Alfabeta - anno II - n. 14 - giugno 1980

con le garanzie di democraticità richieste dalla riforma dei servizi segreti. Si vedano in proposito su Paese Sera del 15 maggio sia l'articolo di fondo di Marco Ramat, L'agente segreto che sem il Reich, sia la ricostruzione biografica di Russomanno tracciata da Andrea Santini, sotto il titolo Uomo ombra nelle trame. È proprio la biografia del vice capo del Sisde a ispirare una terza ipotesi, quella che ricollega l'azione attuale dei sérvizi segreti nell'area del terrorismo alla «strategia della tensione• dell'epoca di Piazza Fontana e delle trame nere. L'ipotesi si regge anche sul fatto che la fuga dei verbali Peci dal Sisde avrebbe danneggiato l'azione degli inquirenti in una fase delicata delle indagini, avvantaggiando i terroristi. Di qui le voci di una possibile accusa di favoreggiamento che la magistratura, come si è detto, potrebbe formulare contro Russomanno. L'Unità del 14 maggio conteneva questa «scheda• biografica: «Entrò nella polizia trent'anni fa, dopo aver prestato servizio militare come ufficiale dell'Esercito italiano prima, e come artigliere nella Wehrmacht poi. La sua carriera di poliziotto è punteggiata da alcuni episodi oscuri. Quando era nell'Ufficio Affari Riservati del ministero dell'Interno fu coinvolto assieme al dirigente, Federico D'Amato, in due scandali: le schedature illegali di uomini politici e le intercettazioni telefoniche abusive .Nello stesso ufficio, poi. fu sfiorato dall'inchiesta sulla strage di Piazza Fontana (insieme al capo dell'ufficio politico della questura di Roma, Bonaventura Provenza) per la vicenda delle due borse che contenevano le bombe piazzate a Roma il 12 dicembre 1969, che invece di essere consegnate agli inquirenti vennero inviate in Germania per alcune analisi che intralciarono non poco il corso delle indagini. Sciolto l'Ufficio Affari Riservati, nel '75, l'allora ministro dell'Interno, Taviani, dette vita al Nucleo antiterrorismo, la cui direzione fu affidata al dottor Emilio Santillo; Russomanno fu il suo 'braccio destro' per alcuni anni. fino a quando non fu istituito il Sisde e allora fu nominato vicecapo di questa banca dei 'servizi segrei' tuttora diretta dal generale Giulio Grassini>. Questa biografia di Russomanno. con variazioni e aggiunte talora importanti - che lo spazio non ci permette di esaminare in dettaglo- è stata presentata da molti giornali. Ma solo alcuni ne fanno un trampolino per avanzare. da diversi punti di vista, questa terza ipotesi. Vediamo come. Sulla Repubblica del 15 maggio, Giorgio Bocca. abbandonando le proprie idiosincrasie per la cosiddetta «dietrologia•. scrive: Le notizie del diavolo fanno le pentole senza i coperchi «Il vero problema di fondo è quello del segreto istruttorio. Diciamo la verità. Questo segreto è quotidianamente violato dagli stessi che dovrebbero tutelarlo. (...) L'interesse è innanzitutto quello del potere che fa filùare dalle maglie del segreto ciò chefa comodo. E poiché il potere non ha un volto compatto, anche con le notizie 'pilotate' si combattono al suo interno, sulla pelle della democrazia, oscure battaglie a colpi di rivelazioni e contro rivelazioni. L'interesse è talvolta dei giornali, che si acquistano a buon prezzo fama di coraggiosi diffusori della verità, e che ottengono discutibili scoop senza per questo guadagnare una sola copia. (.. .) L'interesse è anche di quegli strani sodalizi che per motivi ideali, politici, e anche per motivi meno nobili, si creano fra magistrati, giornalisti, funzionari, gruppi di pressione politici ed economici, per guidare le inchieste, e le 'verità' da dispensare ali'opinione pubblica, verso questo o quell'obiettivo strumentale». Questa citazione non è tratta da uno scritto di qualche critico «radicale» del sistema della comunicazione, ma da un editoriale del direttore del/' Avanti!, organo del partito socialista, attualmmte al governo (Anche per i giornali non è ora di segreti, 16 maggio). Da esso e da altri articoli analoghi apparsi in occasione dell'affare /sman-Russomanno si possono ricavare alcune deduzioni. In tanto marasma, ci sia permessa innanzitutto una soddisfazione professionale. All'inizio di questa rubrica, precisamente nel numero 2 di Alfabeta in cui ci occupammo dell'inchiesta cosiddetta del 7 aprile, si analizzava quella che abbiamo chiamato la «strategia dell'indiscrezione». Scrivevamo allora: «Siamo seri: se è vero che è stato un alto dirigente del nostro servizio segreto a passare al Messaggero i verbali di interrogatorio di Fabrizio Peci, o è un perfetto cretino - cosa possibile, ma in questo caso improbabile - o uno che diabolicamente insiste nella strategia della tensione. Anche un bambino avrebbe infatti capito che la pubblicazione dei verbali andava a discapito delle indagini & a favore dei terroristi ricercati. Nei verbali si parla, per dire, di una base Br in via delle Mura latine a Roma, del covo veneto dove è custodito l'archivio microfilmato, del negozio con retro dove fu tenuto prigioniero nella periferia romana Aldo Moro e cosi via. Non è un implicito invito a sgomberare? A far sapere che la magistratura è su quelle piste? Qualcuno dirà che siamo nella fantapolitica, ma non è cosl. Siamo nella regola italiana di affidare la rigenerazione 'democratica' della polizia nell'immediato dopoguerra a poliziotti e questori fascisti e la rigenerazione 'democratica' dei servizi segreti agli stessi che li dirigevano negli anni di Piazza Fontana•. In sintonia con Bocca risultano gli articoli di Giovanni Buffa sul Giorno, in particolare quello apparso il 16 maggio in cui si legge: «E certamente doveroso per la procura Generale andare a fondo in questa vicenda. Sul conto degli Affari Riservati. al tempo «I quotidiani hanno pubblicato centinaia di colonne su prove vereo presunte, testimonianze, circostanze, 'piste': quasi sempre il confine fra notizia, indiscrezione e ipotesi è imprecisabile. Siamo di fronte ad una sorta di 'strategia dell'indiscrezione' entro cui si gioca una complicata partita tra diverse 'fonti', spesso con interessiopposti, ma unite dal comune interesse ad usare i giornali come campo di ba/taglia -alle spalle dei lettori per i quali è praticamente impossibile raccapezzarsi nel torrente di voci e smentite». Non si trattava di una critica generica: l'analisi della stampa mostrava con precisione che fra giornali e organi della magistratura e della sicurezza (le« fonti») si eramesso in moto un meccanismo perverso, al limite della legalità e spesso oltre. Dietro a questo gioco si intravvedevano i contorni di un gioco di potere ancora più vasto, servito dal primo, in cui terrorismo e lotta al terrorismo 'figurano come strumenti. Già in quell'occasione era emerso che il Sisde aveva fornito alla stampa notizie molto delicate; secondo alcuni giornali, questa fuga avevagravemente pregiudicato lo sviluppo delle indagini. li nome del Sisde non lo avevamo dedotto, ma era stato dichiarato dai giornali stessi, ad esempio dal Corriere della Sera del 24 aprile 1979 quando parlava dell'«uomo del Sisde che si lascia scappare la clamorosa indiscrezione» sul presunto quartier generale delle Bra Parigi. E non eracerto il Sisde soltanto a far sgocciolare notizie incontrollabili: magistratura, polizia, l'agenzia semi-ufficiale Ansa erano impegnati in una gara continua. Eppure allora nessuno si degnò di indagare e ben pochi giornali ebbero qualcosa da ridire. La concezione del giornale-fogna, sotto il paludamento del «dirittodovere di informare», è viva e vegeta. Allora sembrava che le indiscrezioni di frate Girotto, furono attribuite al capo storico delle Br, Curcio, rivelazioni a sensazione, subito scartate per la loro stessa enormità. Potrebbero essere riviste sotto altra luce ora, se si dubita.che ai servizi segreti non si sarebbe alieni a smistare verbali segreti e ad inserirsi, come ai tempi del generale De Lorenzo, in oscure manovre politiche». Dopo aver citato il sospetto avanzato dall'articolo di Bocca che Russomanno potrebbe essere uno che «diabolicamente insiste nella strategia della tensione», Buffa scrive: «Quello di Bocca è solo un sospetto, legittimo di fronte a quanto è avvenuto al Viminale, ma la Procura Generale può esimersi, quanto meno, dal fugarlo dopo approfondite indagini?». Fin dall'inizio il Giorno è insolitamente esplicito nel chiedere che non si faccia un processo per direttissima, ma che si apra un'indagine approfondita su eventuali moventi e mandanti della fuga dei verbali. Su questa linea si schierano anche la Repubblica (articoli di Giorgio Rossi), l'Unità, PaeseSera e altri; è significativo che il quotidiano della Dc il Popolo sia stato altrettanto esplicito, il 16 e il 17 maggio, nel chiedere il processo immediato a Russomanno. «La strategia della tensione continua? C'è qualcuno nello Stato che protegge le Br? Sono interrogativi che (per usare questo eufemismo) servissero soprattutto aprocessare e condannare Toni Negri e C. a/traverso i mezzi di informazione. L'analisi mostrava però che questo era una parte soltanto del gioco, che la contrapposizione alla moda fra «garantisti» e «calogeriani» era equivoca, che l'estrema sinistra avrebbe fatto meglio a non trattare i Noua; i Paolucci e gli altri specialisti delle «trame» come dei reazionari in preda al delirio, avessero o 110 torto sulle responsabilità di Autonomia o di singoli esponenti di quell'area. E soprattutto che la stampa «democratica», anziché «bere» passivamente tulle le indiscrezioni, doveva in qualche modo tornare al costume di decenza critica e di indagine autonoma che le aveva salvato l'anima dopo Piazza Fontana. Le cose sembrano oggi un po' cambiate. Il «garantista» Giorgio Bocca, ad esempio, parla oggi apertamente di continuità della strategia della tensione e delle probabili collusioni fra servizi segreti e organizzazioni terroristiche. Dopo il caso Russomanno, è sembrato riemergere, faticosamente, qualcosa de/I'ampio schieramento giornalistico ed extragiornalistico che fronteggiò le «trame nere». Le condizioni politiche sono mutate, il fallo che il terrorismo utilizza ora - assieme ad altri - tanti giovani che magari credono sinceramente in ideali rivoluzionari, la morsa dellapaura e del/'omertà in cui si muovono i giornalisti, le incertezze(?) della sinistra, tutto ciò non fa coltivare illusioni. Ma è ugualmente significativo che Bocca scriva, ne/I'articolo citato nel testo: «Nel 1969, dopo quel 12 dicembre di piazza Fontana, molti giornalisti italiani capirono che il rapporto fra governo e informazione, fra fonti ufficiali e notizie, non poteva più reggersi sulla fiducia automatica, sul/' automatico rispetto delle autorità; andava invece nascono dal caso Russomanno», scrive Panorama in un articolo di Pino Buongiorno e Antonio Padalino, Gli sporchi giochi (numero datato 26 maggio). Vi si legge: «Prima è stato protetto e usato il terrorismo nero. Adesso quello rosso. E la fuga dei verbali di Peci è l'ultimo atto di questa strumentalizzazione. Se n'è parlato anche dopo l'arresto di Russomanno, nelle drammatiche riunioni del Cesis, l'organo di coordinamento tecnico dei due servizi segreti. 'Abbiamo paura - dice uno dei responsabili - che oltrcyJ mettere in guardia le Br, la fuga degli interrogatori provochi il silenzio di altri possibili terroristi pentiti'. La lotta al terrorismo subirebbe cosl una preoccupante battuta d'arresto. L'ennesima conferma dell'esistenza di una precisa manovra che punta alla destabilizzazione del Paese: Brigate Rosse sempre più attive, infatti, significa necessità di repressioni sempre più dure e, in prospettiva, di governi 'forti'». Anche Panorama ricorda la frase che frate Girotto attribui a Curcio («Curcio mi disse che le Br avevano saputo da fonti sicure del ministero dell'Interno che era stato dato l'ordine ai carabinieri di agire, uccidendo tutti, compreso Sossi»); e aggiunge: «Un'ombra sul Viminale che si è ingigantita negli anni ed è sembrata prendere forma quando in alcuni covi rovissuto in modo critico, dialettico, verificando di continuo se ciò che le autorità facevano sapere era vero o no, se aveva mire occulte, se si trattava, insomma, di 'notizie sempre del diavolo'. È quanto andrebbe fatto anche oggi, ogni giorno, in modo sistematico, come metodo democratico non eludibile». Nell'anno trascorso dalla vicenda 7 aprile la «strategia dell'indiscrezione» ha fatto passi da gigante, e non solo in materia di terrorismo, ma nell'intero spettro delle lotte di potere che dilaniano Stato, partiti e classe dominante. Ne abbiamo scritto qui anche in occasione dello scandalo delle tangenti Eni e degli «scandali di marzo». Abbiamo sostenuto che la concezione all'insegna del «dare le informazioni da qualunque parte esse provengano» è esposca a rischi enormi, in generale e nella situazione italiana di oggi in particolare. Riceviamo e pubblichiamo è una ricetta che non serve a produrre informazione, ma a trasformare l'informazione in tubatura per le «notizie del diavolo» attraverso cui le fazioni si daranno battaglia. Oggi vediamo, nell'articolo di lntini come nell'editoriale di Scalfari sulla Repubblica del 14 maggio come in qualche altro caso, farsi strada la tesi che giornali e giornalisti non possono più e non debbono - in base alla concezione «liberal» di cui sopra - coprire sistematicamente le fonti, occultando sistematicamente manovre, manovratori e obieuivi. Questa revisione criticache si abbozza è un altro segno positivo nel panorama. Non si tratta di condannare a priori né lsman, né il Messaggero, né Lotta Continua, né Paese Sera li fatto è che un po' in tutta la stampa, in occasione della vicenda dei verbali Peci, si è . diffusa la sensazione che la strada della «strategia dell'indiscrezione» è sempre più ripida e porta a un burrone. mani sono stati scoperti elenchi di auto in dotazione al Sisde e dei garage in cui sono custodite. Da dove poteva venire una simile informazione tanto riservata, si sono chiesti sbigottiti i magistrati?». L'ipotesi di una connivenza fra terrorismo e servizi segreti è toccata più volte anche da l'Unità e PaeseSera, ma si nota una notevole cautela nell'usare la vicenda Russomanno nel timore di danneggiare la struttura del Sisde, ritenuta un pilastro della riforma dei servizi segreti. Di questa cautela, di cui abbiamo già accennato, è documento l'articolo di Ugo Pecchioli, ministroombra del Pci per gli affati interni, pubblicato sull'Unità del 21 maggio con il titolo Servizi segreti - Una riforma sabotata. Siamo ormai a molti giorni dall'arresto di Russomanno e Pecchioli evita accuratamente di commentarlo («sarà il giudice a condannare o ad assolvere»); l'unico accenno è nella denuncia che «ad elevate funzioni di responsabilità nei riformati servizi di sicurezza siano stati designati o lasciati personaggi di dubbia affidabilità democratica o di scarsa efficienza». Le preoccupazioni di Pecchioli sono soprattutto che, sull'onda del caso Russomanno. il Sisde sia riassorbito dal servizio segreto militare. Non viene sollevato nessun sospetto di manovre sul terrorismo, né verso il Sisde né verso il Sismi. Questa «linea» è curiosamente confermata e contraddetta, allo stesso tempo, dal corsivo anonimo comparso sull'Unità del 16 maggio (D danno e le responsabilità) e da un articolo di Ibio Paolucci, sull'Unità del 18. In essi, e particolarmente in quello di Paolucci, si mette a fuoco la continuità fra l'uso del terrorismo «nero» da parte dei servizi segreti e un uso analogo del terrorismo «rosso», che implica in qualche modo l'attività dei servizi segreti, pur «riformati». Per terminare la rassegna su questa terza ipotesi, è interessante osservare che sia il Manifesto sia Lotta Continua si sono mostrati al riguardo molto tiepidi. Curiosa in particolare la posizione di Lotta Continua in un editoriale del 17 maggio, in cui si definisce «poco credibile» la tesi dell'articolo di Bocca; ma poche righe più sotto si legge una frase sibillina: «Di punti fermi in questa storia non ce ne sono molti, ma alcuni sono importanti. Il primo è che si viene a sapere che nei rapporti fra terrorismo e istituzioni i servizi segreti manovrano molti fili, omettendo, rivelando, dosando a seconda del momento, fino a permettere l'insinuazione che molto del fenomeno terroristico di sinistra, come fu quello di destra, sia stato seguito molto da vicino in questi anni». Nella lotta di potere che si auua in tale strategia, la prima a rimetterci le ossa può essere proprio la stampa. li suo tasso di credibilità scende verso lo zero; all'asprezza e alla convulsione della lolla dietro alle quinte si aggiunge un pubblico che non accettaoggi quello che poteva accettarefino a un decennio fa. Come rivelava un articolo del vicedirellore del Corriere della Sera Barbiellini Amidei, da noi citato nel numero dello scorso aprile, la stessa «manovrabilità dei giornali si fa, nella nebbia, sempre più problematica: in altri termini, si rischia di non orizzontarsi più nemmeno ai vertici. Il diavolo farà le notizie, ma senza il coperchio per coprire il pentolone. I giornalisti rischiano di passare le notizie di una parte e di farsi sballere in galera dalla parte opposta. Peggio:di farsi smentire su tutto, o quasi». E certo, peraltro, che non è l'autocensura o il silenzio ufficioso la via di uscita dalla situazione attuale. li «filtraggio» delle notizie provenienti dalle numerose «gole profonde» e la presentazione dellestesse con un ragionamento sul cui prodest non possono essere un incentivo alla censura. Lotta Continua ha ben ragione di denunciare il disegno che tende a imbavagliare la stampa. Il problema ci sembra stare in questo: si trai/adi vedere se gli apparati di informazione sono in grado di produrre in proprio quella «informazione aggiunta» che oggi ricevono passivamente dallé fonti riservate, usando queste solo come punti di riferimento e sedi di verifica. Si traila cioè di ragionare non sulla buona volontà o sulla deontologia professionale, ma sulle strutture degli apparati, sui paradigmi e sui meccanismi che regolano il loro processo produttivo. Ecco un buon terreno per chi voglia rilanciare un discorso critico che diventi movimento.

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