colo ed è qui che va impedito il crearsi di un'unione di classi di età. Dalla pedagogia alla pedofilia Per ascoltare l'infanzia - e il monito in Fous d'e11fa11ce non è solo di Foucault - occorre agire con essa. accordandole credito e stipulando un «contratto bilaterale» (p. 81). un rapporto che. come dice nello stesso dibattito G. Hocquenghem «è progres~ivo. lungo e passa perdétours non solò sessuali. ma affettivi e di ogni altri tipo» (ibid .. p. 82). Il bambino va così calato in una rete di relazioni diverse da quelle solite. in una «pedofilia» assai variegata. dove la dimensione sessuale è solo un aspetto (come precisa R. Schérer in A propos de la pédophilie, ibid .. p. 87). e quello che più conta è un accompagnarsi. un co-ire senza distinzioni di sesso. età. status. ruoli. secondo modelli e con strumenti sociali inediti e paradossali. Di questa pedofilia lo stesso Schérer assieme a Hocquenghem danno sia esempi in_Fous d'enfance sia soprattutto nell'Album sistematico dell'infanzia. Si tratta di una lettura della realtà bambina. che ne ripercorre le' figure'. evocandole. suggerendole. descrivendole. non svelandole o scoprendole. tanto meno definendole (p. 7). Al fondo sta. ancora una volta. l'intento di deistituzionalizzare e deprivatizzare l'infanzia. contro la sua tradizionale dislocazione in luoghi «noti e controllabili» (p. 43). dentro un «tessuto di dipendenze e divieti» (p. 54). Il bambino. protagonista di questa nuova enciclopedia. è soprattutto corpo. «corpo senza organi». Ellen Moers Literary Women London. The Women's Press. 1976 Elaine Showalter A Literature of their own London. Virago. 1978 Robin Lakoff Language and woman's piace N. Y.. Harper and Row. 1975 Jacqueline Risse! «Nome». in Lessico delle Donne, voi. VI. sezione «Donne e Letteratura» Milano. Gulliver. 1979 Gabriella Caramore «Autobiografia/ Diario/ Lettera». in Lessico delle Donne, cit. J. Derrida Eperons Paris. Flammarion. 1978 Cixous. Gagnon. Ledere La venue à l'écriture IO/18. Paris. I977 e he il romanzo fosse «une chose femelle» lo sosteneva qualche anno fa Michael Danahy. della Penn State University. Della relazione di complicità tra donna e romanzo egli dava prove che confesso - or è molto tempo! - di aver dimenticato; ma tentando per associazioni personali. e per memoria involontaria. di ricostituire i lacci di quel legame. addurrei per prima cosa l'essere il romanzo. come la donna. il luogo per eccellenza della finzione. Se più facile era individuare la tecnica cosmetica del romance, perché più evidente in quella forma il carattere di irrealtà. e di fantasticheria. il trucco si fece arte più sottile quando l'epoca borghese decretò l'effetto nature. Realistico fu così il romanzo. e naturale il trucco del reale. che pure anch'esso operava. E se ha evidentemente ragione. Lukàcs. quando parla del romanzo come «la forma della virilità matura» è altrettanto vero che sorprendentemente femminile è quella virilità! Competono difatti al romanzo virtù. e vizi. che sono qualità tradizionali della «corpo di desiderio» (pp. I03 sgg.). che si può modellare in forme infinite. bellissime. e mostruose. perché non è fissato in una struttura e in un unico linguaggio. ma è attratto da - e capace di - travestimenti plurimi. Per essere compreso. i1bambino va collocato nella «costellazione dove lui sta» (p. I07). grazie a un'«antroposcopia libidica» (pp. 11Osgg.). che colga appunto le 'figure' di tali costellazioni. Non c'è. qui. nessun impegno a definire l'infanzia; facendolo. si ricadrebbe nei difetti deprecati dai due autori a proposito di altre interpretazioni della realtà puerile. specie di quelle psicoanalitiche. che vogliono ad ogni costo attribuirle significato univoco (pp. I 58 sgg.). oggettualità e desiderio (p. 37). senso metaforico (p. SI). codificazione (p. 116). Per Schérer e Hocquenghem. l'operazione-infanzia è l'indicazione delle situazioni e dei modi dove e con i quali l'infanzia è per sé. si «autoconfeziona» (pp. 36 sgg.). resistendo a definizioni e pedagogie: il ratto. il travestimento. la miniaturizzazione. l'assimilazione zoomorfa. È qui che appare il bambino. in contesti che la nostra cultura più stigmatizza che pregia. considerandoli abusivi e deleteri per la sua crescita. Ne risulta un riscatto e una paradossale proposta di attualizzazione di quei fenomeni proprii della società precapitalistica. fatti di promiscuità di grandi e di piccoli nella fuga. nella festa. nell'eros; e delle collettività di vagabondi descritte da Marx nel Capitale; una depenalizzazione degli amori «perversi» o «incestuosi» dei «romanzi d'infanzia»; e una valorizzazione dei bambini-animali. di quelli piccolissimi o grandissimi. di burattini e ninfette. che cercano e trovano complicità in esseri di là della legge. Tutto questo sta a dimostrare dove l'infanzia possa venir cercata. fuori dai contesti ad essa predestinati. al di là di definizioni fatalmente statiche e unilaterali; e fa vedere la non riducibilità del bambino ad altro. proprio perché egli è «imbarazzo» (p. 74) e «rottura degli egoismi» dove di solito vigono squilibri di potere e «frigide trattative e scambi» (ibid. ). Il nuovo campo in cui si iscrive il bambino è allora il regno del possibile. del precodificato e l'infanzia cessa di essere oggetto e per altro. sfuggendo al trattamento pedagogico che la fa crescere ad ogni costo e che sembra l'unico modo per incontrarla. De-formare per de-finire: questo il senso più eclatante del discorso di Schérer e Hocquenghem. dove il sapere dell'infanzia esce dalle coordinate spazio-temporali e discorsive ordinarie. proiettandosi in una dimensione paradossale. fino a diventare tema di romanzo e di «un'altra possibilità della storia» (p. 32). Destoricizzare l'infanzia Dalla scoperta dell' Ariès che colloca il bambino nella storia alla «permanenza» dell'età puerile che esiste alla radice di ogni società (Co-ire, p. 34) e fuori da ogni discorso secondo Schrérer e Hocquenghem. l'infanzia appare progressivamente relativizzata nel divenire collettivo e nella parola. fino ad esserne estromessa. Tale operazione culmina in alcuni paragrafi del testo di Giorgio Agamben. Infa11zine storia. dove si vietano ricerche di remote o mitiche origini dell'uomo da collocarsi nell'infanzia. Definire l'infanzia. per Agamben. nel senso di raggiungere q~esto principio dell'esisten"za uni°ana è impresa tentata drammaticamente da tanta psicoanalisi (si veda l'articolo di J. B. Pontalis. La chambre des e11fa111s, sul numero già citato della Nouvelle Revue de Psychnnalyse, spec. pp. 8 sgg.). ma è progetto improponibile: «l'infanzia non è semplicemente un fatto. di cui si possa isolare il luogo cronologico. né qualcosa come uno stato psico-somatico. che una psicologia infantile[ ...] e una paleoantropologia [ ...] potrebbero mai costruire» (p. 48). Pertanto l'infanzia non può essere collocata nella storia. ma è essa stessa che· «fonda la possibilità che vi sia qualcosa come "storia"» (p. 47). In positivo. essa è «pura esperienza> (p. 45). «differenza fra umano e linguistico» (p. 49). «limite trascendentale del linguaggio» (ibid. ); e la sua «espropriazione» (ibid. ). che per Schérer e Hocquenghem era risultato di educazioni colonizzatrici. è qui opera del soggetto stesso del linguaggio. dell'uomo non più in-fante capace di discorso. di parola. e di storia. Ancora una volta. seppure per una via affatto diversa. infanzia e storia sembrano coniugarsi fuori dalla genesi collettiva e individuale. in quanto «esperire significa [...] riaccedere all'infanzia come patria trascendentale della storia» (p. SI). Ma non è una storia unidirezionale. secondo un «tempo lineare» (ibid. ). bensì è «intervallo. discontinuità. epoche» (ibid.) e «ciò che ha Unechosefemelle donna: come ad esempio la sua assenza dalla forma. Una forma «bastarda» parve il romanzo (nove/) a chi. nel '700. una mattina si svegliò e trovò l'avvenuta metamorfosi di forme narrative prima rigorosamente controllate entro categoriche prescrizioni di unità. di rime. di lunghezza ... Come la donna. «!'assolutamente violabile». il romanzo introdusse. attraverso l'evidente sovversione di ogni forma. a una realtà più mobile; e «qual piuma al vento» portò il suo eroe in più domestici scenari. È certamente a una trasformazione culturale che allude la Woolf. quando fa si che il suo personaggio Orlando. giovane principe all'epoca di Elisabetta I. si trasformi in una «signorina» nel settecento; e da Il in avanti abbandoni esotici scenari (Costantinopoli). e perigliose avventure (con gli zingari); e torni in Inghilterra,(ll dove il romanzo moderno nasce); sperando di «trovare Nadia Fusini la vita e un amante». che con l'avanzar degli anni. e l'insediarsi del secolo decimonono. sarà più prudentemente «un marito». Orlando fa. per cosi dire. esattamente ciò che Hegel prescrive all'eroe romanzesco: con lui «l'avventurosità ritrova il significato giusto ed il fantastico sperimenta la necessaria correzione». Ma Orlando. oltre che il protagonista dell'omonimo romanzo. è anche la parodia del genere romanzo; è cioè la storia e il rifacimento delle varie forme entro cui varie epoche si sono rappresentate. Ebbene. se questo è vero. allora. secondo Virginia Woolf. evidentemente. la cultura moderna. e le sue forme. sono «donna>. Come a dire. comincia con il moderno la fine dell'uomo! Dove per uomo si intende precisamente una forma: ovvero un modello di relazione al reale in cui l'eroe si definisce tale in quanto portatore dell'azione. E l'azione è la tragica. e virile. irruzione nel reale; con cui la volontà dell'eroe fa conflitto. Perché il mondo egli vuole vincerlo. direzionarlo: dargli appunto la forma che vuole. Ora accade nel Settecento che laddove l'epoca precedente aveva specchiato il proprio desiderato volto nella figuratività alta del principe. o del cavaliere; e al suo nobile incedere aveva delegato la messa in rappresentazione della vita; l'epoca moderna inaugurò una figuratività «femminile>. Donna fu l'eroe. e «la prosa della realtà> fu il suo teatro. Dovendosi «educare alla realtà esistente» e muoversi tra «polizia. tribunali. esercito. governo>. e «tutto ciò che ha preso il posto dei fini chimerici che i cavalieri perseguivano>. l'eroe romanzesco si trovò per così dire obbligato a un non eroico apprendistato: si trattava di trovare lavoro. e di sposarsi ... In questa più grigia condizione della vita. la figuratività riferita all'eroe e alla sua azione s1 nell'infanzia la sua patria ongmaria. verso l'infanzia e attraverso l'infanzia deve mantenersi in viaggio> (ibid.). Infanzia dissacrata e riconsacrata. quindi; nel de-finirla dal discorso e dalla storia. la proposta di Agamben. eleggendo l'infanzia a trascendentale delì·èsperienza. pare ~ottrarla. una volta per tutte. a pedagogia e seduzione. Tuttavia_ non si tratta di un ennesimo. sofisticato_ intellettualismo_ perché al termine di «infanzia»_ nel saggio lnfa11ziae balocchi del medesimo volume. viene riconnesso quello di «bambino>. prima espulso. in quanto dotato di storicità. In questo saggio il gioco è visto come «quel rapporto con gli oggetti e i comportamenti umani che coglie in essi il puro carattere storico-temporale» (p. 72) e i bambini. protagonisti delle società «calde> in cui «la sfera del gioco tende a estendersi a spese di quella del rito> (p. 77)_ sono coloro che «giocano con la storia> (p. 72). Attore primo di quella storia non lineare_ discontinua. frammentata. di cui si è detto a proposito dell'infanzia_ il bambino riattribuisce quindi tangibilità a un'infanzia. che. istituita a dimensione fuori dal discorso è diventata pertanto ineffabile mysterion (p. 49). e ci riconduce. criticamente avvertiti dei pericoli proprii di ogni definizione. a esperire le possibilità e i modi reali di ogni infanzia particolare. storicamente data. in un quanto ne assume «giocando> i significati. «per restituirli al passato e trasmetterli al futuro> (p. 88). fece anch'essa domestica: femminile. La crescita e l'esperienza si configurarono così come la lenta e progressiva costruzione della trama matrimoniale: il tirocinio dell'eroe coincise con l'abile intrigo (p/ot) delle relazioni sociali. che nel matrimonio trovarono la loro appropriata sineddoche. Fin dalla posizione del modello con Jane Austen. il romanzo che prese a protagonista la donna. della propria eroina raccontò soprattutto un'azione: il matrimonio. Il passo avventuroso dell'uomo lasciò il posto ai leggeri e cauti passettini della signorina in cerca di marito. Solo che questa 'figura' - che secondo sociologiche corrispondenze sarebbe garanzia di limpidi rispecchiamenti tra romanzo e Storia - non aveva affatto vincoli di mimèsi alla condizione della donna: era piuttosto la nuova posa in cui il soggetto si presentò in relazione al mondo. quando abbandonò l'eroismo della tragedia. e l'onnipotenza fantastica del romance_ Essenziale all'eroe borghese fu così la scena domestica: e il suo destino parve tessersi nell'interno di un imma- • ginario femminile: che prendeva d'altra parte su di sé i valori dell'epoca borghese. L'eroe fu così con Oarissa (di Richardson) il campione del freewif/ (libero volere); e con Moli Flanders (di Defoe) il fautore della libera iniziativa e del massimo profitto ... Nell'Ottocento_ poi. ci furono le vite esemplari di Jane Eyre. o di Maggie Tulliver: e lì l'eroina fu davvero un nobile e responsabile borghese. E difese la rinuncia. e il lavoro: laddove l'uomo pareva piuttosto inclinare verso illegittime passioni. o voler soddisfare le sue brame ... 11romanzo è «cosa di donne> anche perché - come spiegò anni fa Ian Watt - femminile è il suo pubblico. È noto a questo proposito ilcommento di Mary McCarthy. che della povera Emma Bovary disse: «Se avesse letto meno romanzi. forse non si sarebbe montata la testa!>. Il fatto è per l'appunto che le donne la testa se la montarono; e una volta divenute lettrici_ breve fu il passo che le ponò ad attestarsi nella più autorevole posizione di authoress. E in questo passaggio da lettrice a scrittrice che trova avvio la
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==