Filippo Turati - Il delitto e la questione sociale

- 87 - Lasciato a questa leggè libero il campo, 'è naturale che essa, agendo gradualmente in una atmosfera prevalentemente civile, non consentirebbe vivere e metter germogli se non ai ceppi umani meglio compatibili con la civiltà ambiente, e cancellerebbe per atrofia e per isterilimento la stria delinquente dalla pelle sempre mutante dell'umanità. li fatto e l'intervento dello Stato, cosi poderosamente battuto in breccia da Proudhon e dagli anarchisti, sembra dunque, co' suoi ordinamenti antiegualitari, esercitare anche nell' ordine criminale. un'influenza fondamentalmente, non già aiutatrice, ma piuttosto perturbatrice della spontanea e provvida evoluzione sociale. Tanto ciò è vero che lo Stato stesso lo confessa, con quella ingenua e sicura veridicità che si annida nelle necessità dei fatti organici spregiudicatamente osservati. Lo confessa co' suoi tribunali e colle sue carceri, e coi patiboli e con le torture, e con tutto l' arsenale delle sue ferocie, che .dovettero in certe epoche e regioni tanto più inasprirsi quanto più tirannide di despoti e di oligarchie immiserì le condizioni della gran massa informe, onde pullula, come da suolo corrotto, il fungo maligno del delitto. Si venne a considerare la gran massa umana, costituita naturalmente in società pel maggior bene di tutti, come qualcosa di naturalmente antisociale, che si dovesse sostenere suo malgraao in equa convivenza con perpetue minaccie e smisurati dolori ; si parificò la società a un gran riformatorio di discoli, dove pochi Biblioteca Gino B,anco

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