Alfabeta - anno II - n. 9 - gennaio 1980

n Roland Barthes Frammenti di un discorso amoroso Torino, Einaudi, 1979 pp. 215 lire 4500 R. Barthes par R. Barthes Coli. «écrivains de toujours» Paris, éd. du Seui!, 1975 Leçon Paris, éd. du Seui!, 1978 pp. 46 (s.i.p.) Sollers scrittore Milano, Sugarco, 1979 pp. 79 lire 3000 '( Aimez-vous Barthes?», titolava Serge Doubrovski nel '66 un capitolo del suo libro sulla «nouvelle critique». L'immagine divulgata d'un Barthes voltairiano senza sofismi, iconoclasta senza rozzezze, frammentario senza dissipazione, risale a quella stagione in cui un drappello di critici muoveva :;erso una dissacrazione sorvegliata della critica erudita, della storiografia a tutto tondo, delle catagolazioni per generi. Fin dall'epoca di Lanson l'accademia delle lettere era abituata a questi assalti. Ma quest'ultimo assalto sembrava raccogliere la vitalità d'una pratica critica che fuori dai recinti istituzionali, aveva pronunciato la fine della separazione tra critica e scrittura, tra storia e saggio, tra discorso e frammento. li Barthes che difende il suo Racine contro quello di Picard, e rivendica alla critica il compito di continuare quel!' «efflorescenza di simboli» che è la letteratura, di rischiare l'avventura interminabile del linguaggio, di farsi scrittura e godimento, luogo dell'interpretazione e non della ripetizione, è anche il Barthes che appronta, negli stessi anni, materiali dimostrativi per un trattatello come Eléments de sémioLogie. Dietro l'interrogazione sulla critica c'era la lezione del Bachelard interprete degli «elementi dell'immaginario», c'era soprattutto lo sguardo di Blanchot su quella soglia dove un'opera dice la possibilità di un'altra opera; dietro il progetto d'una semiologia non più come orizzonte della linguistica, ma come sua parte, c'era la riflessione attorno a Saussure, e il passaggio attraverso la cultura e la moda strutturalista. I lavori precedenti di Barthes, Le degré zéro de l'écriture, Miche/et par lui meme, Mythologies, Sur Racine, erano retrospettivamente illuminati da questo duplice approdo: passaggi d'un percorso sulla terra dove il linguaggio chiede d'essere interrogato sia con gli strumenti d'un sapere formalizzato sia con la passione e la perversione necessarie ad ogni dislocazione,ad ogni eccesso, ad ogni esplosione del desiderio. Queste due disposizioni- all'interrogazione delle discipline e al piacere del testo - non abbandonano mai la scrittura di Barthes. Da Critique et Véritè (1966) a Le plaisir du texte (1973) il tumultuoso contiguo teorizzare sulle teorie del testo e sulle teorie della scrittura è riportato su un registro 'indisciplinato', aggredito dalla attitudine alla frammentazione, stemperato in un esercizio di stile dal cursus nel contempo solenne e perentorio, nitido e narcisista. A volere ripensare l'itinerario di Barthes non c'è guida più sottile di quella dallo stesso Barthes disposta per il volumetto 96 della collezione «écrivains de toujours». Un album di immagini fotografiche e di frammentiteorici,un discorrereelegante sulle figure dei propri intrattenimenti e delle proprie fascinazioni: ritagli di una meditazione ininterrotta sulla scrittura, riaccostamenti silenziosi ai propri libri, evocazioni garbate degli autori a lungo amati, zibaldone frivolo e intimista di embrioni di possibili libri a venire. E, in ogni pagina, il respiro d'una scrittura come «godimento secco, ascetico, per nulla effusivo». In un passaggio di questa autocontemplazione Barthes offre lo schema (le posizioni) della sua storia intellettuale: su una prima colonna il campo di autori vissuti come stimolazione e confronto, come orizzonte d'influenza e «musica di figure»; su una colonna intermedia, l'ordine tematico-disciplinare, ed ermeneutico, entro cui via via si accampava la ricerca; nella terza colonna, in piàni di corrispondenza e in gruppi di successione, i titoli dei propri libri. L'itinerario, che si apre con la suggestione gidiana dello scrivere, approda provvisoriamente ad una «moralità» (il contrario della morale, precisa l'autore, cioè «pensiero del corpo in stato di linguaggio») definita nel rapporto con Nietzsche. Lungo il cammino, Sartre, Saussure, l'esperienza di Te/ quel, Lacan. Questo itinerario, ad uso velatamente didattico, dice un rapporto singolare con lo «spirito del tempo»: un'appropriazione delle mode senza complicità, un mess'in scena delle influenze senza identificazioni. Sfiorare le scuole e i discorsi dominanti alimentando una distanza, e, per altro verso, fare della propria solitudine, del privato rapporto con la scrittura, un'attivazione di ricerca, una comunicazione produttiva di rapporti culturali, questa è l'attitudine più precipua, e forse l'ossessione, di Barthes scrittore. Una relazione sorvegliata e corporale con la scrittura non può indulgere a fissazioni ideologiche, a schieramenti teorici, a vessilli scolastici. Il discorso di Barthes si sottrae alla competizione egemonica dei discorsi. Si muove nella pluralità dei discorsi con un solo strumento, l'amore della lingua, e con una sola passione, il piacere della scrittura. Per questo da lungo tempo la ricerca di Barthes è fuori dall'orizzonte del rapporto tra cultura e politica, e modula con insistenza la domanda sul rapporto tra scrittura e potere. A suo modo dice la fine del ruolo intellettuale, e cerca nel godimento della scrittura l'estrema, invisibile opposizione alla proliferazione dei linguaggi del potere. La variante pubblica e didattica di questa sottrazione all'istituzione è l'immagine del seminario che Barthes ha disegnato e attivato: «il seminario (reale) è per me l'oggetto d'un (leggero) delirio» (L'Arc, n. 56, p. 48). Luogo per la circolazione del desiderio del testo, per la produzione di testi, recitazione pubblica della propria ricerca (la ricerca come insieme di soggetti che cercano, che si cercano), dominanza «del corpo sulla legge, del contratto sul codice, del testo sullo scritto, dell'enunciazione sull'enunciato» (ibidem, p. 54). La domanda insistente è come tenere un discorso senza imporlo. Come affinare un metodo di ricerca che sia un metodo di «déprise», cioè in grado di abbandonarsi alla frammentazione nello scrivere e all'escursione nell'esporre. Q uesta domanda-proposito è formulata da Barthes in un passaggio della Leçon che inaugurava l'insegnamento di «sémiologie littéraire» al Collège de France (7 gennaio 1977). E potrebbe servire daexergo ad una nota che voglia accomunare la suddetta Leçon e i Fragments d'un discours amoureux. Poiché la Lezione è come la proiezione teorica dei Frammenti, l'anticipazione didattica d'una scrittura per figure e «rèveries». Diquestiediquellanonintendoqui esporre con ordine l'impianto e i passaggi, sottraendo al lettore una dose del piacere del testo, che è fatto d'intrattenimento e scoperta, di provocazione e «sapore». Sfocando anche quell'Anteriore che è sempre l'autore comeauctoritas (l'avvio di questo articolo stava per configurarsi come un «éloge de Monsieur Barthes» ), voglio soltanto allineare annotazioni, sintesi, domande, cresciute al margine del R/B Antonio Prete Mario Merz (Foto di Giorgio Colombo) campo scrittorio dei testi, in quel bianco dove la pagina cerca la complicità del lettore ma anche sperimenta le sue resistenze, in quella sospensione fisica della scrittura nella quale nasce un'altra scrittura. La Lezione di Barthes s'interroga sulla complicità tra lingua e potere. Il potere, che, come si sa, è plurale, e attraversa gruppi soçiali, mode, informazione, rapporti, ha come campo d'inscrizione privilegiato proprio la lingua. La quale è non tanto luogo ~el-:,. !'interdetto, quanto dell'obbligo -~i! dire. Proibizione della sospensione, assenza del neutro. Orda dove l'asserzione e la ripetizione inchiodano la libertà della parola. Sembra non esserci libertà se non fuori dall'ordine linguistico: la mistica, o l'amen nicciano. Oppure la letteratura: terra d'un combattimento della lingua contro la lingua, lavoro incessante di déplacement, teatro dove l'obbligo a dire è eluso ed irriso. Una purezza eversiva prende campo, chiede la parola. La parola della poesia? Ritorna, con Barthes, un sogno: l'opposizione tra la parola della letteratura e la parola del potere. Ma dentro questo sogno è custodito lo slancio di tutte le utopie, dorme la passione per le immagini di un'alterità innocente, eccessiva, violenta. Questa terra dove il potere, i poteri, allentano la loro penetrazione, alimenta anche la pianta d'una tormentosa impotenza: giocarsi, e perdersi, nella parola, è certamente una sfida all'ordine della lingua, ma la domanda sul potere, cioè su chi tiene la parola, ritorna dopo ogni illusione di rottura, dopo ogni scrittura. Come fare dell'inutilità della letteratura non il segno di un'opposizione, ma il sintomo della «possibilità della s:volta»? ' E questa forse la domanda «nascosta» dietro le definizioni che barthes dà della letteratura: o siamo già nell'ordine dell'interpretazione? Nella Lezione parla una preoccupazione: liberare la letteratura dall'ombra delle ideologie. L'autunno delle ideologie anche questi sentieri veste dei suoi colori. E Barthes enumera e commenta le «forze» non-ideologiche della letteratura: Mathesis, Mimesis, Semiosis. Qui l'arroccamento eversivo cerca altre strade che non l'opposizione letteratura-potere. Mathesis: la letteratura non fissa alcun sapere, ma tutti li attraversa, facendosi teatro sulla cui scena il sapere riflette se stesso. Non epistemologia, ma drammaturgia: la scrittura fa delsapereunafesta. Mimesis: la rappresentazione non «prende» il reale, perché il reale è quell'impossibile lacaniano che sfugge al discorso. Travagliata da questo desiderio di presa del reale, la letteratura non è che la storia irrisolta di innumerevoli espedienti linguistici per ridurre il reale a rappresentazione. È qui che «changer la langue» raddoppia l'espressione «changer le monde». Ma quel che di «jouissance» c'è in questo lavoro di modificazione, quel che c'è di perverso, è assunto e manipolato eridistribuito dal potere. Quando questo avviene, non resta che «abiurare» il proprio lavoro. Muoversi sulla soglia di una «anarchie langagière»: portare i segni laddove il giuoco e il rischio, l'istrionismo e Iliperdita d'identità li sottopongono al potere di una lingua servile. E questa è la forza propria della Semiosis. La storia dellasemiologia di Barthes da qui è cominciata: contro una «moralità generale» che produceva stereotipi facendoli passare per «senso naturale». In seguito, davanti allo svolgersi della linguistica da una partre verso una progressiva formalizzazione, dall'altra verso una dilatazione dei propri oggetti fino alla sua coincidenza col «sociale», si è trattato di praticare una decostruzione della linguistica stessa. Il luogo precipuo di questo lavoro è sembrato il resto. Nello spazio del testo semiologia e letteratura s'incontrano, l'una correggendo l'altra. Il lavoro della scrittura trattiene la semiologia dalla vocazione totalizzante, la ferma sulle differenze; lo sguardo semiotico dissipa il mito della pura creatività. Il lavoro sul linguaggio deve garantire la circolazione del desiderio, vanificare ogni presa del discorso che abbia i segni della gregarietà, della riproduzio11e,della stereotipia. ·' Le escursioni di Barthes sul terreno della semiologia ritornano alla scrittura, riformulando la domanda sul rapporto tra scrittura e potere. Questa domanda, che ha lo stesso movimento dello sguardo foucaultiano sulla «microfisica del potere», si accompagna alla corrosione della funzione dell'intellettuale, della sua immagine morale, delle sue astratte fedeltà. (Questa direzione è esplicita nei saggi, ora riediti e chiosati, su Sollers) Con Barthes tuttavia non è la figura dello scrittore a tornare sul palcoscenico, ma il suo rapporto con la scrittura, la sua baudelairiana «frénésie journalière». La responsabilità della forma non è più giocata in zone di privilegio, ma sul campo di una sfida e di una ricerca. Sul campo dove si aprono interminabili i cammini del linguaggio. Ma su quale soglia il godimento della scrittura è sottrazione di potere, è critica del potere? Dove il lavoro sul linguaggio può diventare sottrazione del soggetto alla sua rappresentazione politica, al suo scorporamento nell'astrazione della politica? Forse il potere proprio alla scrittura è quello di gridare, contro il rumore dei miti quotidiani e contro la spettacolarizzazione del politico, che ancorà è questione del soggetto. Della sua divisione e ricomposizione. Della sua rappresentazione e cancellazione. Dei suoi desideri e deliri. I Fragments sono l'incontro della scrittura con un soggetto. Col soggetto amoroso. Decostruzione, e frammentazione, di un possibile libro sull'amore. li desiderio del testo è trattenuto al di qua della sua fissazione in un ordine catalogabile, in un genere. Il desiderio dell'altro, in cui consiste l'amore, è trattenuto nella fascinazione di quel del soggettivo, nella dilatazione di una sequenza nella quale prende forma e «rève», discorso e danza, un alfabeto dell'amore. La simulazione del discorso d'amore è riportata ad un soggetto il cui discursus si costruisce orizzontalmente, secondo un montaggio che ritrova nella topica delle figured'amore frammenti della propria storia, vibrazioni, intrecci di memoria e sapere. Il linguaggio dell'amore si cadenza in scene aperte all'interrogazione, e alla esecuzione, del lettore.• Il lettore chiamato all'intrigo è, o è stato, un innamorato. La citazione d'autore procede stretta con la citazione dell'amico, e tutte e due respirano nel fitto rammemorare di esperienze d'amore. Un libro millenario, che nel Convito di Platone ha il suo incipit teorico, è sfogliato come un antifonario luminoso di miniature. I cinquecenteschi trattati sull'amore qui sono raccolti e affidati ad un soliloquio che impedisca, nel succedersi di figure e situazioni, il formarsi di una filosofia dell'amore. La definizione dell'amore non compete alla parola dell'innamorato: il quale guarda le figure del desiderio senza leggerne la proiezione in teoria, la fissazione in statuto, il distanziamento in sapere. Sarà per questo - e perché nel Convito platonico Diotima colloca amore tra sapienza e ignoranza-che ildiscorso amoroso ha sempre esposto la sua resistenza ad ogni riduzione in disciplina. E quando si è rappresentato ha scelto la poesia o la mistica (o il loro intreccio). Ha scelto le forme indisciplinate della letteratura. I Frammenti di B<1rthesnon sono un romanzo, ma la rappresentazione del romanzesco quotidiano che tocca la soglia della scrittura. Una ripresa gioiosa e narcisista delle settecentesche meditazioni sul piacere: una loro riedizione sotto il segno d'una 1<moralità». Tra quelle meditazioni e questi frammenti c'è l'esperienza più avventurosa del sapere moderno: lo sguardo sulla parola dell'inconscio, e la cultura analitica cresciuta su quell'evento. I frammenti di Barthes assumono quello sguardo e registrano quell'evento. Ma anche qui, ilgodimento della scrittura impedisce che la parola del soggetto amoroso si fissi nella parola analitica. Le sequenze in cui le figure d'amore parlano appartengono con maggior proprietà a quella sfida del linguaggio che cerca un modo per sottrarsi ai discorsi egemoni, trattenendo il sapere al di qua del suo disciplinarsi nell'episteme. 1 n questa meditazione ad alta voce- «journab, soliloquio, affabulazione - il lettore coglierà certamente due ricorrenze, una nell'ordine della finzione, l'altra della teoria: il Werther di Goethe e gli scritti di Freud. Attorno a queste due ricorrenze volteggiano le citazioni. Il soggetto innamorato ritrova nel Werther la condensazione romanzesca del proprio stato; e ritrova nell'analisi di Freud la possibilità di «comprendere> i labirintici movimenti che assediano la condizione amorosoa. Il romanzesco si congiunge con l'autoanalisi: la finzione stessa è una forma dell'analisi. Nella frammentazione scenica di questa condizione (Assenza, Angoscia, Ascesi, Annullamento, Attesa ecc.), una posizione dell'innamorato è sorpresa ripetutamente, guardata da innumerevoli altre posizioni, interrogata con più strumenti: l'intrattenimento del soggetto che ama con l'Immagine, con una esplosione di immagini liberate dalla riserva del codice amoroso, sovrapposte alle immagini dei testi classici e moderni. Derealizzazione del mondo, follia di non poter essere l'altro, solitudine fitta di evocazioni, eventi fatti di nulla, dilatazione del tempo interiore, sostituzioni angosciose o gioiose dell'assenza, sguardi sugli slanci e sui silenzi, afasia e delirio: le immagini tumultuose cercano di trasformare il già dato dell'amore in un discorso proprio, il già vissuto in evento, e compendiano le storie di tutti gli innamorati in emblemi e in figure. L'innamorato di Barthes finisce col coincidere col soggetto della scrittura: il suo delirio si scrivecome libro di frammenti, la sua follia fa del romanzesco quotidiano un'opera letteraria. Un altro innamorato, don Chisciotte, esce dai libri di cavalleria per fare delle su~ avventure un libro; questo innamorato usa la biblioteca dell'amore per interpretare il suo amore, e aggiunge in quella biblioteca un altro libro.

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