Carlo Gide - Della abolizione del profitto

20 zione di fare come tutti gli altri, di viv-ere, cioè, solamente della rendita del suo lavoro e de' suoi capitali. Non esistono forse società industriali che vivono senza distribuire dividendi ·e che possono purtuttavia durare indefinitivamente? Ora una società che vive e produce senza distribuire dei dividendi, è esattamente la stessa cosa che un padrone che vive e produce senza realizzare profitti. E le perdite, mi dicono gli uomini d'affare, voi le contate per nulla? No, non le dimentico; ne ho di già parlato a proposito dell'assicurazione, ma rispondo: r0 che l'assicurazione contro le eventuali perdite è compresa nelle spese di produzione, se la -contabilità è ben fatta; 2° che d'altronde, sotto il regime ipotetico d'equilibrio assoluto fra la produzione ed il consumo le perdite non esisterebbero; esse sparirebbero allo stesso modo che sulla superficie liquida assolutamente orizzontale, spariscono nello stesso tempo te depressioni e le onde. § 3. - Conseguenze eventuali della abolizione del profitto. Ma, tuttavia, non• sii deve temere che sotto l'uno o l'altro di questi due regimi l'eliminazirone del profitto e la riduzione di tutti i prezzi al livdlo del costo di produzione - vale a dire in somma la soppressione di tutte le probabil,ità per far fortuna e, dicciamo pure anche <li quelle di rovinarsi - abbiano per risultato di raffreddare singolarmente lo spirito d' iniziativa e quindi di arrestar•e il progresso, e che il mondo economico, rkondotto a questo livello orizzontale e monotono, a questa superficie stagnant·e ,e piatta alla quale noi ,l'abbiamo comparato ,diventi, poco attraente per gli spiriti d' avventura, per tutti quelli, e sono i più arditi, che amano spiegare la lo,ro vela al vento e sentirsi sbattuti dal flusso e dal riflusso? « Vi è nelle eose

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