Frammendtiundiscorsobellico Jean Baudrillar (a cura di) «La seduction», Travers 17 Paris, Ed. de Minuit, 1979 Jean Baudrillard «La passion de la règle», relazione al Convegno su O linguaggio del gioco Montecatini, 25-27 ottobre 1979 Cartesio . Le passioni dell'anima (1969) Bari, Laterza, 1954 Paolo Fabbri «La guerra: un gioco di società», relazione al Convegno su O linguaggio del gioco cit. S. Kierkegaard Don Giovanni. La musica di Mozart e l'eros Milano, Mondadori, 1976 pp. 160 lire 100 P resentando quasi in forma di dizionario, secondo un rigoroso ordine alfabetico, le varie «figure», i topoi ricorrenti dell'amore, Barthes, nei suoi Fragrnents d'un discours amoureux, forse voleva dirci soltanto questo: l'amore non è che l'effetto di una strategia testuale. Se confrontiamo l'ipotesi barthesiana alla luce dell'interazionismo •simbolico, cioè degli attuali orientamenti pragmatici della sociologia americana che fanno capo alla scuola di Palo Alto, potremmo allora divertirci a radicalizzare questa ipotesi; l'amore non è che l'effetto di una strategia di guerra. Guerra di interazione, naturalmente. Cosi denunciati gli «attrezzi» di cui ci votl'emmo- servire, potremmo, per un inomento, retrocedere la macchina del tempo, molto indietro. «Madam l'm Adam», se queste furono le prime parole pronunciate dai nostri progenitori, secondo quanto asseriscono gli inglesi, può essere singolare che la storia dell'umanità sia iniziata con un palindromo, probabilmente, all'ombra dell'albero della conoscenza. Sia iniziata con un gioco linguistico che, costituendosi in un certo senso come sfida interpretativa, si portava all'interno della propria struttura non solo Stupore e Meraviglia, ma anche i germi di una dimensione agonistica. Un uomo, una donna, l'albero della conoscenza, un palindromo, e forse un serpente in veste di «tentazione». Ingredienti, questi, indispensabili alla configurazione di una nota sceneggiatura: la trasgressione di un divieto. Di qui, probabilmente, il profilarsi di un certo ideale ermetico che sta alla base del desiderio di conoscenza, in Occidente. Di qui, forse, l'articolarsi delle passioni in un sistema analogo a quello del linguaggio parlato, di qui certamente il costituirsi di una economia «nomade» del desiderio. Di un desiderio nato dalla fascinazione di un interdetto, e che nell'infinita diversificazione delle sue configurazioni, sta alla base di tutti i nostri programmi cognitivi e passionali. In modo particolare dell'amore. Come è noto, il tema del desiderio come erranza metonimica, nato dall'interdetto, sta al centro della rilettura lacaniana di Freud. Il desiderio è innanzitutto desiderio di desiderio. Desiderio dell'altro che ~i estingue nel momento della sua realizzazione. E in questo senso l'amore non è che il simulacro di se stesso: una raffinata strategiadel desiderio.«Nonfuggire- grida Nerval - perché la natura muore con te!», e nello spazio dell'assenza aperto dalla fuga della donna amata, scrive una delle sue novelle più belle: Aurelia. Ma gli esempi letterari di questo tipo sono innumerevoli. Si pensi all'equazione proustiana soggetto di fuga - oggetto d'amore, e come essa possa proliferare in una larga serie di equivalenze all'interno della suggestiva costellazione dove Malinconia, Assenza, • Perdita, Attesa, hanno, nell'amore, il loro centro nucleare. Del resto il concetto classicodi amore, così come si è venuto configurando fin dal Fedro di Platone che ne ha offerto il modello metafisico, ha posto sempre, come sua condizione, la Mancanza. Tuttavia lo smarrimento di fronte all'irrealizzabilità di quanto una cultura definisce «amore», consiste nell'equivoco logico-discorsivo che tende a interpretare l'amore come una entità fattuale, uno stato del mondo, mentre invece è un'unità sintattica che si carica di significato solo all'interno di un sistema di opposizioni assiologiche. Patrizia Magli lfamore, infatti, fa parte del complesso sistema delle passioni cosi come questo si è venuto articolando all'interno di una civiltà profondamente conflittuale come quella occidentale. All'interno di una civiltà la cui lettura «trasversale» sembra possibile, nel suo aspetto più emblematico, forse solo attraverso la grande metafora della guerra. Il modello della guerra è al centro infatti della teoria sociologica moderna, qualora tuttavia si intenda il concetto di «guerra», non nel senso forte del termine, ma in quanto modello agonistico, e cioè, tutto quel complesso di operazioni logiche, di tattiche e di strategie, e che ora può presentarsi secondo la modalità più sofisticata del gioco in tutta la sua immensa variazione, ora secondo quella più quotidiana della competizione e dello sport, ma che, comunque, tende sempre ad individuare un avversario nel proprio destinatario. La guerra è iscritta nello stesso discorso. li discorso infatti, come pure l'innocente colloquiare quotidiano, esce «armato», portandosi all'interno delle sue articolazioni disgiuntive, frammenti e relitti inequivocabili di profonda conflittualità. Del resto impieghiamo lo stesso linguaggio come un'agonistica di secondo ordine. La lingua infatti si configura non solo Crisdi ellaragione? (4) Mario Spinella: Crisi della ragione o crisi del sapere? 11 termine «crisi» va di moda: crisi economica, energetica, ecologica, monetaria, dei valori, delle ideologie e persino delle scienze, e del marxismo in particolare. In questa temperie si spiega come, da parte di qualche meno attento recensore, la raccolta di saggi curata da Aldo Gargani, con il titolo, appunto, di Crisi della ragione sia stata considerata come un ennesimo contributo al vario e multiforme affiorare di sollecitazioni irrazionalistiche, che ci vengono soprattutto da term di Francia: ma anche si generano, più o meno autonomamente, nel Bel Paesi!. Eppure basta guardare al sottotitolo del libro per avere, se non altro, il sospetto, che ben diverso, anzi opposto, è il discorso che ivi si tenta. Suona infatti questo sottotitolo: Nuovi modelli nel rapporto tra sapere e attività umane. E qui laparola «sapere» è parola chiave: e opportunamente lo psicoanalista Sergio Finzi, intervenendo nel dibattito apertosi su Il Manifesto a proposito di questo tema, ha insistito che di crisi del sapere, semmai, si tratta, e non certo della ragione, e ha insistito sul fatto che chi adopera il pensiero di Freud per avallare tendenze irrazionalistiche lo falsa radicalmente. Poiché, se è vero che se «si può dire che la psicoanalisi freudiana rappresenti una rottura del compatto universo di valori della razionalità classica», ciò avviene «assolutamente senza cadere in un deprezzamento dell'impresa razionale o in qualche forma di esaltazione dell'esperienza immeditata, della comprensione diretta, e neppure della misticheggiante intuizione». E del resto, nel volume curato da Gargani, e particolarmente nella Introduzione da lui premessa, non solo si sottolinea che non la ragione in generale, ma un certo modello di ragione, quello «classico» per l'appunto, è in crisi,ma si indicano chiaramente talune prospettive di «nuova razionalità» che ' questa «crisi» rende, non solo necessarie, ma possibili e praticabili. Quanto a chi, come nel mio caso, filosofo non sia, e proceda pertanto più per approssimazione che con rigore formale, sembra che i temi di questa crisi e i processi che essa apre abbiano la loro radice non cerco in qualche interrogativo più o meno metafisico, o comunque formale, ma in un fenomeno di discrasia,di sfasatura, tra ragione classica o accumulazione e crescitadel sapere. Nei due secoli che sono ormai trascorsi dall'immane impresa hegeliana, non solo il radicale salto di qualità compiuto nel campo delle scienze tradizionalmente definite «naturali» e delle loro applicazioni, ma il sorgere di quelle scienze nuove che sono -se non Arnaldo Pomodoro (Foto di Renate Ponsold) altro - il marxismo, la psicoanalisi, la linguistica post-saussuriana (nuove anche, e forse soprattutto,. perché di esse non si può dire che siano «scienze dello spirito», o «umane», ma, al contrario, spezzano la barriera tra questi due campi del sapere: il «naturale»· e l'«umano»), ha messo in crescente dif ficoltà ilmodello su cui si era arrovellata la ragione classica. Un modello, come è stato detto e ridetto, ancora teologico, ancora connesso con il mito dell'uno e delle sue gerarchiche divisioni e suddivisioni. Con una certa dose di banalizza,ione, si può affermare cheproprio di questo Nietzsche parla, quando afferma «la morte di Dio»; e, con buona pace dei teologi delle varie religioni, ma anche di quelli laici o addirittura atei, di questa morte occorreprendere-e tranquillamente - atto: con tutte le conseguenze del caso, apartire dalla impraticabilità dello spirito di sistema, del/'ossessione di un ordine assoluto, di un progresso ininterrotto, di una ben stirata «braca» da imporre -come osservava ironicamente Gramsci - al mondo. Ma qui cadono forse opportune due osservazioni, modestamente empiriche. La prima è che del «mondo» non si può parlare se non tenendo conto - contro ogni semplificazione, appunto, vetero-razionalistica - di quella che. Bloch chiamava la sua Ungleichzeitigkeit (che Remo Bodei, nel suo bel libro Multiversum. Tempo e storia in Ernst Bloch- Napoli, Bibliopolis, 1979, pp. 150 s.i.p. traduce come «non-contemporaneità»). È appunto nell'ordine di una «razionalità» che si voglia nuova, tener conto -non storicisticamente, ma struttura/mente - di questa non-contemporaneità; e di nuovo il richiamo può '"esserfatto alla psicoanalisi e alla funzione che in essa hanno i «residui» (si veda il saggio di Virginia Finzi Ghisi, « Funzione dei residui in psicoanalisi», nel volume Crisi del sapere e nuova razionalità, Bari, De Donato, 1978, che raccoglie gli atti di un convegno organizzato da« La pratica freudiana»). La seconda osservazione è che si verifica - forse in misura crescente - un'altra discrasia:quella, per dirlo analogicamente, tra ragion teoricae ragion pratica. Mentre cioè innegabili, e per molti versi non solo innovativi, ma «rivoluzionari» sono i dati e lemetodologie su cui è «in progress» questa nuova razionalità, nella pratica, o se si vuole, nella «politica» in senso lato, non sembra che gli uomini - nelle loro sottospecie e sotto/orme di Stati, di tecnica, di economia - si avvicinino anche minimamente a un maggior controllo del loro destino. Taluni segni - le catastrofi ecologiche, il disagio economico, il perdurare della violenza, dello spreco, e soprattutto la vera epropria follia degli armamenti, atomici e convenz:ionali, tendono anzi a far pensare che la sragione pratica, e cioè il gioco di meccanismi, certo spiegabili, dal marxismo, per esempio, come dalla psicoanalisi, tra l'altro, tenda aprevalere in un multiversum smarrito e quasi - mi sia. concesso il termine - brado. Per cui forse mai come oggi - a cagione degli strumenti distruttivi di cui dispone - il multiversum del genere umano ha bisogno di ragione. Mai come oggi si conferma e si convalida l'appassionata domanda che Freud si poneva nelle ultime righe del suo Disagio della civiltà «li problema fondamentale del destino della specie umana a me sembra sia questo: se, e fino a che punto, l'evoluzione civile riuscirà a padron·eggiare i turbamenti della vita collettivaprovocati dallapulsione aggressiva e autodistruttrice degli uomini ... E ora c'è da aspettarsi che l'altra delle due 'potenze·celesti', l'Eros eterno, farà uno sforzo per affermarsi nella sua lotta con il suo avversario parimenti immortale. Ma chi può prevedere se avrà successo e quale sarà l'esito?». li drammatico interrogativo dell'ultima frase fu aggiunto da Freud nel 1931 «quando gli eventi politici andavano prendendo una piega minacciosa» -avverte l'edizione italiana. In questo inizio degli anni ottanta, cinquantanni dopo, non rimane, alla ragione, che riproporlo. come il deposito delle «regole per giocare», come tutte le regole costitutive che stanno alla base della nostra competenza sintattica e grammaticale, ma anche come deposito delle regole normative che insegnano «a vincere». Che cos'è infatti la retorica antica, in quanto arte della persuasione, se non il deposito per eccellenza delle «regole per vincere»? «La lingua è una tauromachia», sostiene Paolo Fabbri, è un campo di mosse e contromosse, di strategie di «atti» di parola. Analogamente al linguaggio, la passione, in quanto essa stessa linguaggio, è definibile in termini di pure differenze. La nozione di passio, in quanto modificazione subita da un'azione esterna, ha trovato la sua formulazione più compiuta in Cartesio che ne ha sottolineato la natura relazionale: «quel che è passione è sempre passione rispetto al soggetto a cui capita e azione rispetto a quello che lo determina» (Passioni dell'anima, l, 1). La passione quindi, nella sua dimensione perlocutiva, è una cerniera: è il modo in cui un destinatario guarda un destinatore. All'interno di questo processo comunicativo, ogni passione è definibile solo in base a un sistema di unità analoghe che vi si oppongono e la circoscrivono. È cosi che il piacere si oppone al dolore, l'odio all'amore, la tristezza alla gioia, la meraviglia all'indifferenza. E se in un rapporto interattivo la «soggettività» dell'individuo non è definita in maniera sostanziale, ma unicamente come punto di intersecazione, come risultato delle relazioni strategiche con gli altri, ecco che allora l'amore, in quanto passione maggiormente investita di valore interattivo, diventa la misura stessa della «soggettività». Ma all'interno di questo modello relazionale, dato che esso appartiene ad una società profondamente attraversata dai vari travestimenti della conflittualità, l'amore minaccia continuamente di capovolgersi nel suo contrario: l'odio. Anzi, acquisisce spessore proprio in rapporto a quest'ultimo. N ella mitologia dell'amore infatti, cosi come si è venuta articolando attraverso la tradizione letteraria, si pensi alla Pentesilea di Kleist, quando ci si trova a livello di competizione simmetrica, l'amore può assumere l'aspetto di una vera e propria sfida a morte a cui non si può rispondere che con una contro-sfida in grado di imprigionarla in una logica circolare che ha, come conclusione, la fine stessa dei protagonisti. Ma, come in ogni guerra qualcuno può essere l'agente per l'esecuzione della propria morte, cosi nell'accettare una sfida «amorosa» e rispondervi con una controsfida, può significare la programmazione della propria sconfitta. Spesso può essere assai difficile sottra"rsialla fascinazione del complesso gioco di sfide e contro-sfide e di doppie strategie: «la regola è più forte della morte», sostiene Paolo Fabbri a proposito della fascinazione della guerra. Infatti, come per i comportamenti linguistici così pure per i comportamenti passionali, le «regole» sono ancora in gran parte sconosciute. E in questo senso possiamo solo azzardare ipotesi. La struttura agonistica che sta alla base della comunicazione umana non sempre si attualizza secondo la modalitàdel duelloe delloscontro frontale, ma, come avviene nella lingua in cui spesso per «vincere» ricorre all'arte sottile della persuasione, cosi, a livello delle trasformazioni passionali, può ricorrere all'arte della seduzione. La seduzione può stare al comportamento passionale cosi come la retorica classica sta al comportamento linguistico. La seduzione è una strategia manipolatoria centrata sul problema del «credere»: si tratta infatti di convince-
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