competenza esiste come acquisita una data espressione standard. Qui sono in gioco i problemi sociolinguisticiche riguardano la differenza tra codice elaborato e codice ristretto. I puffi in un certo senso appartengono a una minoranza linguistica emarginata: parlano pidgin. Facciamo una ipotesi: che se io dico «nel puffo del cammin di nostra puffa» ogni puffo mi capisca, mentre se dico «puffo è il più crudele dei puffi - genera puffi dalla morta puffa - mescola puffi e desideri [...]», essi si trovino in imbarazzo. Se ciò fosse vero, significherebbe che i Puffi hanno introdotto nella loro enciclopedia culturale Dante, ma non Eliot, possono puffare su Dante ma non su Eliot. È questo il tipo di decisione che Gargamella non riesce a prendere. La regola d'uso del puffo che abbiamo ipotizzata non è solo una regola pragmatica, perché quando stabilisce che bisogna evitare l'ambiguità rinvia, per la definizione di ambiguità. a una semantica in forma di enciclopedia intertestuale: è non-ambiguo tutto ciò che si riferisce alla lingua già-parlata di cui tu hai conoscenza e ricordo. U !timo problema. Come è l'universo psicologicodei puffi, ovvero il loro universo percettivo? Essi dicono «portami un puffo» e, a seconda della circostanza. sanno se il parlante intende un uovo. un fungo. un badile. Dunque hanno una sola espressione («puffo») ma un sistema abbastanza ricco di contenuti, almeno tanto vasto e articolato quanto le esperienze consentite dal loro Umwell (quello che i segretari di sezione chiamano «territorio»). Potremmo addirittura supporre che in certi contesti essi dicano «portami un puffo» per chiedere un uovo. ma in altri contesti dicano l' «uovo di Puffa» per dire l'uovo di Pasqua. Quindi non è che non posseggano tutto il lessico della lingua-base. semplicemente decidono quando non usarlo, penagioni di economia. Tuttavia l'usare una sola parola per tante cose non li indurrà a vedere le cose. tutte. unite da una strana parentela? Se è puffo un uovo. un badile. un fungo. non vivranno in un mondo dove i legami tra badile. uovo e fungo sono molto più sfumati che non nel mondo nostro e di Gargamella? E se fosse così. questo conferirebbe ai puffi un contatto più profondo e ricco con la totalità delle cose. o li renderebbe inabili ad analizzare in modo 'corretto' la realtà. recintandoli nell'universo impreciso del loro villaggio senza storia? E in questo caso. la loro apparente felicità di eterni bambini non sarebbe pura mistificazione di Peyo? Forse che i puffi sono infelici? Sono tutte questioni che non mi sento di risolvere qui. Né chiedetemi di spiegare meglio i concetti tecnici con cui ho cercato di analizzare la lingua (o il linguaggio) dei puffi. Se foste dei buoni puffi non avreste bisogno di altre precisazioni. e puffereste per conto vostro. Ma era solo per dire che la saga dei puffi è abbastanza rivelativa. andrebbe insegnata e discussa a scuola (anche all'università). ed è degna di ampie meditazioni. Non è solo un gioco. e se lo è. è un gioco linguistico: una cosa molto. ma molto schtroumpf. Saperestorii9e famiglia Joan W. Scotte Louise A. Tilly «Lavoro femminile e famiglianell'Europa del XIX secolo» in: La famiglia neUa storia a cura di C. E. Rosenberg Torino, Einaudi, 1979 pp. 185-227, lire 7.000 Maria V. Ballestrero - Renato Levrero Genocidio perfetto, industrializzazione e forza-lavoro nel lecchese 1840· 1870 Milano, Feltrinelli, 1979 pp. 177, lire 3.000 Franco Ramella «Famiglia, terra, salario in una comunità tessile dell'800» in: Movimento Operaio e Socialista n. 1 (1977) Marina Cattaruzza La formazione del proletariato urbano: immigrati, operai di mestiere, donne a Trieste dalla metà del secolo XIX alla prima guerra mondiale Torino, Musolini, 1979 pp. 176, lire 3.800 Agopik Manoukian «Famiglia» in: U mondo contemporaneo. Storia d'Italia a cura di F. Levi, U. Levra, N. Tranfaglia Firenze, La Nuova Italia, 1978 pp. 1300, lire 60.000 (3 volumi) E ' abbastanza frequente oggi, fra gli storici, sentire parlare di crisi del sapere storico o, addirittura, di crisi della ragione e razionalità storica. Questa crisi, i cui legami con la Crisi più generale è inutile sottolineare. o comunque questo smarrimento di senso, di identità ideologica, di collocazione culturale, si è perlopiù manifestata in un multiforme e frammentato dibattito che ha avuto al centro la categoria di «storia sociale» e, più in generale, i legami che intercorrono (e possono e devono intercorrere) tra la storia e le·scienze sociali. Sullo sfondo il problema (irresolubile?) del rapporto tra passato e presente, tra ricerc.1 (scientifica) e politica. sul nesso sapere/trasformazione. Un dato appare comune: il rifiuto nello storico di un orientamento ideologico precostituito; ma tale unanirnit!t, come tutte. appare sospetta. La più generale crisi di fiducia nella razionalità e nel processo storico e quella, più vicina e dibattuta. di crisi del marxismo, si sono coniugate negli storici con la consapevolezza della difficoltà di costringere in una visione globale un mondo che ,i è evoluto per diversità. frammentazione. sopravvivenza dell'antico. diffusione e disseminazione contraddittoria di nuovi poteri. nuovi comportamenti. nuove realtà sociali ed economiche. Crisi del sapere storico quindi, come fine della sua illusione di essere autoconsapevolezza; crisi, in sostanza. - e definitiva - dello storicismo liberale e marxista. Il rischio è quello, adesso, di fare dello storicismo sull'attività degli storici e di leggere la loro crisi come nuova ricerca (attraverso la critica all'inadeguatezza delle vecchie categorie analitiche) di una più fondata autoconsapevolezza. Più semplicemente qualcuno ha suggerito che siano entrate in crisi le forme della tr~smissione storica, i linguaggi, e solo dentro di essi sia possibile quindi la costruzione di nuove categorie. Sarebbe impossibile ripercorrere le tappe della recente fortuna che la storia sociale ha trovato negli storici: bisognerebbe per l'appunto fare la storia di una categoria (o corporazione) di intellettuali, dei suoi rapporti col potere e con la politica, dei suoi legami con la cultura dominante, della influenza della cultura storica straniera, del peso e del potere che le diverse scienze sociali hanno acquistato sempre più nei confronti degli storici. La tentazione, per gli storici, di compiere una verifica nel passato degli assunti e dei modelli delle scienze sociali, si fa sempre più forte: la sociologia e l'antropologia rappresentano ormai spesso la cornice di riferimento in cui calare i reperti archivistici, le fonti e i documenti sempre più puntuali, sofisticati, diversificati; la serializzazione, la quantificazione. la statistica. il computer. sono a volte una tentazione irre,istihile per cercare di riciclarsi «scientificamente», per togliersi di dosso l'ormai insopportabile odore di umanisti. Appare oggi inevitabile - e forse anche salutare - la difficoltàdi tracciare dei netti confini tra la storia (specie contemporanea) e le scienze sociali, come pure è ineluttabile (ma forse meno proficuo) cercare di rifondare lo statuto scientifico della storia dopo il declino - inarrestabile ma pur sempre presente - delle ipotesi storicistiche nelle sue varie forme. Il vuoto teorico che accompagna la storia facilita la «intrusione» di suggerimenti, ipotesi, modelli mutuati dalla sociologia e dall'antropologia (in misura minore dalle altre scienze sociali). Ma oltre al vuoto teorico c'è, più concretamente, il vuoto di 'oggetti' che la ricerca storica ha scientemente accantonato, taciuto, nascosto, e che è proprio l'intrusione delle scienze sociali a far tornare a galla, conferendo loro una legittimità che i più incalliti storicisti stentano ancora a digerire. Storia sociale, storia orale, storia locale, microstoria e macrostoria, sono i termini spesso nebulosi attorno a cui il dibattito «teorico» degli storici va faticosamente avanti. Questo dibattito, in Italia, ha trovato negli studi sul movimento operaio il terreno più fecondo, il luogo di maggiore ricezione delle più ampie tematiche proposte dalle scienze sociali, il terreno di incontro con una tradizionalmente più agguerrita cultura storica straniera. Il rifiuto di una storia meramente politica e istituzionale del movimento operaio, di una storia dei gruppi dirigenti, dei congressi, delle strategie politiche e dei dibattiti teorici, era stato vissuto, fin dai primi anni Sessanta, con una lettura diversa di quegli stessi avvenimenti, contrapponendo alla storia delle organizzazioni del movimento operaio la ricostruzione delle sue vicende in quanto classe in sé che si fa classe per sé non nel partito ma nella lotta, e in quella di fabbrica soprattutto. Le dicotomie strategia rivoluzionaria/strategia riformista e spontaneità/organizzazione erano il frutto di diverse opzioni politico-cuiturali che avevano alla base la comune 'distanza' dall'ortodossia del movimento operaio ufficiale. La critica aspra che veniva rivolta agli storici «ufficiali», di legittimare con la loro ricerca un.osviluppo naturale e positivo della storia del movimento operaio fino a condividerne le scelte presenti delle organizzazioni storiche, era spesso la ricerca di una diversa legittimazione: o quella del filo rosso delle esperienze minoritarie e delle forze di opposizione; o quella della classe comunque rivoluzionaria e in marcia verso la soppressione dell'ordine capitalistico nonostante la presenza e l'egemonia politico-istituzionale delle organizzazioni storiche e riformiste. Oggi questo rifiuto di una legittimazione del passato da parte della ricerca storica è andata più in là: iniziando a coinvolgere le stesse opzioni minoritariedi legittimazione e men endo in crisi il postulato della centralità della fabbrica e del terreno della produzione come luogo esclusivo e privilegiato di formazione della coscienza di classe e del conflitto sociale. Di qui dunque l'interesse per la vita materiale, le abitudini, la mentalità, i costumi, i consumi, gli atteggiamenti quotidiani delle classi subalterne; l'interesse per la famiglia, la salute, l'educazione, le forme ideologiche indotte e le resistenze della classe operaia a farsi «socializzare» dal capitale. Di qui l'interrogare e lo scoprire cose nuove: fatti, persone, istituzioni, pensieri, modi di vita finora condannati alla dimenticanza perché considerati privi di spessore storico. La ricerca delle relazioni, dalle più semplici alle più complesse, tra individui, gruppi, classi, istituzioni, mentalità e cultura, sia sul breve periodo e su scala locale che in tentativi maggiormente sintetici, è dunque adesso la strada maestra che sembra percorrere la più giovane- e anche meno- storiografia di sinistra decisa a rompere col proprio passato o a rinnovarlo. Questa tendenza della storia sociale sembra coincidere, per l'età contemporanea, con la storia del movimento operaio, soprattutto della fase del suo formarsi come proletariato, del periodo della/ delle industrializzazioni. E proprio in questo tipo di storia le difficoltà prima segnalate acquistano un rilievo ancora maggiore. - Non si tratta solo di una contrapposizione - che spesso può assumere i toni aspri di una frontale opposizione « teorica» - tra microstoria/macrostoria, parte/tutto, generale/particolare, centro/periferia; ma tra chi continua a utilizzare categorie marxiste e chi no, tra chi parla ancora di «situazioni storicamente determinate» e chi privilegia l'unità antropologica colta nei diversi momenti del percorso storico, tra chi si apparenta piuttosto con una scienza sociale che con un'altra, tra chi sceglie determinati progetti aggregativi di analisi e di ricerca e chi no. È insomma il problema, ancora una volta, di un possibile statuto scientifico della storia, delle motivazioni dei diversi osservatori e punti di vista, della tendenza - sempre ricorrente - a proporre una visione integralista della storia attorno alla visuale prescelta, dell'ambizione/illusione alla storia totale. La famiglia: alcune analisi Non credo si possano dare risposte, oggi, a questi interrogativi: pur se non si può che sottolineare l'importanza di un tale dibattito (spesso nebuloso e astratto e che probabilmente è destinato a rimanere tale) come stimolo e verifica della ricerca e come momento reale e attuale di confronto tra la storia e le altre discipline. È forse però possibile, esaminando alcuni contributi
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