Una città - anno V - n. 41 - maggio 1995

di società B QUEI PRIVILEGI MORTIFICANTI straordinario il sabato e la domenica ... A Roma proprio non se ne ha un'idea, perché il termine di paragone sono altri pezzi del pubblico impiego molto privilegiati: per esempio la Camera, dove dopo 6 mesi un operaio prende4 milioni al mese, stipendio che non prende un dirigente capitolino, per capirsi. Il termine di confronto quindi è con chi gode di ancora maggiori privilegi, di ancora maggiori convenienze. Del resto, questo è un problema di tutta la città, che ha campato sempre di spesa pubblica. Una città in cui anche i soggetti economici e produttivi (cooperative, costruttori, aziende informati che) han no fino ad ora campato unicamente di appalti e commesse da parte del pubblico e dove davvero non si riesce a prendere atto del l'esaurimento di un certo modello di gestione della cosa pubblica. La situazione di privilegio di cui godono i dipendenti comunali di Roma, fattore non solo di risentimenti violenti negli utenti ma di dequalificazione e alienazione dei lavoratori stessi. Un operaio della Camera che prende di più di un dirigente capitolino. La totale mancanza di discrezionalità del dirigente e amministratore: chi è più bravo non può passare avanti. Intervista a Fiorella Farinelli. Fiorella Farinelli è stata assessore al Personale del Comune di Roma, ora ha la delega ai servizi educativi e alle politiche giovanili. Ci parla dell'incarico che ha ricoperto nella giunta Rutelli? Attualmente, come assessore presso l'amministrazione comunale romana, ho la delega ai servizi educativi, scolastici e formativi, e al coordinamento delle politiche giovanili, ma in precedenza, per 14-15 mesi, mi sono occupata a tempo pieno anche della politica del personale e della qualità dei servizi, seguendo peraltro la strada della nuova normativa "Cassese" relati-· va alla modernizzazione del lavoro nel pubblico impiego. Una prima parte del mio lavoro è stata dedicata a far rientrare il lavoro nelle regole, perché, storicamente, la situazione del pubblico impiego a Roma, dove il Comune ha 30.000 dipendenti, è stata connotata da una gestione di tipo paternalistico e consociativo, a cui non si è sottratto nessuno, né di destra né di sinistra. Questa gestione è sostanzialmente consistita nel regalare possibilità di sottrarsi al lavoro attraverso riduzioni esplicite o implicite di orario, l'assoluta mancanza di controllo della qualità del lavoro, I' accettazione di tutti gli "inguattamenti" gpssibili del personale in luoghi dove, per l'appunto, non si lavora o dove il lavoro non è socialmente controllato. Tutto questo, praticamente, ha significato occuparsi di problemi che in altri luoghi del mondo del lavoro sono larghissimamente superati ed ha comportato, fra le altre cose, l'abolizione di un collegio medico interno che dichiarava molto allegramente l'inidoneità di centinaia di lavoratori ai loro compiti d'istituto con risultati anche grotteschi: bidelli dichiarati inidonei all'ambiente scolastico oppure non in grado di avere contatto con l'acqua e i detersivi. lo straordinario a go-go era incontrollabile Sono state centinaia le persone rimandate alle Usi, che, per un buon terzo, ne hanno riconosciuto l'idoneità alle mansioni e che quindi stiamo rimandando al lavoro. Mi sono anche occupata, ahimè, di rimettere in funzione un consiglio di disciplina che da tre anni non funzionava più e quindi aveva centinaia di pratiche inevase, con persone che erano già state condannate nei tre gradi della giustizia ordinaria per reati che hanno a che fare con l'amministrazione, quali corruzione e concussione, e che invece continuavano tranquillamente a lavorare, perché l'amministrazione non si era minimamente preoccupata di sospenderli o di licenziarli. E' poi stato necessario rimettere ordine nel l'assenteismo, in alcuni luoghi superiore al 20-22%, quando tutti sanno che anche nel1' industria tessile, che è piena di donne, il tasso fisiologico è del 78%, non di più. Un altro aspetto macroscopico della gestione del personale fino a quel momento attuata, era l'uso a go-go dello straordinario, incontrollato e incontrollabile. Nel Comune di Roma ci sono ancora due ore di permesso al mese per tutti i lavoratori per cambiare l'assegno in banca, dieci giorni di congedo per chi fa le nozze d'argento, o, ancora, mentre per tutti gli altri dipendenti degli Enti Locali c'è un ·solo santo patrono, per i romani ce .ne sono due: uno è il 21 aprile e ·l'altro è San Pietro e Paolo ... Queste sono cosette, però moltiplicate per 30.000 persone costituiscono una massa di questioni. Per esempio e' è stato anche bisogno di eliminare la possibilità per i dipendenti di entrare ogni giorno 15 minuti più tardi e uscire 15 minuti prima, possibilità che era universalmente usata e che corrisponde a 13 ore di lavoro in meno al mese, regolarmente retribuite. Si è introdotta la flessibilità, come si usa in ogni settore del lavoro civile, per cui se uno arriva in ritardo ovviamente recupera. E poi, ancora, il problema delle ferie per le educatrici degli asili nido e delle scuole materne: in questo settore, come è noto, ci sono diversi mesi di sospensione delle attività e le ferie vanno prese durante questi mesi di sospensione, non durante i mesi di lavoro ... E riguardo all'orario di lavoro come siete intervenuti? Questa degli orari è una dolorosa vicenda. La situazione che ho trovato era quella di un orario schiacciato rigidamente nella fascia antimeridiana, con pomeriggi total mente scoperti, oppure coperti con montagne di straordinario. Roma è stato il primo Comune a mettere in atto un accordo pilota sugli orari attraverso il quale, incentivando un po' il personale dal punto di vista economico, si riesce a tenere aperti al pubblico gli uffici per 5 giorni la settimana dalle 8,30 alle 16,30, mantenendo in funzione alcuni servizi considerati essenziali, come l'Ufficio Anagrafe, il sabato mattina dalle 8,30 alle I 1,30. Devo dire che questo accordo, che riguarda al momento I 1.000 dei 30.000 dipendenti, cioè i lavoratori degli uffici, è stato assai sudato e prima di realizzarlo ci ho lavorato attorno per 5-6 mesi, scontrandomi con una conflittualità notevole, perché si eliminava la possibilità di non lavorare mezz'ora al giorno, si introduceva la flessibilità e si limitava lo straordinario, non autorizzandolo prima delle 17. Poi, in verità, ha avuto un grande successo, perché la consultazione referendaria sull'accordo, fatta dalle organizzazioni sindacali, ha visto il 66% dei consensi e un buon 70% di ff CorrdaeRi irparmdiFi orlì s.p.A. 1111■ 1• ;:;;)_ o • ~ dP. O a 10 annt da 11 a 19 anni Per loroil migliorfuturopossibile - 4 UNA CITTA' personale che si è schierato sui nuovi orari. Questo risultato è stato certamente favorito anche dal fatto che l'accordo contiene un'incentivazione economica non irrilevante: ai lavoratori viene dato un buono pasto, più un tot al giorno di indennità di articolazione oraria. La grande conflittualità derivava invece dal fatto che l'uso dello straordinario significava per molti arrivare anche a 70-80 ore in più al mese, cioè 900.000-1.000.000 in più in busta paga. l'ordine del giorno che vara la "proroga" Questo succedeva in particolare fra i lavoratori impiegati nei ruoli di supporto agli organi politici, mentre nelle circoscrizioni gli impiegati che stanno in un servizio a contatto col pubblico non facevano più di 3-4 ore di straordinario al mese. Evidentemente questi ultimi sono stati favorevoli all'accordo, mentre i primi, perdendo dei privilegi, hanno reagito pesantemente. E' stato tutto molto difficile: nel nostro paese chi tocca il pubblico impiego, muore. Non ci sono stati scioperi, ma ci sono stati i fax che arrivavano dalle lavoratrici che, pur scegliendo l'orario nuovo perché conveniva, nello stesso tempo mi accusavano di devastare la loro vita, di massacrare la famiglia. Quando sono arrivata al Comune di Roma, dopo aver fatto la sindacalista per 20 anni, ho avuto l'impressione che per i di pendenti capitolini la notte cominciasse alle 14,00; evidentemente per loro era inconcepibile lavorare tre giorni alla settimana fino alle 16,30, perché di questo si tratta ... Eppure è stato necessario puntualizzare che, comunque, si può cominciare a considerare un orario disagiato quel Ioche va oltre le 18,00 pomeridiane, mentre le 16,30, come loro ben sanno andando nei negozi, va considerato un orario normale. E comunque proprio normale non è stato considerato, tant'è che I' articolazione oraria viene pagata con una discreta incentivazione. Ritengo che questo aspetto sia particolarmente forte in una città come Roma, in cui il lavoro è essenzialmente quello del pubblico impiego e del commercio e non c'è proprio la conoscenza del mondo del lavoro produttivo e dei suoi problemi, dove si sta discutendo se fare lo Quindi, al di là del problema dei dipendenti pubblici capitolini, il problema è quello di Roma in generale? Roma è una città in cui basta che il Comune dia 500 nuove licenze di taxi, cioè altri 500 posti di lavoro in una città dove in certe ore del giorno i taxi non si trovano, per provocare la ribellione dei tassisti e l'invasione del Campidoglio per4 giorni; in cui basta che si decida, finalmente, che gli impianti di riscaldamento del Campidoglio non devono essere più a carbone e li si trasforma in impianti a gas, che c'è l'invasione del Consiglio Comunale da parte dei venditori di carbone, che arrivano mascherati da "Quarto Stato", con le donne e i figli a spiegare che il sindaco Rutelli li affama. Questa è la realtà. Se si fanno delle gare di appalto normali, superando il vecchio sistema delle proroghe -cosa che, ad esempio, ho fatto con gli appalti di pulizia, arrivando ad un risparmio mensile di 550 milioni- poi si va avanti per due mesi e mezzo con un attacco sfrenato da parte delle imCOMPETERE INSIEME La divisione in parti uguali che non corrisponde più ai bisogni differenziati. L'inefficienza che colpisce sempre i più deboli. La falsa idea che il motore di una società sia nel profitto e non nella competizione. Il pluralismo assicurato, da cooperative e società no-profit, al mercato. lptervista a Stefano Zamagni. Stefano Zamagni è preside della facoltà di economia dell'università di Bologna e membro dell'Accademia pontificia delle Scienze. Come si può costruire una nuova forma di Stato Sociale che tenga presente la difficoltà di coniugare il principio di eguaglianza con la realtà della difformità dei bisogni, due cose, cioè, che sembrano andare in direzioni opposte? La ragione fondamentale per cui il modello statalista di Stato Sociale è entrato in crisi non è di natura fiscale, la crisi fiscale è un fatto rilevante, ma è l'effetto, non la causa; la causa è rappresentata dalla circostanza che il modello tradizionale di Stato Sociale andava bene per una società in cui i bisogni sono più o meno omogenei ed è questo il caso che si verifica nelle prime fasi di sviluppo economico-sociale di un paese: i bisogni sono più o meno quelli fondamentali: l'alimentazione, la casa, il vestiario, le medicine di base. Ma con l'andar del tempo in Italia, come in altri paesi, siamo usciti dalla categoria dei paesi a basso sviluppo e siamo entrati nell'area dei paesi opulenti. Quello che doveva essere chiaro ai nostri governanti, e purtroppo non lo è stato anche per carenze culturali, è che, quando un paese supera la soglia della sussistenza, i bisogni tendono a differenziarsi. Ecco allora che pretendere di soddisfare alla stessa maniera bisogni, o meglio persone portatrici di bisogni diversi, provoca quello che è sotto gli occhi di tutti: la crisi fiscale da un lato e il malcontento dall'altro. li paradosso del nostro sistema di welfare è proprio questo: non solo produce debito, ma rende la gente anche scontenta. Ecco perché oggi si devono ripensare alla radice le nuove forme dello Stato Sociale. li problema è che dobbiamo partire dal concetto che oggi l'eguaglianza non può essere declinata alla vecchia maniera, cioè dare a tutti più o meno lo stesso reddito, la stessa ricchezza; questo ha senso agli inizi del processo di sviluppo, quando i bisogni sono più o meno uguali. Se i bisogni sono diversi, invece, anche se noi uguagliassimo non arriveremmo ad una vera ed autentica eguaglianza intesa come Iibertà di realizzazione della persona. Se io sono portatore di handicap, posso anche avere le tue stesse risorse, il tuo stesso reddito, ma da quel reddito io, portatore di handicap, non sono in grado di trarre vantaggi e utilità come un altro. Quindi, non basta eguagliare. Bisogna invece tendere ad eguagliare le opportunità, non necessariamente le ricchezze. Il livellamento di tipo ragionieristico -dividiamo la somma di I00 per il numero dei soggetti- è un vecchio modo di concepire le politiche egualitarie che poteva essere giustificato in Marx e negli autori marxisti della prima generazione perché a quell'epoca le condizioni di vita erano quelle, ma oggi non è più così. Il modello che io mi sento di incoraggiare è il modello "societario" di Stato Sociale, in cui il termine societario si oppone al termine statalista, mentre non ritengo che il modello liberista possa sortire gli effetti desiderati,- perché sicuramente aggiusterebbe le cose sotto il profilo della finanza, però aumenterebbe in maniera pericolosa e spaventosa le diseguaglianze. Il problema dell'efficienza: privato uguale efficienza e pubblico uguale inefficienza. E' un paradigma sempre vero? L'obiettivo dell'efficienza è importantissimo perché essere inefficienti vuol dire sciupare risorse, ossia portare via risorse ai meno abbienti: non si è mai visto che nella scarsità di risorse siano i più abbienti a rimetterci. In passato la sinistra ha sempre sottovalutato il discorso dell'efficienza e ha sbagliato, alleandosi così senza volerlo con la destra, perché quando applico delle politiche inefficienti e spreco le risorse, sicuramente io faccio dei torti ai più poveri. Perché la gente, come dice lei, identi fica privato ed efficienza? Perché nella nostra cultura di base è diffuso i1con vinei mento per cui ciò che garantisce l'efficienza è il fine del profitto. L'impresa privata, a differenza dello Stato, ha come obbiettivo il profitto, quindi l'impresa privata è efficiente. Dov'è l'errore? L'errore è proprio nel presupposto: ciò che garantisce I' efficienza non è il profitto, ma la competizione. li profitto è una conseguenza, è l'effetto, non la causa: se un'impresa è efficiente allora fa prese che vorrebbero la proroga, dei sindacati che temono che se entra un po' di mercato qualche operaio rischi di perdere il posto, dei gruppi politici che all 'unanimità, maggioranza e opposizione, fanno un ordine del giorno in cui si dice "proroga". Comunque, guardare dentro il pubblico impiego, come ho dovuto fare io, permette di vedere gli incredibili privilegi, le convenienze, di cui esso gode, ma permette anche di vedere che tutto questo è poi pagato dai lavoratori con la mortificazione professionale, con la non valorizzazione di quello che fanno, con la scarsissima credibilità sociale che hanno. A Roma parlare di un dipendente capitolino significa scatenare l'ira dei cittadini, degli utenti delle scuole ... E' una situazione terribile per gli stessi lavoratori: hanno avuto tutti questi privilegi, ma se si gira in molti degli uffici comunali si vede che sono ammassati in locali disastrosi, dove mancano le sedie, dove non ci sono i computer ... chi è bravo ' non puo essere mandato avanti Allora, o si modernizza o per loro non c'è speranza di avere retribuzioni più sensate e una qualità del lavoro diversa, migliore. Toccare questo meccanismo in una situazione in cui il contenimento della spesa pubblica non consente di giocare su tutti e due i piatti della bilancia, da un lato togliere ma dall'altro premiare, è un'impresa assolutamente disperata, che produce una serie di contraccolpi molto pesanti. Tanto più che il sindacalismo confederale fa molta fatica ad uscire da un sistema di cogestione consociativa, di protezione delle convenienze. Io sono stata sindacalista tanti anni e so che il sindacato è tanto peggiore quanto peggiore anche profitto, ma non è necessariamente vero che se fa profitto è efficiente. Molte imprese private non sono affatto efficienti, perché agiscono in regime di monopolio come nel caso delle telecomunicazioni. Abbiamo esempi di imprese criminali di tipo mafioso che fanno fior fiore di profitti e dovremmo forse concludere che sono efficienti? Quindi, se è la competizione a garantire l'efficienza ne derivano due conseguenze importanti: possiamo avere risultati efficienti anche se le imprese sono di proprietà pubblica e soprattutto possiamo avere come risultato che anche le imprese private no-pro.fil possono avere risultati efficienti. E a far emergere il meglio è la competizione intesa come gara sotto regole certe. Lei dice che è assurdo considerare neutro il mercato, che il mercato è anche un fatto culturale. Allora lo si può regolamentare? O bisogna affidarsi alla sua capacità di equilibrarsi da solo? Il mercato è in primo luogo un'istituzione, non è un meccanismo. Ma cosa vuol dire che il mercato è un'istituzione? Che il mercato è un insieme di norme, non regole, che sono di tipo culturale, le quali forgiano la mentalità e il modo di operare di chi vi partecipa. Queste norme fondati ve sono storicamente determinate, evolvono in relazione alla fase storica: un'economiadi mercato c'era anche nel '700 e c'è oggi, ma era diversa da quella di oggi. Diversa non tanto negli aspetti del meccanismo, la diversità è molto più profonda: le norme fondative del mercato oggi sono evolute rispetto al '700, come quella che esige I' anonimità del mercato, il che vuol dire che il mercato non si interessa di sapere qual è il soggetto portatore di bisogni, perché risponde solo a una domanda solvibile e quindi il mercato non si interroga mai sulle ragioni per cui compro o vendo un casa. L'istituzione mercato, in quanto istituzione anonima, prescinde dalla soggettività dei suoi operatori. Questa norma dell'anonimità, in certe fasi storiche, assume certe connotazioni e in altre fasi altre connotazioni. Questo comporta che noi non pos-

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