Carlo Maria Curci - Sette libere parole di un italiano sulla Italia

32 LA CONFEDERAZIONE ITALIANA ai suoi trionfi, quella vuoi rapirle nel suo Pontefice. 1\fa dove le nostre colpe ci mer itassero dalla Provvidenza così tremendo gasligo, non fia che ci manchi spirito, almeno per esecrare l'infame attentato di un pugno di scellerati che senza coscienza, senza pudor, senza fede, tentano di togliere alla Italia invilita il suo sovrano privilegio, e di annulare l'opera stupenda di dieci secoli e mezzo; macchinano di orbare la cattolicità della nuova sua Sionne ; chè patria nostra spirituale fin qui è stata Roma; e si struggono d'immolare ad un delit·io patriottico fot·se l'unico ed ullimo presidio tra gli umani che restava alla Chiesa, per ripigliare l ' infernale tripudio del passato secolo per crede"rla spenta. Se Iddio voglia, come g·ià altra volla, rompere in bocca agl'iniqui il beffardo riso che già vi spunta, noi non sappiamo. Questo sappiamo nondimeno che tr·a i due estremi o il principato temporale del Papa da una parte, o le catacombe e le sea·vilità avie·nonesi dali' altra, noi non conosciamo mezzo. Ma se la cattolicità tuua quanta, se la Ilalia cattolica è cimentata a cosi tremendo bivio, ne ha tutta la obbligazione a quest'orda di for·sennati rigeneralori, che con una prodigiosa ipocrisia stan compiendo l'opera meditata nel secolo quindecimo dal Turco , sospirata nel sestodecimo fra i furiosi e convulsi suoi trasporti dal frate eresiarca di Vittemberga, e fallita alla setta fi losofica del decimottavo. Che giova illudersi? La precipua missione della

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