cipio ogni teleologismo. Lo stesso influsso della sociologia e dell'antropologia non immunizza da questo rischio: può anzi favorire una storia della rassegnazione e della consolazione in cui la mancanza di ipotesi, progetti interpretativi, legame passato/presente, si intreccia con la «soddisfazione, di vedere come le classi subalterne abbiano vissuto, in modo soggettivaGermano Lombardi VilJa ron prato all'inglese Milano, Rizzoli, 1977 pp. 168, lire 5.000 Chi è Beatrix Milano, Rizzoli, 1979 pp. 131, lire 6.000 La ballata dello zio IArcase altre Frrenz.e, Mario Luca Giusti, 1979 pp. 105, lire 5.000 ~~ Il battente si apri sul marciapie- ~ de di asfalto. Si vedeva una casa grigia alta cinque piani, c'era una finestra aperta e nel vano c'era una donna. Si vedeva il suo busto, la testa, una mano stretta allo stipite, i capelli crespi e gli occhi, le pupille nere e fisse, la pelle pallida del viso [ ...]»; «[...] Tiopete Meraviglia che conclude invocando ancora per tre volte il nome di Casirnire, cameriere bretone dagli occhi rosa di anni 37: bevitore di assenzio». Fra le battute iniziali di Barcelona, primo romanzo di Germano Lombardi, e quelle finali di Chi è Beatrix, ultimo romanzo (per ora), non si tratta di identificare la formula generativa dell'intera opera dello scrittore, secondo il ben noto processo rousselliano; ma fra questi due termini, già indicativi attraverso la differenza del lessico, della sintassi e del timbro, si delinea certamente non soltanto l'ontogenesi del corpo romanz.esco lombardiano, vale a dire le fasi di sviluppo dei suoi esperimenti e delle sue invenzioni, ma anche la filogenesi della «forma romanzo» nel periodo compreso fra il Gruppo '63, tanto per sintetizzare rozzamente, e le tendenz.e post-sperimentali, direi post-moderne. Qualcosa che va dalla sventura del romanzo, ossia dalla sua messa inscacco, decostruzione globale, all'avventura: non semplice gioco di parole se quest'ultimo termine, come credo risulterà, si applica ai testi più recenti di Lombardi, Cercando Beatrix, Chi è Beatrix, e oltre, proprio per le possibilità che essi lasciano aperte. La connessione fra il capo (Barcelona) e la coda provvisoria (Chi è Beatrix) non è gratuita. Cè un filo, non so se rosso o bianco, che va attraverso i sette libri di Lombardi: il personaggio (non trovando per ora qualifica meno convenzionale) Giovanni Zevi. Collante, perturbante? Che Zevi si depotenzi strada facendo appunto come motore del romanzo, fino a situarsi dentro il testo- in Chi è Beatrix- quale nome, non più che nome fagocitato dalle prime pagine, è caso mai, nell'economia narrativa di Lombardi, un segno d'importanza. Del resto ci si accorge che qui non hanno vigore gerarchie o préséances di personaggi. neppure di situazioni. Semmai, nel corso di questi libri si danno alternanze di gruppi di personaggi collegati a uno stesso riferimento di fondo: si potrebbe chiamarli «alberi romanzeschi». Il primo si coagula intorno a grand-père Columbus, a Ugo, a Giovanni bambino, alla Liguria ed è abbastanza chiaramente costituito da materiali autobiografici; attraverso personaggi di 'passaggio' come Berthus. Blasco, ecc., esso si unisce al secondo gruppo, quello di Artan, De Celestin. il Signor China, Aprico, Pom Durando, via via fino allo spolverio fantomatico e festoso di Colored Beauxyeux dc Cocotier, di Commodore Maffei, di Pliniùs Zampogna, di Basilicò Machiavelli. I due gruppi s'inscrivono grosso modo, giacché esistono zone di sovrapposizione, in una fase (romanzesca) di depressione e in una di eccitazione. Penso che, procedendo, l'idea si chiarirà meglio: comunque si possono attribuire alla prima fase Barcelona. L'occhio di Heinrich, La linea che si può vedere, li confine; all'altra, Cer• cando Beatrix, Chi è Beatrix, Villa con prato all'inglese, facendo un po' storia a sé. mente diverso da quanto imposto loro dal potere, la storia del proprio sfruttamento, della propria alienazione. della propria integrazione. Certo, come è stato detto, l'attuale crisi di valori sembra propizia per «ampie revisioni generali negli orientamenti della conoscenza», che implica anche il recupero del troppo negletto studio del rapporto tra storico e naturale. dell'incidenza tra rapporti sociali e tratti biologici permanenti (Caracciolo). Non è dunque privilegiando una o l'altra delle scienze sociali. ed escludendone pregiudizialmente altre (la psicoanalisi ad esempio) che potrà essere assicurato alla storia un nuovo corso. Né rinnegando a priori una politicizzazione (cioè un rapporto col presente) o comunque un giudizio nella illusionedi mostrare, di offrire un «di più» di sapere; e sempre senza interrogarsi sui propri interlocutori. il proprio pubblico. lo spazio in cui si opera. il significato «sociale» della propria attività di ricerca: «Non giudicare? Ma non è già uno strano presupposto quello di pensare la politica sotto la forma di giudizio. di opinione volta sopra il reale. quando L'occhidoi Beatrix B arcelona, primo libro di Lombardi, uscito da Feltrinelli nel '63, si presta talmente all'equivoco, anzi è stato letto a suo tempo da alcuni (fra cui mi colloco) in modo cosi chiaramente e irrimediabilmente equivoco, da far pensare che Lombardi, mistificatore la sua parte come è giusto per ogni buon scrittore, l'abbia collocato deliberatamente nel malinteso. Il contesto culturale entro cui appariva Barcelona era quello del nouveau roman, della «tecnica dell'occhio», dell'epifania o estasi materialistica autre: si vada a leggere la relazione di Renato Barilli al convegno di Palermo anno domini 1965 (dove peraltro si indicava anche l'altro corno teoretico, ossia il romanzo d'avventure). A quello stesso convegno, Lombardi mandava un suo messaggio o bouteille à la mer, circa la convivenza fra avanguardia e artigianato e lo «scrivere in modo preciso su fatti ancora imprecisi». Con la sua biografia accidentata, la sua esperienza di marinaio, poi di manovale di piazzale, poi di pubblicitario, i giri e le soste fra Londra Parigi Roma, egli poteva suggerire uno scarto, almeno come esperienze e materiali potenziali, alla linea critico-creativa del Gruppo '63 per il romanzo: i cui testi più coerenti e rappresentativi saranno difatti Tristano di Balestrini e Capriccio italiano di Sanguineti. Tant'è: Barcelona parve costituirsi secondo i reticoli fanatici del nouveau roman, la sua ostinazione oculare. Nelle prime due pagine, la ricorrenza della voce verbale «vedere» è cosi fitta che il lettore non può evitare di rilevarla. Essa assume volentieri la forma impersonale («si vedeva») che ha quest'effetto paradossale, ma non poi tanto, di rendere assolutamente cieco il racconto. Voglio dire che gli oggetti, le Giuliano Gramigna persone di Barcelona non sono veduti da uno sguardo attivo, da una freccia che partendo da un'occhio purchessia li infilzi. La vista si ripiega su se stessa, diventa un gesto passivo. La traiettoria è quella curva delle pulsioni, che bordano solo l'oggetto per tornare all'origine. Barcelona è un libro dove opera la pulsione scopica ma non si vedono le cose. Di qui quel suo effetto di qualche cosa d'amorfo, di spento. Si capisce che potesse lasciare imbarazzati e irritati, magari: in effetti il modello di lettura che sembrava più prossimo era in questo caso sbagliato. Ilettori in imbarazzo potrebbero oggi creare un'attenuante nel fatto che sono stati i libri successividi Lombardi a permettere di leggere correttamente anche Barcelona. È una scusante? In Barcelona Giovanni Zevi, come un eroe «politico» di Conrad, viaggia da Parigi a Barcellona per attentare (pare) alla vita del generale Felipe Acerro. Beninteso, ciò non è affatto sicuro né enunciato chiaramente; in ogni caso l'attentato, come fatto romanzesco, manca del tutto. Al centro diBarcelona c'è un vuoto. L'alcool, la malattia, il vomito, i gesti minimi, la meteorologia non lo riempiono, semplicemente ne fissano i contorni. T aie costruzione non è privilegio del primo romanzo. Ne La linea che si può vedere (Milano, FeltrineUi, 1967), l'esecuzione di un prete, padre Piero, forse delatore, da parte di un gruppo di partigiani, negli ultimi tempi della guerra in Liguria, sta al centro del racconto proprio per la sua mancanza, giacché il racconto si sospende prima di raccontarla (e semmai sarà data per avvenuta nel romanzo successivo, Il confine). Nel Il confine (Milano, Fentrinelli, 1971), l'evirazione di Berthus, coinvolto in un oscuro traffico d'armi nel Nord Africa, preparata all'inizio del libro e teoricamente eseguita nell'ultima pagina, viene in pratica rappresentata dalla sua sparizione, dagli elementi verbali che non la dicono. Uno dei sette racconti de L'occhio di Heinrich (Milano, Feltrinelli, 1965), «Una casa nei Kew Gardens», sembra portare al limite la tecnica del manque: esso narra qualche cosa o parecchie cose accadute ma per dir cosi volatilizzate e ormai di là da qualsiasi ipotesi narrativa: non ne resta che l'impronta, il calco vuoto, epperò aspramente eccitante, in questo che altrimenti non sarebbe che un <;sterno/interno inglese. Se i racconti de L'occhio di Heinrich legano fra loro, sarà perché danno l'impressione di rimandare tutti a un testo anteriore, che in linea di massima sarà da considerare ipotetico e del quale Barcelona costituiva solo un primo tentativo di trascrizione. Facendo agire in contesto i libri di Lombardi finv a li confine, quel vuoto o mancanza si qualifica ben altrimenti che come stratagemma letterario: è il segno della castrazione, il punto dove irrompe il suo fantasma. Se qualche cosa manca è perché qualche cosa è stata amputata. Tale ipotesi rende ragione di due momenti che articolano volentieri la narrazione di Lombardi: la degradazione del corpo (muchi, sudori, vomiti, macchie, corporalità penosa, ecc.) e l'incubo di una minaccia. Infatti l'angoscia di venire castrati può rovesciarsi di gesto autopunitivo, di violenza sul proprio corpo. Lombardi che, anche come uomo, ha salutari e ironiche diffidenze per le teorizzazioni, potrebbe anche arricciare il naso davanti a una lettura simile. Ne La ballatadello zio Lucas, che coniuga allegria verbale e aggressività. s'inconpuò essere che la politica si trovi dentro l'evidenza di questo reale? Il rifiuto di sottomet-tere il ricercatore alle costrizioni di un partito lascerà allora il campo ad una politicizzazione più efficace: l'accordo tra le evidenze dell'ecumenismo di sinistra e le certezze tranquille dell'accumulazione universitaria» (Collettivo di «Les Révoltes logiques»). tra uno spietato ritrattino dell'«assassino Lacàn». «Lacàn dalla mente grigia/ Lacàn servo e scudiero/ di bisbiglj ansiosi./ la mano gialla di nicotina. / la fronte sorretta/ da schemi contraddittori[ ... ]». Ma l'ironia può essere benissimo un'ultima forma di assenso (non meno della negazione. secondo insegna Freud). Non appoggerò troppo sul fatto che l'evirazione è al centro del romanzo li confine, che a sua volta, per molte e buone ragioni. risultà centrale alla produzione lombardiana: e che la vittima ne è Berthus. personaggioponte fra la prima e la seconda «famiglia» di personaggi. e di suo già mutilato a una mano. Infine, cacciata dalla finestra di un'ipotesi del profondo. la castrazione ricompare trionfalmente dalla porta della retorica, addirittura della grammatica: la figura della reti- ·cenza. frastica e di discorso narrativo, essendo la figura privilegiata di Lombardi. N e Il confine i portatori di nomistorie (chiarirò più avanti tale formula) Giovanni, Anna, China, ecc., s'incontrano nei bar, sproloquiano inmaniera insieme incontrollata e reticente, si drogano, bevono, hanno incubi, s'arrabattano intorno a ipotetici testi creativi; sono residui - d'innegabile corporalità accertata attraverso gesti minimi e coatti: toccarsi il naso, la gota, la fronte - di un ristagno della Storia. Ma questi cascami- o altri equivalenti, seppure con diversi nomi - eccoli diventare uno sciame d'insetti ronzanti e instancabile, una folla di «motori» della storia, sia pure con la minuscola, in quel trionfo dell'avventura rappresentato dai due ultimi libri, Cercando Beatrix (Milano, Rizzoli, 1976) e Chi è Beatrix (1979). Non ipotizzo certo un ribaltamento della narrativa di Lombardi. L'incapsulamento di storie differenti in un testo, con gliscarti, i rimandi, le eventuali cesure, è pratica già evidente in un libro come Il confine: dove, oltretutto, emerge una funzione particolare dei nomi propri, la funzione di «deviatori» del flusso narrativo, giacché è all'identità fonica, anzi più ancora che fonica, grafica, iconica che viene deferito il potere di istradare il racconto su un nuovo percorso, insomma di introdurre un altro frammento di racconto, volontieri aberrante: il nome di un personaggio, comparso magari in una battuta di dialogo, si duplica, si ripronuncia per avviare una nuova storia. Tale uso del nome proprio, tipico di Lombardi, si fa macroscopico nei due romanzi della serie Beatrix e non solo è uno dei caratteri qualificanti della più recente narrativa dell'autore ma definisce ciò che non si può intendere 4ui per recupero del «romanzo d'avventure». Se già il semema appare come un testo virtuale (rimando a ciò che precisa in più punti del suo recentissimo libro Lector in fabula Umberto Eco: «il significato di un termine contiene virtualmente tutti i suoi possibili sviluppi (o espansioni) testuali[ ...]»), tale qualità i testi lombardiani l'allargano ai nomi propri: è in essi, almeno in alcuni di essi, che si condensa una carica imponente di affabulazione, un'energia fantastica che, in una sorta ùi cortocircuito, scatena un'intera ,equenza di avventure; essi che sprigionano, per la collocazione nel testo, per il modo in cui il testo li pronunzia, 1·essenza stessa dell'avventuroso. Tali nomi sono, di per sé, dei mondi romanzeschi possibili. S embra contraddittorio con l'idea canonica del «romanzo d'avventure» enunciare che né in Cercando Beatrix né in Chi è Beatrix accade granché: nel primo appare un rimescolio di agenti segreti intorno a una operazione palestinese (forse) di cui Beatrix è il nome in codice, a meno che
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