violenta al trionfante idealismo e all'intera filosofia post-kantiana e la riaffermazione della validità del sensismo e dello sperimentalismo. Sarà infine nel proemio all'Archivio triennale delle cose d'Italia, in quelle ultime memorabili righe, addirittura una messa in discussione dell'intero asset to politico istituzionale d'Europa, in quanto fondato o da fondarsi sul concetto di nazione entità-autosufficiente: in ognuno degli esempi addotti cambiano gli argomenti di indagine, ma l'atteggiamento spirituale resta sostanzialmente identico. È una critica spietata, condotta per e in nome della ragione, ai « miti del tempo >>. Essa è a volte semplicemente distrut tiva, e allora si riassume in un appello continuo a stare ben fermi alle cose quali esse sono, a non volerle imbacuccare con la violenza in un principio precostituito; più spesso ricostruttiva, allorquando, proprio partendo dalla « realtà quale essa è » si opera una apertura, talvolta geniale, verso il futuro. È chiaro peraltro che le due cose sono indissolubilmente connesse, l'una scaturendo dall'altra sul terreno comune di una violentissima vocazione critica, di un'ansia perenne di verifica. Una presenza dunque, in un caso e nell 'altro, antagonista alla cultura romantica contemporanea e perciò necessariamente solitaria. Non stupisce quindi che la definizione ufficiale del pensiero cattaneano sia << positivismo >> . Tale è per il suo maggior studioso, il Levi, tale per il Sapegno, tale, sia pure con qualche riserva, per il Salvatorelli. A giustificarla concorre non solo un tale procedere critico, così sospettoso di qualsiasi generalizzazione che non sia più che suffragata dai fatti, fieramente avverso a ogni « metafisica » o « istoriografìa >>, bensì la stessa visione cattaneana della civiltà umana, del suo percorso storico e dei suoi destini ultimi, intesi come una faticosa ascesa della ragione. attraverso la selva degli errori e delle superstizioni, verso un destino di progresso che già la rivoluzione scientifica del secolo fa prevedere vicino. 14
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