l'assistente ordinario, che è incaricato stabilizzato, mi coadiuva soprattutto per le tesi e per gli esami. Per il tipo di «servizio didattico» si rimanda alla risposta precedente. A gli esami, gli studenti sono invitati a rispondere, preliminarmente, a tre domande di storia generale - per evidenti ragioni professionali e culturali, atteso il livello di scarsissima conoscenza del profilo storico generale che essi ricavano dall'attuale frequenza della scuola media superiore - poi, solitamente, viene chiesto loro di esporre criticamente un aspetto del corso monografico e la tesi generale di almeno una delle due opere lette a scelta. In parte, si è già risposto alla domanda precedentemente; desidero precisare che non ho mai preparato dispense, ritenendo essenziale - soprattutto oggi, dopo la liberalizzazione degli accessi alle facoltà universitariela partecipazione alla lezione, che consente; ai più attenti, l'assimilazione di un linguaggio omogeneo e culturalmente valido e critico: affidare ad un testo scritto il riferimento a fatti storici, personaggi, correnti di pensiero ecc. senza una spiegazione - che appunto in un testo scritto, non avrebbe senso-sarebbe a mio avviso, un incentivo all'apprendimento acritico di nozioni. In aula, il docente può e deve integrare a seconda del livello di informazione e di cultura del suo uditorio - quelle conoscenze che non avrebbero motivo di venire ricordate in uno scritto: che non può mai essere scritto di cose risapute, o ritenute tali. Frequentanti: da sessanta a cento (l'insegnamento è quintuplicato: 3 cattedre e due incarichi stabilizzati); esaminandi: dai cento ai centocinquanta. Franco Fomari Psicologia (Milano) Dirigo l'Istituto di Psicologia della Facoltà di Lettere e filosofia dell'Università statale di Milano. Sono titolare del corso di Psicologia. H o scelto come argomento del mio corso la lettura della Repubblica di Platone in chiave psicoanalitica. In particolare mi propongo di evidenziare le strutture affettive profonde, da intendersi come; «scena nascosta» che sta dietro questo testo platonico. Si tratta essenzialmente di una lettura che parte dalle metafore immediatamente evidenti nel testo e in particolare dai miti specifici in esso ~scritti allo scopo di arrivare ad una «costruzione di realtà psichica», che sta dietro al progetto platonico, in vista della fondazione di una psicopolitica. Altre iniziative didattiche sono legate alla scuola di specializzazione in psicologia, all'interno della quale tengo un corso di psicologia dinamica e un seminario dei metodologia clinica. Quest'ultimo sarà incentrato sulle sperimentazioni in atto nell'ambito del ricupero dei drogati e si propone di chiarire in particolare le ideologie dei drogati e degli operatori che se ne occupano. Legati alla mia cattedra sono in corso due specifici gruppi di ricerca. Uno si propone di arrivare ad un modello teorico generale, centrato sulla relazioné d'oggetto, per la definizione e il rilevamento clinico del concetto di salute psichica e del disturbo psichico. La ricerca parte dal test di El Meligi, composto di un inventario di alcune centinaia di frasi, che coprono statisticamente l'espressione della malattia e della supposta normalità psichica. L'inventario di frasi viene letto in funzione della struttura affettiva del giudizio. L'altro gruppo di ricerca si propone di sperimentare la programmazione di affetti in funzione psicoterapeutica. Si tratta di sperimentare una variante dello psicodramma, con componenti didattiche e teatriche insieme, destinata a funzionare come strumento psicoterapeutico all'interno delle istituzioni. Ho tre collaboratori, la dottoressa Frontori, il dottor Charnet e la dottoressa Zamorani che con la loro attività affiancano il corso. Essi tengono con gli studenti seminari nei quali viene effettuata una propedeutica ai problemi teorici e applicativi posti dalla teoria e dall'analisi coinemica, all'interno del più vasto problema che sfocia in una teoria psicoanalitica del lingua~io: Oltre che essere seguili m semman propedeutici, gli studenti vengono in modo specifico aiutati nella preparazione della tesi di laurea. Per quanto ha attinenza a ciò che viene richiesto agli studenti in rapporto all'esame si prevede che essi possano avere, alla fine del corso, (del quale saranno approntate le dispense prima degli esami) una conoscenza del testo platonico mediata dallo strumento psicoanalitico. In particolare, l'esame verterà sui principi teorici e applicativi dell'analisi coinemica e sul loro specifico riscontro nella lettura del testo platonico. I libri prescritti per l'esame sono: Platone, La Repubblica, Firenze, Sansoni, lire 13.000, versione di Gabrielli; F. Fomari, / fondamenti di una teoria psicoanalitica del linguaggio, Torino Boringhieri, lire 16.000. La scelta della Repubblica come testo per un corso di Psicologia può apparire singolare. Di fatto lo è. Ho tuttavia ritenuto opportuno fare tale scelta per vari motivi. II primo è didattico. Dovendo infatti insegnare psicoanalisi in un corso di laurea in filosofia mi trovo di fronte al compito di trasmettere il sapere psicoanalitico restando all'interno dell'ambito didattico istituzionale. Oltre a tali motivi didattici la mia scelta di un particolare testo platonico come oggetto di riflessione psicoanalitica si collega ad uno specifico ambito di ricerca scientifica, che mi ha occupato negli anni sessanta. Mi riferisco a Psicanalisi della Guerra e a Psicoanalisi della situazione atomica ai quali idealmente il corso di quest'anno si collega. Non nascondo che l'idea di impegnare la psicoanalisi in una ricerca vertente sulle strutture affettive della esperienza politica ha sempre fatto parte di una mia certa esigenza di impegno sociale. In particolare, la Repubblica mi è parsa adatta per introdurre ad un discorso psicopolitico. Platone aveva certamente anticipato Freud nel concepire la società come diretta espressione di potenze che sono all'interno dell'individuo. Si può dire che per Platone l'individuo è una micropolis e la polis è un macroindividuo. L'uno e l'altra contengono per Platone le stesse strutture: in un caso in lettere piccole, nell'altro in lettere grandi. Non nascondo neanche la mia intenzione di fare della lettura psicoanalitica della Repubblica una indicazione di possibili letture del politico, in mezzo all'imperversare della riduzione del politico all'economico. A parte però questa intenzione, che si mostra come immediatamente ideologica, la mia scelta, che potrà apparire singolare proprio perché entra in un campo di mia non-competenza, è guidata dal progetto di sollecitare un incontro con altre discipline. Sono grato a tre colleghi, i proff. Del Como, Sini e Rambaldi, per avermi promesso di intervenire nel mio corso loro stessi o di mandare loro collaboratori, allo scopo di permettere agli studenti di fruire di incontri interdisciplinari. Da quanto ho finora detto mi pare che sia abbastanza chiaro perché ritengo che l'argomento proposto sia da trattare all'Università. L'insegnamento della psicoanalisi all'Università comporta una ristrutturazione del sapere psicoanalitico in .termini pubblici, soprattutto a causa del fatto che l'Università non può istituire il trattamento analitico individuale, come strumento specifico di trasmissione del sapere psicoanalitico. La ristrutturazione del sapere psicoanalitico in termini pubblici obbliga questa disciplina a integrazioni interdisciplinari. Per quello che mi riguarda, se non fossi stato all'Università non sarei certamente stato stimolato a concepire una teoria psicoanalitica del linguaggio. Questo sul piano tecnico. Sul piano della ideologia del sapere, la valorizzazione delle strutture individuali e familiari e dei relativi codici affettivi nell'ambito della teoria del politico, si propone il compito della valorizzazione degli affetti, in opposizione alla feticizzazioneeconomicisticadel politico. Penso che oggi un discorso del genere possa essere portato all'Università, soprattutto tenendo presente che i codici affettivi sono elementi integranti del processo decisionale in generale. Prevedo un numero relativamente alto di studenti e una partecipazione molto seria. Spero di non essere troppo speculare, se penso che l'idea di mettere il vino vecchio in botti nuove li affascini, come affascina me. . Gianfranco La Grassa Economia politica (Pisa) Anche se da anni insegno Economia politica nella Facoltà di giurisprudenza di Pisa, preferisco parlare in questa sede dell'insegnamento della stessa materia che terrò, da quest'anno, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia (corso di laurea in Storia) di Venezia, e che assorbirà la maggior parte delle mie energie. S ia il corso di laurea che l'insegnamento di Ec?~omi~ _politicasono appena stai! 1s11tu1t1e, perciò non posso rifarmi ad esperienze passate; sono soltanto in grado di mani_festare alcune intenzioni, determinati progetti di insegnamento, che andranno poi verificati ed eventualmente rettificati. Innanzitutto, sarà necessario distinguere tra coloro che seguono ilcorso dr Economia per avere alcune conoscenze generali complementari all'indirizzo di studio cui intendono prevalentemente dedicarsi, e quanti invece desiderano approfondire in modo specifico determinati problemi dell'Economia politica. Il trattamento dovrà, necessariamente, essere differenziato. È inoltre da ricordare che, durante tutto l'armo, non avrò probabilmente alcun collaboratore nell'espleta.mento dell'insegnamento. Per tutti gli studenti terrò un corso di carattere generale, che occuperà le «classiche» tre ore settimanali. In cosi poco tempo, cercherò di fornire alcuni elementi fondamentali di conoscenza sia delle principali «correnti» del pensiero economico che delle più importanti categorie dell'Economia. Tuttavia, già nel corso generale, inizierò ad accentrare l'attenzione sulla categoria del valore, sviluppando le tematiche del valore-lavoro e del valore-utilità. È mia intenzione mettere in evidenza il fondamentale «tecnicismo» dell'economia «accademica», la sua sostanziale «staticità», la sua incapacità di aprirsi - pur nell'ambito di una necessaria specializzazione conoscitiva - all'analisi dei rapporti sociali. Sosterrò inoltre che anche il (relativamente) recente «ritorno» ai classici - pur con tutta la raffinatezza analitica possibile Ben Vautier(Fotodi GiorgioColombo) - non va oltre una visione tecnicistica della produzione (che è invece un fenomeno sociale), giungendo al massimo, nel migliore dei casi, ad una considerazione semplicistica della lotta di classe nella mera distribuzione del reddito. In positivo, svilupperò una serie di argomentazioni sul valore come strumento di analisi della connessione sociale nella sua specifica conformazione capitalistica, onde cogliere le contraddizioni intrinseche al movimento di riproduzione del capitale. Tale movimento implica la continua ristrutturazione del capitale nell'ambito di una incessante opera di destrutturazione: cioè una crescente frammentazione e disorganizzazione dei rapporti sociali, sia pur contrastata da ripetuti (e ripetutamente falliti) tentativi di riorganizzazione (e funzionalizzazione reciproca) dei diversi comparti dell'attività lavorativa sociale complessiva. Accanto al corso principale, proporrò agli studenti di dar vita a seminari di approfondimento su alcuni temi specifici. Innanzitutto, uno sviluppo ulteriore della problematica del valore come strumento di analisi della forma capitalistica della connessione sociale. Inoltre, un'apertura ai problemi dell'organizzazione del lavoro, alle relazioni tra divisione tecnica e sociale del lavoro, ecc. (diciamo, insomma, una trattazione del lavoro dal punto di vista del processo in cui esso viene attivato, e non tanto da quello del suo «rifiuto», del tempo libero, ecc.). Quanto ai libri necessari a sostenere il «fatidico» esame, penso di utilizzare come testi base: Lavoro e capitale monopolistico di Braverman, Valore di Napoleoni, il mio Il valore come astrazione del lavoro (in corso di pubblicazione con la Dedalo), più un buon testo di storia del pensiero economico. Avrei però l'intenzione di «inélividualizzare», per quanto possibile, la preparazione all'esame a seconda degli interessi e delle esigenze manifestati dagli studenti; perciò altri testi saranno possibilmente con loro concordati. Quanto detto varrà in modo particola- - re per i seminari, in cui distribuirò anche alcuni miei recenti dattiloscritti, frutto di ricerche in corso di elaborazione. P oiché ho accennato come centrale nel mio corso lo studio della categoria del valore, e qui infine ho indicato alcuni miei recenti manoscritti come stimolo dei seminari, può forse essere utile anche in questa sede riferire il concetto iniziale e definitorio della mia ricerca attuale. Qual è la funzione del valore nel marxismo? Anche se non va accettata, nella sua formulazione originaria, la distinzione sweezyana tra aspetto quantitativo e qualitativo del valore, non vi è però dubbio che il valore, in Marx, ha due funzioni tra loro strettamente intrecciate (e che costituiscono un'unità complessa). Innanzitutto, il valore deve spiegare la formazione dei prezzi di mercato (in questa direzione Marx sviluppa e va oltre i classici). I prezzi delle varie merci oscillano continuamente e le loro posizioni relative si modificano senza posa. Devono, tuttavia, esistere, in ogni dato periodo, dei «centri di gravità» attorno a cui oscillano i prezzi delle merci e che giustificano i rapporti relativi tra di esse e il loro mutamento di periodo in periodo. I concreti «valori» di mercato si esprimono nella figura del denaro, ma questo-essendo equivalente generale delle merci - è merce esso stesso. I «valori» di mercato non possono quindi essere spiegati con la mera analisi del denaro, perché si incorrerebbe in un circolo vizioso. I «centri di gravità» dei prezzi sono costituiti dai valori (in un'analisi più avanzata, che in questa sede non ci interessa, dai prezzi di produzione, in quanto però valori «trasformati»; e i valori rinviano alla quantità di lavoro socialmente necessario, spesa nella produzione di ogni data merce (compresa la merce che funge da equivalente generale e sulla cui base vengono concretamente calcolati i prezzi di mercato). Si parte quindi dai prezzi (e dai valori di scambio reciproco fra le merci) concretamentt: esistenti, che oscillano intornoa «centridi gravità»e sigiunge ad individuare questi ultimi come quote del lavoro sociale che si «rapprendono» nelle singole merci. I valori di scambio reali (non quelli meramente empirici) sono dunque dati dalle rispettive proporzioni, secondo le quali le varie merci prodotte incorporano le diverse quote del lavoro sociale complessivamente impiegato nella loro produzione. I valori di scambio reali (e dunque i prezzi empirici, che sulla loro base si formano, pur tra oscillazioni) spiegano la distribuzione (nel suo aspetto meramente quantitativo) cosi come questa si verifica nella società capitalistica; spiegano sia la distribuzione del fondo complessivo del lavoro sociale tra le varie branche (e le varie unità) di produzione, sia la distribuzione del prodotto complessivo tra i diversi «soggetti sociali» implicati funzionalmente dalla struttura della società capitalistica (sia che essi producano o meno). L'economista si ferma, nel migliore dei casi, a questo punto e dà per presupposta la forma specifica della distribuzione capitalistica. Questa non è per lui un problema, bensi un dato. È precisamente questa forma che va invece indagata, perché qui I' «economia» si apre all'analisi più complessiva della struttura sociale (anche se ancora dal punto di vista dell'«anatomia» della società, della sua base economica). La forma del valore (o valore di scambio) è, per Marx, la specifica forma capitalistica della connessione sociale. li fondamento materiale della riproduzione della vita umana è costituito dalla produzione dei beni necessari all'esistenza degli uomini in società (esistenza quindi non meramente «naturalistica», ma mediata da una più o meno complessa struttura dei rapporti sociali). Ogni forma sociale di produzione richiede una data forma della distribuzione delle attività produttive (e sociali in generale) e dei prodotti. Una volta generalizzatasi la produzione di merci - sulla base del Mpc - la distribuzione non può che avvenire in questa forma mercantile, che rappresenta la forma preminente di connessione sociale. O gni individuo non può entrare in immediato contatto (ed in organica connessione) con gli altri, ma lo può fare soltanto tramite i prodotti (siano essi materiali o «spirituali») della sua attività lavorativa. Il lavoro sociale complessivo si «rapprende» in tanti punti spazialmente e temporalmente delimitati, ognuno dei quali è controllato «privatamente» (da un dato soggetto «individuale»). La socialità del lavoro può quindi solo affermarsi tramite una connessione estrinseca di questi punti di «coagulo» del lavoro, controllati «privatamente» (cioè da singoli «soggetti»). La connessione è il campo della mediazione, ma di una mediazione conflittuale, aperta alla lotta accesa tra i vari controllori privati del lavoro sociale al fine di affermare la supremazia di alcuni di essi sugli altri nel controllo delle più ampie quote del lavoro stesso. La connessione estrinseca - che in Marx è il mercato, la circolazione mercantile- sembra ergersi ad arbitro della conflittualità tra «privati», sembra decretare il successo degli uni sugli altri. Che i singoli appaiano subordinati alle «leggi» del meccanismo connettivo non è pura mistificazione ideologica, bensi una realtà, una forma di esistenza empirica della specifica forma capitalistica della produzione; un risultato della impossibilità che quest'ultima assuma il suo carattere sociale se non attraverso l'interazione conflittuale delle attività produttive private. Ma il meccanismo connettivo non esiste se non nell'interazione intercapitalistica, non è un Soggetto unico, una sintesi suprema dell'intera società. È un'unità che non può che essere mediata dalla molteplicità e dalla diversità, non può semplicemente sussumerle in sé ed annullarle. È un organismo che mantiene le sue parti costitutive elementari; queste sono i veri soggetti reali, anche se subordinati alle leggi del meccanismo mediatore. • Solo il semplicismo di certi «marxismi» (molto alla moda oggi) può prendere la connessione circolatoria ed ergerla a soggetto indipendente come padrone della società, come unità sintetica del comando (o «cervello») capitalistico; e sia che questo presunto soggetto venga considerato nella sua figura di denaro, o di Politjco, o di Ideologico, ecc. In realtà, ognuna di queste figure rappresenta una complessa struttura di rapporti sociali, che costituisce lo «spazio» entro cui si afferma la conflittualità intercapitalistica in quanto strumento decisivo di socializzazione indiretta (capitalistica dunque!) delle attività «private». In questa mediazione estrinseca ai vari soggetti, e attraversata dalla loro conflittualità, risiede la possibilità della crisi del capitalismo.
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