Via Consolare - anno II - n. 4 - aprile 1941

di vi/a nuova, sapida come dell'aroma dei banchi di olighe verdi. A/fa Palria e a/l'affermazior.e del/a Palri,1 tornò sempre e si ofiersc cot1 dedizione di figlio la vita del Poeta: e la scia di spunu del Mìi.1 lii retta "a gloria e a morie, a 11n p1111toe all'infinito" o le righe d'azzurro fraccia!e dal velivolo nei cieli impressero la gloria dell'Uomo e de/fa Stirpe non meno dei segni tracciati sui cartigli dalla su.'l calligrafia larga, volitiva e sicura. E cos.t - fuori di ogni notomia critica - si delinea 11e//a sua luce l'hiaro e nitido il profilo del Poeta e Comandante. E, se per ogni uomo si vuol trovare un atteggiamento, un momento che lo fermi e TEATRO lo fissi come nel blocco del marmo statuario, G. D'Annunzio rivive i1111anzi a noi mentre pronunzia il discorso di Quarto, quasi corifeo del coro millenario della stirpe italia11a. E il coro - 11ellasua cadenza tripartita - celi:bra e co11sacraper l'eternità: il Mare, l'Arte e la Gloria d'Italia. Per l'eternità: là, sullo scoglio pietroso di Quarto, dove forza di onde pare voglio morte/fare e scavare nella rude compattezza della roccia il destino marinaro della stirpe. dove potenza di natura ha voluco solidificare come nel peso della pietra :1 diritto al dominio del Mare Nostrum. GIUSEPPE SA!l'TANIELLO ti mimici, dalle voci, da notazioni umoristiche nei costumi, nelle scene. nei movimenti di masse. A un certo punto anzi il valore dello spettacolo era 11sstratto dalla battuta e concentrato in altri valori, per esempio, quelli mimici. Il finale della " pentolina n è stato compiuto mimicamente. 1Le" rane » avevano dei veri e propri intermezzi a balletto. DELLAPENTOLINA Come si vede. le esigenze a cui questi spettacoli volevano rispondere sono piuttosto comprensive e se c'è da notare tutta l'impostazione intellettualistica, bisogna però riconoscere che essa non vuole restare fine a sè stessa e che cerca delle soluzioni teatrali su un piano fantastico e perciò poetico. lnfìne essi rappresentano una corrente, non nuovissima ma comunque egualmente sentita, quella che attraverso la messa in evidenza di puri elementi spettacolistici, vuole arrivare alla ve.a teatralizzazione del teatro. Di questi tempi, in cui la " messa in scena » coic1e affermazione autonoma, indipendente dal testo, comincia a farsi strada anche in Italia, simili spettacoli prescindendo da quello che in essi è stato realizzato o meno, acquistano un incon fondibile significato polemico al quale appunto bisogna ricollegarli per poterne riconoscere l'innegabile importanza. Si tratta in sostanza di vincere una battaglia contro il capocomicato, il giggionismo, la recitazione filorammatica. i luoghi comuni della messa in scena borghese, il matadorino e tanti altri fenomeni che ancora prosperano allegramente nel tempio di Dionisio. Attraverso la affermazione della personalità del regista noi vediamo la possibilità di ovviare a questi mali, proponendo una soluzione che non è certo un lampo di avanguardismo ma è la semplice constatazione del fatto che in tutti i paesi europei essa è stata accettata come un momento necessario nella storia dell'evoluzione dello spettacolo teatrale. DELLERANEEDI ALTRECOSE Il Teatro dell'Università di Roma ha ospitato quest'anno, a breve distanza l'uno dall'altro, due spettacoli che pe~ il loro carattere di novità e di audacia, permettcno alcune considerazioni su certe tendenze che sembrano voler affiorare con una certa insistenza e che sembra siano accettate da alcuni registi italiani. A prescindere da ogni valutazione dell'uno o dell'altro spettacolo, diremo soltanto che le « Rane n, per la regìa di Enrico Fulchignoni, hanno avuto un mo!'dente che alla « Pentolina n è forse mancato anche e sopraflutto per una considerazione pratica di immaturità evidente èegli attori, e che con tutto ciò la regìa di Turi Va ile come originalità di invenzioni, come intelligenza di ritmo, come misura di dialogo ha da essere considerata su un piano di vera regia, · a presci:idere dunque da ogni valutazione, queste realizzazioni moderne di due opere-classiche offrono lo spunt'l per un breve discorso che le riguarda ambedue. In ambedue infatti il ca- .attere di rievocazione classica come impostazione generale di spettacolo è stata sacrificata ad esigenze pratiche cui si innestano interessi di regia. Di fatto il valore poetico del testo viene completamente trascurato nella traduzione. che si vale cii modi di dire dialettali e di intonaiioni anch'esse vernacole. La poeticità non è più oggettivata nella hattuta ma questa si pone come mezzo di valore alfosivo ne! senso che fonda la propria giustifìcazione nella cultura letteraria dello spettatore. I movimenti dell'azione, in parole povere, non esistono se non in una precedente concessione dello spettatore stesso scaltrito da una minima cultu;-a classica. Il passo più audace, ?. nostro parere, è stato compiuto nella individuazio-- ne dei personaggi. Partendo da una considerazione di storicità dei persoFondazioneRuffilli- Forlì Pag. 18 naggi aristofaneschi e plautini, vale a dire dal fatto che essi sebbene vogliano assurgere ad universalità eterna come caratterizzazione scenica, sono stati concepiti in una determinata società storica quella amica g,eco-romana e avendo riflettuto che, esclusa l'ipotesi della rievocazione classica, questa non presentava, per la medesima esclusione, nessun interesse, si è pensato di tradurre psicologicamente i tipi di quella società in tipi della società attuale, onde creare una più incisiva vivacità allo spettacolo per l'accresciuto valore di riferimento. Così, nella " pentolina » l'acre sorella di Manobucata è stata tradotta in una bisbetica e legnosa zitella americana, così, nelle « rane " Eschilo ed Euripide sono stati identificati rispettivamente in Carducci e F. T. Marinetti. Ma la contaminatio non si è fermata qui. Oltre alla già accennata riduzione spregiudicata in dialetto, essa affiorava da particolari atteggiamen- GIUSEPPE ANTONEIJLI "L,. ientolina" di Plm1.to - Teatro del Guf. - Marcelln Govoni e Pietro Bertini in unn sce,w del J)rimo ntto

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