Gli scritti di questo testo a più voci e in varie puntate si riferisce al libro collettivo Crisi della ragione (Torino, 1979 pp. 36_6lire 12.000) di cui diamo qui l'indice. Introduzione di Aldo Gargani; Spie. Radici di un paradigma indiziario di Carlo Ginzburg; Linguistica, scienza e razionalità di Giulio C. Lepschy; Retorica dell'illuminismo e negazione freudiana di Francesco Orlando; Il discredito della ragione di Franco Rella; Interpretare e trasformare di Vittorio Strada; Comprendere, modificàrsi. Modelli e prospettive di razionalità trasformatrice di Remo Bodei; Ragione e mutamento di Nicola Badaloni; Modi della ragione di Salvatore Veca; La ragione, l'abbondanza e la credenza di Carlo Augusto Viano Umberto Eco: Cauto omaggio al modus pooeos U no dei fini che si era proposto Alfabeta al suo nascereeraquello di «cercaredi ricollegaremembra sparse di discorsi che non si erano ascoltati o si ascoltavano troppo in chiave». Non sono sicuro che questa promessa sia stata sempre mantenuta, ma è chiaro che su un tema come la cosiddetta «crisi della ragione» bisognerebbe cercare di tenere fede al proposito. Magari in modo molto umile (o ambiziosissimo) e cioè cercando di fare piazza pulita, se possibile, di alcuni crampi linguistici In altri termini, di fronte a espressioni come «crisi della ragione» e consimili, la prima cosa da fare è chiedersi cosa mai significhino, insinuando il sospetto che siano espressioni o vuote di senso o piene di troppi sensi. Si sta sin troppo discutendo se delle espressioni verbali, pubblicate su di un libro o su di una rivista, possano essere intese come incitazione a delinquere. Andrei molto cauto nell'affermare che una efficace rappresentazione dell'incendio del Duomo di Milano possa spingere qualcuno a incendiare il Duomo: molte epacate ricerchesull'influenza dei film di violenza sui giovani hanno mostrato che, se qualcosa dipende dalla natura delle immagini, il più dipende dalla situazione psicologica, sociale e persino neurologica di chi guarda il film. Tuttavia sono assaipiù convinto che queste cattive influenze giochino invece a livello di pratica intellettuale. La pubblicazione di concetti oscuri (epresi da crampo) incoraggia un pensare focomelico. Non più di un mese fa mi è accaduto di leggeresu di un settimanale l'intervista con un celebre romanziere (non cito il nome solo perché da un lato la frase gli era attribuita, da/l'altro io ricostruisco a memoria, e quindi non voglio addebitare a qualcuno quello chepotrebbe non aver detto; ma se non l'ha detto lui, lo dicono altri) il quale affermava che la ragione ormai non riesce più a spiegare il mondo in cui viviamo e dobbiamo ricorrere ad altri strumenti. Sfortunatamente l'intervistato non specificava quali fossero gli altri strumenti, lasciando libero il lettore di pensare a: il sentimento, il delirio, la poesia, il silenzio mistico, un apriscatole per sardine, il salto in alto, il sesso, le endovenose di inchiostro simpatico. Più sfortunatamente ancora, ciascuno di questi strumenti potrebbe essere, sì, opposto alla ragione, ma ciascuna opposizione implicherebbe una diversa definizione di ragione. Per esempio, il libro che ha dato origine a questo avvio di dibattito sembra parlare di crisi di un modello detto «classico» di ragione, come con grande chiarezza spiega Aldo Gargani nell'introduzione. Ma le alternative che GarCrisdi ellaragione?(1) gani propone vanno, in altri ambiti filosofici, sotto il nome di ragione o attività razionale o almeno ragionevole, come egli riconosce. Quanto ad altri saggi del libro (per citarne solo alcuni) quello di Ginzburg oppone alla ragione deduttiva un ragionamento ipotetico e per indizi che è stato giudicato valido da Ippocrate, da A ristotelee da Peirce; quello di Veca offre una serie molto persuasiva di regole per congetturare con ragionevolezza; quello di Viano propone una prudente definizione di razionalità come esercizio di una «voce» che elabora le giustificazioni invocate per accreditarecredenze particolari, facendo in modo che esse siano comprese da tutti. Ecco qui delle buone definizioni di atteggiamento razionale non classico, che ci permettono di muoverci nel reale senza delegare i compiti della ragione al delirio o all'atletica leggera. li problema non è ammazzare la ragione, ma mettere le cattive ragioni in condizioni di non nuocere; e dissociare la nozione di ragione da quella di verità. Ma questo onorevole lavoro non si chiama inno alla crisi. Si chiama, da Kant in poi, «critica». Individuazione di limiti. L'impressione, di fronte a un crampo linguistico come quello della crisi della ragione, è che non si debba tanto definire, a/l'inizio, la ragione, quanto il concetto di crisi. E l'uso indiscriminato del concetto di crisiè un caso di crampo editoriale. La crisi vende bene. Negli ultimi decenni abbiamo assistito alla vendita (in edicola, in libreria, per abbonamento, e door-to-door) della crisi della rèligione, del marxismo, della rappresentazione, del segno, della filosofia, dell'etica, del freudismo, della presenza e del soggetto (trascuro altre crisi di cui non mi intendo professionalment~ anche se le soffro, come quelle della lira, degli alloggi, della famiglia, delle istituzioni e del petrolio). Da cui la nota battuta: «Dio è morto, il marxismo è in crisi e anch'io non mi sento troppo bene». Prendiamo una piacevolezza come la crisi della rappresentazione; anche ammettendo che chi ne parla abbia una definizione di rappresentazione (il che spesso non è), se capisco bene cosa coloro vogliano dire -e cioè che non riusciamo a costruirci e a scambiarci immagini del mondo che abbiano la sicurezza di adeguare la forma stessa, ammesso che ci sia, di questo mondo - mi risulta che la definizione di questa crisi è iniziata con Parmenide, è continuata con Gorgia, ha dato non pochi grattacapi a Cartesio,ha messo tutti nell'imbarazzo con Berkeley e Hume, e cosl via, sino alla fenomenologia. Se Lacan è interessante è perché riprende (ri-prende) Parmenide. Pare che chi scopre oggi la crisi della rappresentazione abbia idee adorabilmente imprecise sulla continuità di questo discorso (mi fa pensare ali'altra storiella, dello studente interrogato sulla morte di Cesare: «Perché? E morto? Non sapevo neppure che fosse ammalato!»). Ma anche se si ammette l'anzianità della crisi, ancora non capisco in che senso la si fa giocare. lo attraverso la strada col rosso, il vigilemi fa segno col fischietto, e poi multa me (non un altro). Come può avvenire tutto ciò se sono in crisi l'idea di soggetto, quella di segno e quella di reciproca rappresentazione? Mi viene il dubbio che non sia questo il punto. Ma allora cos'è che era in crisi? Vogliamo chiarirlo? O è in crisi la nozione di crisi? O mi state sottoponendo a una serie di atti te"oristici? Protesto. Torniamo alla ragione, voglio dire alla definizione della. A muovl!rci nella selva delle diverse e millenarie definizioni filosofiche, tento (con la rozzezza di chi deve scrivere poche cartelle) di delineare cinque accezioni di base. 1. La ragione sarebbe quel tipo di conoscenza naturale, tipica dell'uomo, dd opporre da un lato alle mere reazioni istintive, e da~'altro alla conoscenza non discorsiva (come le illuminazioni mistiche, la fede, le esperienze soggettive non comunicabili attraverso il linguaggio, eccetera). In questo caso si parla di ragione per dire che l'uomo è capace di produrre astrazioni e di discorrereper astrazioni. Questa nozione non mi pare in crisi: che l 'uomo sia fatto così è fuori di dubbio, al massimo si deve decidere quanto questo procedere per astrazioni sia buono rispetto ad altri modi di pensare, perché indubbiamente pensa anche chi ha visioni mistiche. Ma parlare di crisi della ragione significa per l'appunto formulare una astrazione, usando delle nostre capacità razionali, per mettere in dubbio la bontà di un certo 1ipodi esercizio di quesle nostre capacilà. 2. La ragione è una particolare facoltà di conoscere l'Assolu10 per visione diretta, è l'autocoscienza dell'Io idealistico, è l'intuizione di principi primi a cui obbediscono sia il cosmo che la mente umana, e persino quella divina. Che questo concetto sia in crisi è cosa pacifica. Ci ha dato sin 1roppi fastidi. Prendiamo a calci chi viene a dirci che ha la visione diretta de~'Assoluto e viene ad imporcela, ma non parliamo di crisi della ragione. È la crisi di cos~ui. 3. La ragione è un sistema di principi universali che precedono la slessa capacità astrattiva dell'uomo. L'uomo al massimo deve riconoscerli, magari a fatica e riflettendovi su a lungo. Platonismo, comunque si presenti. llluslre aueggiamento: messo abbondantemente in crisi, se non altro a cominciare da Kant (ma anche prima). È la famigerata ragione classica. La sua crisi è eviDaniel Spoe"i (Foro di Giorgio Colombo) dente ma non pacifica. La si ritrova persino nella matematica o nella logica contemporanea. Cosa significa.direche è verità necessaria che la somma degli angoli interni di un triangolo dia sempre e comunque cen1011an1garadi? Si tratta al massimo di discu1eresulla dif ferenza ira veri1àuniversale evidente e pos1ula10. Se pos1ulo una geometria euclidea, che la somma degli angoli interni dia cenlottanta gradi è verità necessaria. Di so/ilo si aspira ad aver la libertà di cambiare, in situazioni particolari, i postulati. A chi me lo concede, concedo di usare la nozione di verità necessaria. È chiaro che su decisioni del genere si combaue la battagliaper la definizione numero cinque, di cui diremo. 4. Ragione come facoltà di ben giudicare e ben discernere (bene e male, vero e falso). È il buon senso di Cartesio. Se si insiste sulla naturalità di questa facoltà, si torna a qualcosa molto simile alla definizione numero tre. Questa nozione oggi è certo in crisi,ma • in modo ambiguo. Direi che è in crisi per eccesso:questa innocente naturalità è stata spostata dalla ragione ad altre «facoltà», come il Desiderio, il Bisogno, l'Istinto. Anzichè insistere sulla crisi di questa nozione (certo abbastanza pericolosa e «ideologica») troverei più utile mettere in crisi le sicurezze dei suoi sostituti. In questo senso mi pare ben più inquietante il nuovo cartesianesimo dell'irrazionale, per così dire. Andiamo a individuare e a criticare non il razionalismo dello spirito ma il neorazionalismo del cazzo (in senso tecnico: «vengo, dunque sotÌO»). Dire che queste quattro accezioni di ragione sono in crisi è come dire che dopo Galileo e Copernico la terra gira intorno al sole. Può darsi che occorra aggiungere che forse anche il sole gira intorno a qualcosa d'altro, e cioè che il sole è fermo solo in rapporto alla terra, ma sulla prima affermazione non ci piove più ed è certamente in cris.i (ma perché ripeterlo) l'idea che il sole giri intorno alla terra. Col che si arriva alla quinta definizione. La quale è anch'essa in crisi, ma in modo diverso dalle altre. Essa più che in crisi è critica perché in un certo senso è l'unica definizione chepermetta di riconoscere un modo «razionale» o «ragionevole» di mettere continuamente in crisi e la ragione e il razionalismo classico e le nozioni antropologiche di ragionevolezza e, in definitiva, le sue stesse conclusioni. La quinta definizione è molto moderna ma è anche molto antica. A rileggere bene Aristotele si può trarlaanche dai suoi scritti, con qualche cautela. A rileggere Kant (e rileggere vuole sempre dire leggere in riferimento ai nostri problemi, esplicitamente sottoponendo a critichee cautele il quadro originario) Kant va ancora abbastanza bene. A proposito, mi annunciano dalla Francia, dopo la morte di Marx, di Hegel e alcune malattie incurabili di Freud, la rinascita kantiana; segnalo l'occasione editoriale a~'amico Vito Laterza; prepariamoci ragazzi, meno male che noi il vecchio lo studiavamo al liceo e ce lo siamo digerito tutto all'università, mentre i francesi leggevano Vietar Cousin; e diciamolo, al passeggiatore di Koenisberg siamo sempre rimasti affezionati in segreto, anche quando a nominarlo si era accusati di stare col Vietnam del sud, cazzo (in senso non tecnico), che decennio difficile abbiamo vissuto! Dicevo, allora. In questo quinto senso si esercita la razionalità per il fatto stesso che si devono esprimereproposi-· zioni intorno al mondo, eprima ancora di essere sicuri che queste proposizioni siano «vere», bisogna assicurarsi che gli altri le capiscano. Quindi bisogna elaborare delle regole per parlare in comune; regole di discorso mentale che siano anche le regole del discorso espresso. li che non significa affermare che quando parliamo dobbiamo dire sempre e soltanto una cosa, senza ambiguitàe polisensi. Anzi, è piuttosto razionale e ragionevole riconoscere che esistono anche discorsi (nel sogno, nellapoesia, ne/l'espressione dei desideri e delle passioni) che vogliono dire più cose a un tempo e contraddittorie tra loro. Ma proprio perché è fortunatamente evidente che parliamo anche in modo aperto epolisenso, occorre ogni tanto, e per certi propositi, elaborare norme di discorso condividibili, in ambiti specifici in cui si decide tutti di adottare gli stessi criteri per usare le parole e per legarle tra loro in proposizioni su cui si possa discutere. Posso ragionevolmente asserireche gli esseri umani amano il cibo? Sì, anche se ci sono dei dispeptici, degli asceti e dei disappetenti nevrotici. Basta che concordi per stabilire che, in quell'ambito di problemi, vale come ragionevole una prova statistica. La prova statistica vale per stabilire quale sia il «giusto» significato dell'Iliade, o se Laura Amone/li siapiù desiderabile di Eleonora Giorgi? No, si cambia regola. E chi non acconsente con questo criterio? Non dirò che è irragionevole, ma consentitemi di guardar/o con sospetto. Possibilmente, lo evito. Non chiedetemi cosa devo fare se quello si intrufola: sarà ragionevole decidere in qualche modo quando capiterà il caso. A questo tipo di ragionevolezza appartengono sia le leggi logiche che quelle retoriche (nel senso di una tecnica dell'argomemazione). Si tratta di stabilire dei campi in cui le une sono preferibili alle altre. Un amico logico mi diceva «rinunzio a tutte le certezze, meno che al modus ponens». Cosa c'è di razionale in questo aueggiamento? Chiarisco in poche parole, per i non addetti ai lavori: il modus ponens è la regola di ragionamento ( e quindi la regola per un discorso comprensibile e concordalo) per cui se asserisco che se p allora q, e poi riconosco che p, allora non può seguirne che q. Vale a dire che se stabilisco di definire europei tutti i cittadini francesi (e siamo d'accordo su questo postulato di significato), allora se Jean Dupont è cittadino francese tutti devono riconoscere che è europeo. Il modus ponens non vale in poesia, nel sogno, in genere nel linguaggio dell'inconscio. Basta stabilire dove deve valere, cioè iniziare un discorso stabilendo se accettiamo il modus ponens o no. E naturalmente metterci d'accordo sulla premessa, perché può darsi che qualcuno voglia definire come cittadino francese solo colui che nasce in Franciada genitori francesi con lapelle bianca. Talora sulla definizione delle premesse, sui postulati di significato che vogliamo accettare,si pòssono stabilire delle lotte a/l'infinito. Sarà ragionevole non inferire secondo il modus ponens sino a che non si è tutti d'accordo sulla premessa. Ma dopo mi pare razionale ubbidire al modus ponens, se lo si è assunto come valido. E sarà razionale non riferirsi al modus ponens in quei casi in cui si sospetta che non possa dare nessun risultato di comprensibilità reciproca (non si può analizzare secondo il modus ponens laproposizione catulliana «odi et amo», ameno di ridefinire le nozioni di odio e amore - ma per ridefinirle in modo ragionevole bisognerebbe ragionare secondo il modus ponens...). In ogni caso se qualcuno usa il modus ponens per dimostrarmi che il modus ponens è una legge razionale eterna (classica, da intuire e accettare), giudicherò ragionevole definire irrazionale la sua pretesa. Però mi pare ragionevole ragionare secondo il modus ponens in molti casi, per esempio per giocare a carte: se ho stabilito che un poker d'assi vince su un poker di dieci, allora se tu hai il poker d'assi e io ilpoker di dieci, devo ammettere che tu hai vinto. Il punto è che si deve stabilire la possibilità di cambiare gioco, previo accordo. Quello che continuo a ritenere irragionevole è che qualcuno mi sostenga, poniamo, che il Desiderio la vince sempre e comunque sul modus ponens (il che sarebbe anche possibile) ma per impormi la sua nozione di Desiderio e per confutare la mia c.onfutazione, cerca di cogliermi in contraddizione usando il modus ponens. Mi viene il Desiderio di rompergli la testa. Attribuisco la diffusione di tali comportamenti non ragionevoli alla molta pubblicistica chegioca con disinvoltura metaforica sulla crisi della ragione (e non parlo ovviamente del libro Crisi della ragione, dove si argomenta in modo ragionevole). Però sia chiaro che il problema ci investenon solo a live/lo di discussione scientifica, ma anche per quanto riguarda i comportamenti quotidiani e la vita politica. Per cui: compagni, lunga vita al Modus Ponens! Secondo i casi.
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