce con l'essere vittima dell'inflazione, che rende vani i tentativi di difendere il salario reale. L'obiettivo non è dunque quello dichiarato di disinnescare meccanismi impliciti di inflazione, bensì quello assai piu ampio e profondo di condurre a termine l'operazione di ristrutturazione e di restaurazione del controllo sulla forza lavoro. Per rendersi conto della consistenza di questo obiettivo, basti considerare come si sono conclusi i rinnovi dei principali contratti aziendali di quest'anno. In quasi tutti i casi, le richieste di aumenti retributivi avanzate dai sindacati sono state accolte; ma accanto ad esse, sono state introdotte modificazioni assai consistenti nella regolamentazione della organizzazione del lavoro, in tema di mobilità, di orari di lavoro, di disciplina dell'assenteismo. Questa è la linea che il padronato persegue, e la sta perseguendo con tutta chiarezza ed in modo assolutamente esplicito. Per i responsabili dell'industria può anche darsi che il problema della scala mobile riv~sta natura secondaria; ed è anche possibile che esso venga invece utilizzato come strumento di contrattazione per ottenere concessioni ben piu sostanziali sul terreno dell'organizzazione del lavoro. Come ricordavamo all'inizio, i vertici sindacali hanno accettato l'idea di concordare un tetto di inflazione massimo e di uniformare la propria condotta alle esigenze che il rispetto di questo tetto potrà comportare. Può darsi che, anche per un sindacato che si collochi in questa linea conciliativa, concessioni che investano la scala mobile si presentino come eccessivamente onerose; e non è da escludere che alla fine siano le stesse forze del padronato a rinunziare a grandi modificazioni nel meccanismo di indicizzazione dei salari, per richiedere e ottenere invece concessioni ben piu rilevanti nella flessibilità dell'organizzazione del lavoro. Questa è la sostanza del conflitto. Il dibattito sull'inflazione non ne è che la facciata o tutt'al piu un obiettivo meramente strumentale.
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