Una città - anno IV - n. 30 - marzo 1994

di costu,ni e altro Bi La necessità che un mezzo di comunicazione di massa arrivi alle masse e l'esigenza, al contempo, di fare informazione. La possibile via di uscita della frammentazione dell'audience. Il grande egualitarismo della Tv e il rischio elitarista delle payTv. l'incomprensione reciproca fra Tv e intellettuali. La novità della telenovela brasiliana. Il luogo ormai comune della Tv che produce violenza. Intervista a Piero Dorfles. Piero Dorfles, studioso della comunicazione di massa, lavora alla Rai nel settore ricerca. Stiamo assistendo, a livello italiano e mondiale, a profonde trasformazioni nel sistema televisivo. Quali sono gli scenari futuri possibili? Credo che il momento sia abbastanza felice. Il quarantennio della televisione italiana cade in un momento di ristrutturazione e questo, forse, non è un caso perché questa maggiore età della televisione comporta dei cambiamenti. Cambiamenti che sicuramente hanno a che fare con le tecnologie e con i contenuti, non soltanto con la matu- . razione del mezzo e dei linguaggi. P~r . quanto riguarda le prospettive bisogna guardare, come al solito, agli Stati Uniti",· dove in qualche modo tutto è un po' più avanti che da noi. Questo non perché siano più bravi o perché la loro televisione sia migliore -perché sicuramente la nostra è più interessante, più divertente, più colta, più ricca-, ma perché lì è cominciato tutto e quindi sia il mercato che le tecnologie sono più avanzate. Negli Stati Uniti è accaduto questo: da un panorama abbastanza monolitico, quello delle tre grandi reti televisive nazionali ABC, CBS e NBC, si è passati, negli ultimi anni, a una molteplicità di trasmittenti e questo non solo perché sono nate le televisioni via cavo, ma anche perché le tre grandi reti nazionali hanno comiqciato a perdere pubblico. Secondo me un motivo di questo cambiamento va ricercato nella pubblicità. A furia di rimpinzare i loro palinsesti di pubblicità le grandi reti hanno finito per diventare poco "referenziali". Cosa accade, infatti, quando un media tende a parlare fondamentalmente di pubblicità, a parlare di se stesso, a riportare sempre gli stessi uomini, le stesse scene, le stesse persone, gli stessi personaggi, continuando all'infinito lunghe serie? Accade che il media, parlando solo di se stesso, non informa di quello che succede nel resto del mondo, non dà strumenti di analisi e di conoscenza che trasformino in qualche modo lo spettatore. Insomma, quella macchina di produzione di conoscenza che è la comunicazione di massa, in particolare la televisione, ha cominciato a perdere colpi proprio perché trasmetteva poca informazione e poca conoscenza. E' per questo che la televisione via cavo e le televisioni locali, quelle che hanno un rapporto diretto con i problemi del pubblico, hanno cominciato a prendere il sopravvento. In pochi anni le tre grandi reti nazionali, le più ricche, le più costose, sono passate dal 90% del pubblico nazionale al 60%. Hanno perso più di un terzo del loro pubblico, e tendono a perderne ancora, a favore delle reti locali e delle reti a pagamento. Le reti a pagamento sono quelle COOPERATIVA UNA CITTA' Presidente Massimo Tesei. REDAZIONE: Rosanna Ambrogetti, Fausto Fabbri, Silvana Massetti, Franco Melandri, Morena Mordenti, Rocco Ronchi, Gianni Saporetti (coordinatore). INTERVISTE A Aldo 8011omi: Gianni Saporetti. A Paolo Flores D'Arcais e Vincenza Buglioni: Franco Melandri. A Marco Vitti: Walter Minella. A Giannouo Pucci: Rosanna Ambrogetti. A Giangiorgio Pasqua/otto: Giulia Apollonio e Franco Melandri. A Piero Dorfles: Rocco Ronchi. A Lena e Dzer1ar1a: Massimo Tesei. / racconti della pagina centrale: a cura di Paolo Cesari. Nel n. 29 a Mollia Morreua: Rosanna Ambroge11i. FOTO Fo10: di Faus10 Fabbri. A pag. 8 e 9 da Amnesty lntemational publications. A pag. 10 da Panorama. A pag. 16 da ARH-Sarajevo giugr10 93. A pag. 2 illustrazionedaStoriadossier: J.L David "I/giuramento della Pallacorda" (panico/are). COLLABORATORI Riia Agnello. Edoardo Albinali, Lorella Amadori, Anlonella Anedda. Giulia Apollonio. Paolo Benozzi. Patrizia Belli. S1efano Borselli, Vincenzo Bugliani, Paolo Cesari, MicheleColafa10, Dolores David, Gabi Milic, Rodolfo Galeoni. Liana Gavelli. Diano Leoni. Marzio Malpezzi. Massimo Manarelli, Linda Prali, Carlo Polelli. don Sergio Sala, Sularnil Schneider, Giovanni Tassani. Grafica: "Casa Walden". Fotoliti: SCRIBA. che, non avendo pubblicità o avendone molto poca, trasmettono più informazione, più film, più intrattenimento, cose che hanno riscontro sul piano della conoscenza. Certo gli Stati Uniti sono notoriamente un paese poco colto e un po' brutale nell 'organizzare lo scambio di conoscenze, ma mi sembra totalmente legittimo pensare che anche da noi questo tipo di tendenza si farà strada. Questo non soltanto perché da noi esiste molta pubblicità, in particolare nelle emittenti private, ma anche perché la televisione tende un po' a sedersi su se stessa, ad autoalimentarsi, a non trovare spazio per il nuovo, a preferire l'intrattenimento ali' informazione e soprattutto a non essere capace di inventare forme di comunicazione che siano adatte al mezzo di comunicazione di massa. la crisi delle grandi reti "generaliste" che vogliono parlare a tutti Infatti, anche se ci sarà questo cambiamento, anche se in qualche modo si apriranno delle reti a pagamento più colte, più raffinate, anche se si potranno avere degli strumenti di informazione più referenziali di quanto sia avvenuto fino ad ora, rimane il problema di fondo, quasi una contraddizione intrinseca al mezzo: la comunicazione di massa deve arrivare alle masse, se no è comunicazione di élite e come tale non può parlare a tutti. E' una contraddizione, ma se una rete volesse fare solo cultura di alto livello non sarebbe più un mezzo di comunicazione di massa; contemporaneamente, però, se non riesce ad essere referenziale, cioè a portare a tutti gli strumenti di comunicazione, tende a perdere pubblico. Dove sta la via d'uscita? Non è difficile dire che, in realtà, è tutto un problema di linguaggio e la televisione, come tutti i mezzi di comunicazione, ha il suo linguaggio. Questo linguaggio è stato fino ad ora in qualche modo mutuato dai linguaggi preesistenti, dal cinema, dai giornali, ma difficilmente è riuscito ad arrivare a proporre un modo veramente diverso di esprimersi, il cosiddetto "specifico". Cosa significa realmente questo "specifico"? E' molto difficile da dire perché, per esempio, esistono dei programmi, dei talk-show, che riescono anche a fare cultura, come esistono dei programmi di cultura che riescono a fare anche intrattenimento, ma in realtà è rarissimo che un programma che non sia di solo intrattenimento o di eccezionale attualità politica abbia grande pubblico. Il grande pubblico non arriva né per Maurizio Costanzo, né per Augias, il grande pubblico in questi casi non c'è. Io temo che l'unica via di uscita da questa situazione sia la frammentazione dell'audience, e quindi la nascita di più canali, se possibile a pagamento, ali' interno dei quali si possano anche sperimentare linguaggi diversi da quelli utilizzati fino ad ora, senza avere l'ansia del grande pubblico. Oggi, avendo noi, come ali' estero, sperimentato per tanti anni le grandi reti nazionali "generaliste", che parlano a tutti, ci troviamo in una situazione di crisi, anche perché le reti sono troppe rispetto alla possibilità che hanno di dare un messaggio rivolto a tutti. Quindi bisogna immaginare che inun modo o nell'altro si arrivi a reti che la gente paga per avere un certo tipo di messaggio, un certo tipo di linea editoriale, un po' come comprare dei libri e dei giornali, e questo aprirebbe delle possibilità di maggiore varietà di produzioni, di sperimentazione. Oggi le grandi reti non possono sperimentare, e quando sperimentano lo fanno con grande timidezza, perché hanno paura di perdere pubblico, mentre è chiaro che se avessimo anche solo 300.000 spettatori che pagano il canone per una rete che va incontro ai desideri di quelli che vogliono s~rimentare di più, la sperimentazione si ro potrebbe fare. Si potrebbe perché si disinnescherebbe la bomba del l 'auditel, la bomba dell'audience. Quandosi manda inonda un programma più o meno gratuitamente, come fanno sia la RAI che la Fininvest, è importante sapere se questo programma è molto ascoltato, perché in questo modo si può inserire la pubblicità e farsi pagare in proporzione. In una rete a pagamento l'audience non conta più, quello che conta è quante persone hanno pagato il canone e quante lo pagheranno l'anno prossimo; l'importante è che la rete a pagamento continui ad avere una certa autorevolezza, che dia dei programmi di un certo livello e che convinca, non nel corso di un giorno o di una stagione, ma di un intero anno, il suo pubblico che val la pena pagare quell'abbonamento. Certo, questo non vuole dire che spariranno le grandi reti nazionali, anche perché c'è chi non ha i soldi per pagare questi programmi a domicilio, però, probabilmente, ci sarà questa via d'uscita. Qui però si apre un altro problema. La televisione ha prodotto un grande cambiamento, perché è un mezzo economico che arriva a casa di tutti ed è comprensibile da tutti, che porta molta informazione e dà grandi strumenti di acculturamento e di aggiornamento culturale e politico, quindi cambia la vita di una nazione, mentre il giornale già seleziona (i libri, poi, non parliamo di quanto selezionano: sono letti da pochissimi) e altri mezzi di comunicazione, come il settimanale o il rotocalco, portano poca informazione e non danno grandi strumenti. Si dice che la televisione ha unificato l'Italia, ed è vero perché ha dato a tutti, indipendentemente dal livello culturale del centro in cui vivevano, degli strumenti identici. Questo è un fenomeno di importanza clamorosa, è un fenomeno di grande egualitarismo, che in qualche modo cambia veramente unanazione, ma qui nasce il pericolo: se un domani avremo un sistema televisivo legato a reti a pagamento, queste di per sé produrranno una selezione e chi ha più soldi avrà più informazione e chi avrà più informazione avrà più potere. Allora, se c'è un rischio in questo circolo che si chiude -con lo sviluppo di nuovi mezzi, di nuove catene televisive, con la maturazione della televisione nazionale che in qualche modo deve trovare vie d'uscita alla sua crisi- è che la grande democratizzazione dell'informazione, rappresentata dalla televisione data a tutti al prezzo infimo del canone, si interrompa. il grande egualitarismo della lv che ha cambiato la nazione Questo significherebbe che la gente modesta potrà permettersi solo la televisione nazionale, mentre le persone più colte potranno avere, come già succede negli Stati Uniti, la rete culturale che trasmette documentazione per i bambini che vanno a scuola, informazioni per fare i compiti a casa e altre cose del genere, quindi strumenti culturali in più. Quali modificazioni ha prodotto l'ingresso della TV commerciale e la fine del monopolio televisivo? Innanzitutto penso che occorra prendere con le molle i discorsi entusiastici che spesso si fanno sulle novità che sarebbero state introdotte in Italia dalla liberalizzazione della televisione, è un entusiasmo in gran parte ingiustificato, anche se è vero che non si deve buttare via tutto. Facendo un esempio fuori dalla televisione, nessuno riuscirà a convincermi che chi scrive libri senza venderli è più bravo di quello che riesce a venderli; un libro che vende è comunque una cosa della quale bisogna avere rispetto, perché chi riesce a parlare a molte persone è comunque uno che è riuscito a rompere la barriera del silenzio. Mentre chi scrive un libro che tu ed io troviamo bellissimo, ma che viene letto da 2.000 persone in tutta Italia, sarà anche un grande letterato, ma sicuramente non ha ottenuto il risultato di farsi leggere, di farsi ascoltare. Questo discorso, tutto sommato, vale per tutti i prodotti culturali e la televisione è un prodotto culturale, per cui la televisione che riesce a vendere, che riesce a farsi ascoltare, che riesce a coinvolgere il telespettatore, anche se non è una buona televisione è comunque un media che riesce a trasmettere l'informazione. Poi, dentro a una televisione non buona ma di grande capacità di trasmissione, si possono trovare dei vantaggi e dei pregi -il ritmo, per fare un esempio clamoroso- che possono mancare in una televisione culturalmente valida. Da quando sono nate le televisioni private il ritmo televisivo si è accelerato in modo formidabile e la televisione ha perso una certa staticità, una certa curialità, una lentezza che ai tempi del monopolio era quasi intrinseca. Tutto questo è accaduto perché nella competizione si cerca di andare incontro al desiderio della gente ed il difetto della vecchia televisione monopolistica era di essere una televisione fondamentalmente legata ai ritmi del cinegiornale. La televisione era nata con il cinema e trasmetteva come se la gente fosse chiusa al buio nella grande sala, dove quello che viene trasmesso si subisce. Ma la televisione non è il cinema perché, tanto per cominciare, si sta in casa e intorno c'è tutta una serie di cose che succedono, che possono distrarre, e poi perché notoriamente la televisione è anche competizione, ci devono essere molti canali e la competizione, malgrado tutto, può avere degli effetti positivi. Certo, dentro questa dimensione della frantumazione c'è nascosto il terribile rischio per cui ognuno prende soltanto dei "francobolli", ed infatti, ad un certo punto, è subentrato il modello dello zapping. lo zapping: la noia varia, la sensazione di girare il mondo Ma perché si fanno continui zapping? Perché, malgrado una certa mediocrità di fondo dei nostri programmi, passando velocemente da un programma ali' altro, invece di avere una noia monolitica si ha una noia variegata e la noia variegata si può sopportare molto meglio della noia monolitica. Se uno guarda per due ore un programma noioso si tedia terribilmente, mentre se uno guarda in due ore ventiquattro programmi noiosi alla fine ha quasi la sensazione di essersi divertito. E' chiaro che è un imbroglio, che non si è divertito affatto, che ha solo visto ventiquattro programmi noiosi come il primo, però, passando continuamente dall'uno all'altro, ha avuto la sensazione di girare il mondo, di divertirsi, di fare cose. E' un errore? Sì, è un errore essere costretti ad annoiarsi in modo variegato invece che divertirsi in modo monolitico. La varietà della noia della nostra televisione, però, in qualche modo ha un suo vantaggio, cioè il fatto che uno può, balzando da un pezzo all'altro, imparare a distinguere tante cose diverse. Ecco perché io sono convinto che per quanto la nostra televisione sia mediocre, tuttavia non produce stupidità, checché ne pensino alcuni. Sono convinto che il nostro pubblico, anche quello che non ha strumenti culturali raffinati, alla fine capisca. Tempo fa mi è successo di andare a casa di un vecchio contadino, amico di famiglia, che vive in Toscana. in un paesino sperduto di neanche mille anime. Questo contadino è una persona di modestissimo livello culturale, non ha finito neanche le scuole elementari e scrive con grande difficoltà, però quando ci siamo seduti a chiacchierare nel salottino, si parlava di non so che, lui ha preso in mano il telecomando, ha chiamato il Televideo e si è messo a guardare le ultime notizie. Certe tecnologie, certi strumenti analitici, sono veramente alla portata di tutti, anche del contadino ottantenne semianalfabeta, e credere che, solo perché i telegiornali o gli spettacoli televisivi sono fatti male, li guardino solo gli imbecilli è un clamoroso errore. Il contadino che non guardava il brutto telegiornale, che stava ali' osteria a giocare a carte ma non parlava di nulla, forse era più genuino, forse diceva parolacce più convinte, forse ogni tanto faceva anche un discorso, ma la realtà è che oggi queste persone hanno degli strumenti informativi formidabili che nessuno di loro aveva fino a pochi anni fa, e questo fatto non si può sottovalutare. E' vero che tende a rinchiudere la gente in casa, ma è anche vero che quelli che escono sono pochi ed escono perché hanno gli strumenti per farlo. Certo, sarebbe magnifico se la gente la sera leggesse Kafka invece di guardare la televisione, ma perché dovrebbe mettersi a leggere Kafka se non lo leggeva ieri? Secondo me, il passaggio per arrivare a leggere Kafka è anche quello di aver visto abbastanza televisione per sapere chi è ... Quindi è vero, ci sono molti contro, ma ci sono anche molti pro e tra questi pro c'è il fatto che, malgrado tutto, questo formidabile strumento di formazione e di produzione della conoscenza arriva a produrre competenza. lo strazio dei docenti in lv. Partono sempre da Adamo ed Eva Cioè chi usa la televisione sa come funziona, tanto è vero che spesso vediamo la gente che, quasi sempre per danaro, va ai programmi televisivi, che recita, racconta, alle volte anche dicendo delle cose sgradevolissime. La competenza di questi che vanno ad esibirsi, raccontando di solito stupidaggini assolutamente non vere, si manifesta lì. Mi sembra evidente, logico e scontato che quelli che vanno a "Lui, lei, l'altro" raccontando di coma in pubblico - e non sono storie vere, o meglio, sono storie vagamente vere che vengono esasperate per poterle raccontare in pubblicodimostrano che I) la gente è felice di aQdare in televisione e 2) magari vivono in un tugurio di Napoli, ma sono così bravi da sapere benissimo come funziona la televisione per cui vanno davanti alle telecamere e, senza nessuna difficoltà, raccontano cose non vere in modo tale da renderle credibili, addirittura godibili, a chi sta a casa. D'altronde quando la stessa gente sta a casa, lo vediamo tutti, è capace di usare il telecomando con grande disinvoltura. Ho la sensazione che la classe intellettuale italiana sia straordinariamente arretrata nel pensare alle trasformazioni che la televisione produce nella percezione della realtà; che ci sia una arretratezza strutturale che si riverbera anche nel tipo di televisione che si fa... Il nostro apparato culturale è profondamente accademico, molto geloso delle sue prerogative e tende ad autoriprodursi all'interno di regole date, nella chiusura dei circoli e con una ideologia di fondo che è quella della cultura di élite, cioè l'idea che la cultura non possa essere spiegata alle masse, né possa attrarle. Ora, certo non si può pretendere che tutti leggano Hegel, che tutti improvvisamente debbano avere conoscenze approfondi te, ma non è affatto detto che tutta la cultura debba passare attraverso quel modo di intendere le cose. Quello che, in particolare, trovo impressionante all'interno di questo schema, è che si possa immaginare che all'interno della televisione, cioè all'interno della comunicazione di massa, possa essere filtrata una piccola parte di cultura fotocopiata da quella universitaria -il DSE per intenderci. Non per parlare male della RAI, anzi il DSE cerca di andare incontro alle esigenze culturali della collettività, ma credo che, come si diceva prima, non abbia trovato il

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