li 1 1falso''antologico (Po~fj! '70) Poesia degli Anni Settanta a cura di Antonio Porta Prefazione di Enzo Siciliano Milano, Feltrinelli, 1979 pp. 747, lire 10.000 LI uscita di qualsiasi antologia, soprattutto poetica (qui l'occasione l'offre Poesia degli anni Seuanta, curata da Antonio Porta, prefata da Enzo Siciliano) producequerelles che vanno a collocarsi, alla fine, sotto le antichissime etichette oppositive di verità e menzogna. Che cosa significa infatti contestare a un'antologia, e al suo autore, di aver espulso certi nomi e parallelamente di averne inclusi altri - come del resto è stato fatto anche per Porta - se non applicare in maniera implicita la qualificadi «falso» all'enunciato che l'antologia articola con la sua particolare catena di scelte? Dalle sostituzioni/ cassazioni che i critici avanzano o rinfacciano, uscirebbe un enunciato più prossimo alla verità, un sistema assiologico meno discutibile. li che potrà essere anche vero, volta per volta; e qualche volta perfino clamorosamente. Ma ciò non cambia il problema, • vale a dire il fatto che in tal modo il discorso sulle antologie («genere improprio» e di cattiva fama, secondo quanto riconosce anche Porta) parte con il piede sbagliato. Credo che ogni antologia, quando non si riduca a mero agglomerato di nomi e libri o a tetra registratoria da furieri in caccia del sublime, si giovi della qualità di essere falsa. Non mi riferisco solo all'inevitabile deformazione che subisce qualunque schema supposto obiettivo, qualunque nome, vorrei dire, una volta assunto dalla pronuncia di un enunciatore specifico (ossia compilatore di antologie). Lo implica lo stesso discorso di Porta, dove accenna a un'«opera in parte autonoma», a una «sorta di lettura fatta ad alta voce»; e dunque, alle strette, «fatto personale». Ogni antologia, semmai, è falsa nel valore etimologico stretto, da fallere, far cadere, far sdrucciolare; qualche cosa che non si oppone necessariamente al vero che dovrebbe confutarla, ma è caduta Il, in quel punto, è scivolata di fianco per produrre la traccia di ciò che manca d'avverarsi subito: «proprio come falsa, diciamo caduta a proposito, un'interpretazione opera in quanto è di fianco, ossia dove si dà della papera l'essere»: valga quanto valga, la citazione si trova in Radiofonia di Lacan (Scilicet, Feltrinelli 1977). Se accettata, questa falsità mette in sordina, per il momento, le altre graduatorie e classifiche. on certo nel senso di un'assoluzione generale, di una specie di cinismo dalle gran braccia: ho detto apposta «per il momento». Quanto duri questo momento, che è insieme tempo per comprendere e momento di concludere o giudicare, non è accertabile proprio qui: ma tutto il processo non può separarsi da quel primo passo che consiste nell'assumere che qualche cosa si è prodotto nel reale. In un libro uscito da poco, Un commencement qui n'en finit pas (Seuil), Octave Mannoni fa notare che una «parola che diventi verità scientifica ... non ha più soggetto. La parola 'falsa' si ne ha uno, come una colpa presuppone un colpevole ...». Poco più in là rincalza che «l'errore è il solo a far prova ...». Tanto vale ammettere che il diverbio delle presenze e delle assenze - dove tutti finiscono per aver ragione - non dice molto sul senso di un'antologia, ossia sul suo valore di interpretazione. Oltre tutto, quanto ad assenze, ogni lettore ufficiale o no ha le sue da deplorare: anch'io potrei stare al gioco e fare almeno un nome trascurato, quello di Alberico Sala... Benjamin schematizzò una volta tre tipi di antologia: documentazione dell'alta letteratura, strumento informativo, mescolanza sgradevole di punti di vista eclettici e informativi operata da un «incompetente». Ne ho abbozzato un quarto? piuttosto, direi, un modo di utilizzazione. S e dunque il genere antologia parla in falso come istituto ossia come «classifica» o addirittura autorizzazione, converrà avvicinarlo da un altro lato per trovargli una funzione. Poesia degli anni Settanta ha scelto una formula in certo senso provocatoria con l'assumere uno spazio cronologico ridotto e con l'assegnare a tale spazio un valore strutturale, seguendovi l'apparire (l'operare) anno Marce/ Duchamp per anno di questo e quel libro e dunque con entrate magari ripetute di uno stesso autore. Ciò significa, precisa Porta, «una struttura basata sulle opere e non sui poeti, sulle voci e non sui personaggi, una mappa di percorsi ...». L'incidenza delle presenze s'inscrive così abbastanza chiaramente in quell'idea del «cadere» (del fallere), del prodursi lì secondo un effetto di traccia di una soltanto ipotetica verità distanziata. li procedimento fortemente diacronico dell'antologia si oppone all'ideale sincronia delle raccolte che intendono scandire gerarchie assolute, ne varietur-dunque gli autori ottimi, poi i meno grandi, i medi eccetera, secondo una scansione confortatoria. Ne esce un effetto curioso ma benefico. Inserendo personalità già accertate e significative (qui, per esempio, Montale e Bertolucci, Luzi e Sereni e Betocchi, tanto per dire) in quel prodursi del decennio, non ne incrina affatto la «luce d'oro della sicurezza stilistica» (Siciliano), ma proprio con il sottometterle ai cortocircuiti e ai vacillamenti di una fase in moto, assicura l'autenticità e la durata di quello stile. Insomma: la loro sicurezza. per fortuna loro e nostra, viene in gioco. So bene che mi si può opporre qui uno scambio nomenclatorio, che ho invertito i sensi di «sincronico» e «diacronico», ma la verità è che i poeti esemplati da Porta non scrivono tutti insieme nella stessa sala del British Museum passandosi le carte, ma si disgiungono e oppongono nel venir fuori anno per anno, si sostituiscono via via o s'incastrano a coda di rondine secondo un movimento saccadé che non elimina le eventuali persistenze di fondo. L'orizzontalità così ottenuta non sarà uno stratagemma per sfuggire in ultima istanza alla esigenza di un giudizio. In effetti, serve a un altro criterio che mi pare stia alla base del lavoro di Porta: calcolare i modi e i tempi nei quali la poesia del decennio (ma sarebbe più corretto il plurale: /e poesie del decennio ...) comincia ad agire. Sono questi luoghi e momenti che orientano la lettura. Sul termine a quo dell'antologia, il sessantotto, va da sé che dubbi, polemiche e ironie si sono accumulati, venendo anche da posizioni opposte. Non mi soffermo tanto su chi ha rimproverato nella scelta di tale data iniziale un eccesso di politicizzazione, una sorta di resa ai conformismi (lo «spirito del '68» etc). Porta ha replicato assumendosi - credo giustamente - anche questa formula, nella misura in cui non è una semplice formula («di uno spirito del '68 si deve parlare ...»), rifiutando cosi l'arruolamento fra i fastidiosi «orfani»; ma ricordando poi che quel movimento ha riguardato, e come no?, anche la poesia, ossia il fare poesia, con una «richiesta di razionalità nuova», una «volontà di mutazione radicale». Piuttosto, ci sono state anche le riserve di chi si riconosceva nella scelta d'avvio del '68 (per esempio, la nota di Massimo Raffaeli sul Manifesto) e tuttavia, recuperando ancora l'arma delle esclusioni, stavolta per conto di ulteriori ripartizioni categoriali («poesia e letteratura ... non inferiori alla poesia sedicente dotta»), ha rimproverato di non aver calato «quegli avvenimenti nelle armoniche di lettura globale del decennio ... ». Per conseguenza, nella mappa-antologia, segni e indicazioni si rincorrerebbero e cozzerebbero gravemente, senza riuscire «a definirsi con nitidezza in zone di coaguli e relativi punti di fuga; manca una tavola di riferimenti-valori che certifichi e sappia orientare ...». Che, viceversa, mi sembra proprio il gesto di svincolo, inameno quanto si vuole, che I 'antologia o, per essere più precisi, la poesia. del decennio quale s'affaccia nel volume, ha ilmerito di avere compiuto. Il valore si proietta verso un luogo che non è qui, che si costituisce in ogni atto di significazione spostandosi continuamente al successivo. Il valore non è una «tavola» ma il futuro del mutamento. e onverrebbe, a questo punto, chiarire un po', se possibile, alcuni termini che ricorrono nella prefazione, nell'introduzione e nelle schede ai testi: per dire: «vuoto», «narrazione», «immaginario». Il primo sta nelle pagine che Enzo Siciliano ha preposte al corpus poetico. Tale prefazione risulta, mi sembra, sottilmente divaricante dal restante discorso globale del volume: ma con ogni probabilità non è affatto un· guaio, anzi. Il «vuoto» riguarda o riguarderebbe la letteratura degli anni in corso. Soppesando il volume, ottantacinque nomi, si potrà rispondere con ironia facile che semmai è questione di pieno, di troppo pieno. ln effetti il «vuoto», quando non si trovi usato come semplice slogan liquidatorio (sul piano di un altro standard caro alla Doxa, «la morte del romanzo» ...) investe, riportato al lavoro di questi anni, un nocciolo euristicamente non trascurabile. Non si tratta di.sabbie mobili dove ci si sarebbe lasciati risucchiare, né di inettitudine o di destino generazionale. La neoavanguardia, nelle sue operazioni di repulisti drastico, si era ancora trovata, fortunatamente, ad agire su repères, su istituzioni o formazioni che fornivano un certo grado di resistenza: essa sapeva insomma che cosa non volere, armava un suo programma indispensabile di disaggregazione. La poesia post-contemporanea (la chiamo cosi in mancanza di meglio, perché ho l'impressione che i testi poetici che leggiamo oggi non appartengono neppure a questo oggi, siano condannati a essere più avanti, e non nel vecchio senso utopistico) si trova non a provocare o a subire, ma a progeuare questo vuoto, come dato. Esso cessa di essere un negativo per porsi come lo stesso 1 luogo, la durata stessa del discorso poetico che deve piuttosto operarlo che riempirlo. Il vuoto può essere inte- "' so, di là da ogni misticismo, come un «testo senza soggetto» (riprendo con qualche arbitrio la definizione da Legendre) dentro cui i poeti di questi anni lavorano a far rifluire il soggetto perché vi accada (o cada) come simomo. Quel soggetto è il soggetto tagliato, la cui «presa d'evidenza» costituisce uno dei tratti emergenti della poesia dell'ultimo decennio. Porta metaforizza questo costituirsi o meglio questo apparire «parcellare», parlando di «scia luminosa, coda di cometa». Non sarei tanto sicuro che ciò sia l'effetto della «parola innamorata» come è stata costituita in formula critica da una fortunata e certo interessante antologia (Feltrinelli 1978): certo è un effetto di parola, lo sappiamo. S'intende che non è l'invenzione della poesia 70-80 ma è almeno la sua «lezione», il suo modo di scegliersi, di leggersi. È un filo rilevante che corre attraverso schede di presentazione e testi (ma subisce il rischio di essere piuttosto confuso che chiarito da un certo spiffero junghiano di cui si trovano qui le marche, ogni tanto). Un netto privilegio è assegnato da Porta nelle scelte e nelle interpretazioni critiche dei testi, a un'idea di «narratività». Mi sembra giusto segnalare, a questo punto, che le presentazioni stese da Porta per gli ottantacinque esemplati, con le linee del loro
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