Una città - anno IV - n. 30 - marzo 1994

• storie L'ORTO IN UNA SCATOLA DA SCARPE La vita quotidiana dell'inferno. Le speranze svanite e le amicizie distrutte. Il sogno ormai assurdo che tutto ritorni come prima. L'amarezza di veder diffondersi quei saluti in arabo. Intervista a Lena e a Dzenana. Lena è serba, Dzenana è mussulmana. Ma sono definizioni che non amano. Sono cittadine di Sarajevo, sono tuuora amiche, e oggi, co11 i due piccoli figli di Lena, vivono da un'amica comune che sta in Italia da tempo. Ci raccontano come la vita normale possa a/l'improvviso essere travolta, spezzata senza che si capisca la ragione e sollo gli occhi di tutti. E' un racconto da un inferno dove si vive eleganti, con lapermanente, con la cravaua e si muore infila per l'acqua o per il pane, o mentre si gioca, o al mercato, intenti a scambiare due sigarelle per un po' di zucchero. Lena. Quando la granata esplode tutti si precipitano ad aiutare. E' importante fare presto, portare i feriti ali' ospedale in tempo per salvarli. Ali' inizio della guerra mio marito è stato ferito da una granata e si è salvato perché un taxista l'ha caricato sul1' auto e portato subito ali' ospedale senza preoccuparsi delle bombe che continuavano a cadere intorno. C'è ancora tanta solidarietà fra la gente, anche se la situazione si è molto deteriorata. Prima della guerra a Sarajevo non esistevano divisioni religiose e c'erano tante famiglie miste. All'inizio dei bombardamenti nessuno capiva, nessuno poteva credere. Eravamo nei rifugi e aspettavamo che tutto finisse da un momento all'altro. Ci chiedevamo chi poteva sparare sui civili, sui bambini, sulle case e i monumenti. Non capivamo. Non immaginavamo che era l'inizio di due anni di follia, che la maggior parte delle famiglie avrebbe visto morire o rimanere ferito un parente, che sarebbero morti tanti bambini, che tante famiglie si sarebbero divise. Abbiamo resistito un anno credendo che sarebbe finita presto. Tanti pensavano: qualcuno farà qualcosa. Poi piano piano la gente si è chiusa, si è proprio ritirata in se stessa per trovare il modo di sopravvivere, di avere ancora speranza. Le vecchie amicizie sono state messe alla prova e non tutte hanno resistito. Io sono serba e ho sentito che non c'era più la vecchia attenzione, ho sentito che qualcuno aveva paura che io pensassi come quelli che dalle colline facevano a pezzi la città. Tutto il giorno sei in tensione e accumuli tanto odio per i cecchini e per chi spara le granate e non puoi mai sfogarti. Dzenana. Il deterioramento dei rapporti è cominciato con l'arrivo dei profughi dalle altre zone di guerra della Bosnia. Innanzitutto perché venivano dalle campagne dove non c'era la mescolanza, l'abitudine alla convivenza delle città; e poi perché arrivavano malridotti, dopo aver perso tutto, magari anche i loro famigliari. La vita a Sarajevo non ha più niente di normale, anche se tutti si sforzano perché non si veda. Nonostante il problema del1' acqua, la gente è sempre pulita, lavata, con gli abiti stirati. Gli uomini che lavorano hanno sempre la camicia e la cravatta, le donne sono eleganti, truccate, con la permanente. Ci sono bar e ristoranti aperti. E' come una ribellione contro la realtà. Il lavoro ormai riguarda poche persone: il forno, la posta, il tribunale, la fabbrica di biscotti per i soldati. Non ci sono più materie prime e tutto s'è fermato. li lavoro nella mia ditta è finito presto. Quelli che hanno lasciato Sarajevo prima del maggio del 92 sono stati licenziati, quelli che sono rimasti in città sono stati messi in aspettati va con lo stipendio ridotto. Una decina hanno continuato ad andare in ufficio con l'unico scopo di vigilare sulle attrezzature e sul mobilio. A Sarajevo arrivavano tantissimi profughi e si sistemavano dove potevano, anche negli uffici. Con l'inverno la gente ha cominciato a cercare legna per scaldarsi e ha bruciato mobili, porte e tutto quello che poteva servire. Dalle case abbandonate s'è preso di tutto, per bruciarlo o per venderlo. Il nostro ufficio s'è salvato grazie a queste persone che hanno continuato ad andarci come se dovessero lavorare. Adesso ho un anno di aspettativa non pagata. Se dovessi tornare riavrò il mio lavoro ... Lena. La vita di ogni giorno è scandita da cose che prima erano normalissime, così normali che le facevi senza accorgertene. di un'ora di fila. E poi ancora e ancora, perché l'acqua non basta mai. E sempre con la paura di un bombardamento. Ali' inizio della guerra i bombardamenti duravano di più, ma ad un certo momento finivano. La gente stava ore e ore nei rifugi e forse c'erano meno morti. Poi hanno cambiato tattica: non c'è più un vero e proprio bombardamento, ma una bomba in qua e una in là e ogni momento è buono e così la gente viene sorpresa per strada, in fila per il pane o mentre porta l'acqua a casa. Poi bisogna raccogliere la legna per scaldarsi e per cucinare. Noi avevamo comperato una stufa di latta da un artigiano. E' durata un anno poi è andata in pezzi. Abitavamo in un condominio col riscaldamento a nafta centralizzato e così ognuno s'è dovuto arrangiare a trovare stufe di fortuna con un tubo che faceva uscire il fumo da una finestra. Nelle finestre non ci sono più vetri, quasi tutti hanno messo dei teli di plastica. Anche nei pacchi di aiuto umanitario c'erano questi teli per le finestre. Per un po' di tempo si cucinava tutti assieme nel cortile del condominio, accendendo il fuoco fra due pietre. Allora si pensava che tutto sarebbe finito presto. Poi ognuno ha dovuto cercare soluzioni meno precarie, noi, ad esempio, siamo riusciti a comperare un' altra stufa. Nel pomeriggio si tornava in fila per l'acqua e per sciacquare i panni. Ali' inizio si portava l'acqua a casa e si lavava in casa, adesso, siccome è troppa fatica, molti preferiscono lavare direttamente alle fontane. Le donne lavano sempre, anche con l'acqua gelida perché tutti continuano a vestirsi bene, ad essere anche eleganti e comunque puliti. Nei pacchi umanitari ad un certo momento hanno cominciato a mettere semi di verdure varie e allora tutti abbiamo inventato piccoli orti mettendo la terra dentro le scatole delle scarpe o cose del genere. Del resto dove vuoi seminare? Al l'aperto è troppo pericoloso e ormai tutti i giardini e parchi sono diventati dei cimiteri ... Qualche volta si compera qualcosa da mangiare al mercato nero perché solo con le razioni degli aiuti non si vive. Prima cerchi qualcosa per i figli e poi ti arrangi. Non si può fare a meno del mercato nero e della possibilità di scambiare una scatoletta di tonno con qualcos'altro che ti serve. La merce di scambio migliore sono le sigarette, prendi di tutto. Adesso la polizia ha vietato la vendita dei prodotti degli aiuti, si possono fare solo scambi. Poi viene la notte e sogno sempre che tento di scappare con i miei bambini ma non ci riesco, e poi morti, feriti, mutilati, granate che cadono ... tutte le notti così. Dzenana. La granata ha distrutto l'appartamento e l'auto. Mio fratello ed io ci siamo allora trasferiti nell'appartamento di una sua amica ebrea che prima di andare in Israele gli ha lasciato le chiavi di casa. Quando anche mio fratello è partito sono rimasta col mio compagno, che aveva un lavoro e si è occupato di tutto. Si può dire che, in quella situazione, eravamo dei benestanti. lo sono stata quasi sempre in casa pensando a far da mangiare, pulire, lavare e ho letto tanto, soprattutto letteratura leggera. E' incredibile come i giorni mi sembravano passare veloci. Il tempo passava anche perché avevamo tanti amici e conoscenze e c'era sempre gente a casa nostra. Quando qualcuno riceveva un pacco si improvvisava una cena e tutto veniva condiviso con gli altri. Abbiamo sempre cercato di dividere le cose belle. Poiché alle 22 scattava il coprifuoco spesso alcuni si fermavano anche a dormire e così si faceva tardi a chiacchierare o a giocare a carte. Per le feste di compleanno ci facevamo i regali: un quadretto di cioccolata o un chewing gum. Significava molto. Avevo la fortuna di abitare in una zona poco bombardata, considerata molto sicura e tantissima gente usava la strada dove abitavo. Anche Lena, quando andava ali' ospedale dal marito passava di lì. Si può dire che quella è diventata la strada più importante della città, così molta gente si fermava da noi per una sigaretta o per un caffé, quando c'era ... , o anche solo per chiacchierare. a prima è fare rifornimento di ac ua. Più (" --~, . 16 UNA CITTA' Lena. lo sono uscita poco di casa da quando e' è la guerra perché stavo con i bambini, ero preoccupata che non andassero vicino alle finestre, che non avessero paura degli scoppi, cercavo di farli giocare. Quando mio marito è rimasto ferito ed è stato sei giorni fra la vita e la morte sono .andata avanti e indietro da casa all'ospedale a piedi,ci volevanodueoreepiù. Per fortuna che gli amici mi hanno aiutata con i bambini e per fortuna che eravamo appena agi i inizi della guerra e nell'ospedale c'erano ancora tutti i medicinali e i dottori bravi. Solo per quello mio marito s'è salvato, oggi non lo salverebbero più. Fra gli amici che ci hanno reso la vita meno atroce c'è senz'altro il maestro di chitarra di mio figlio. Nonostante i suoi impegni, fra l'altro doveva fare i turni al fronte, veniva due volte alla settimana e così Sanjin per qualche ora pensava agli esercizi e non alla paura delle bombe. A Sarajevo, se c'è corrente, puoi ancora vedere la tv. Quella bosniaca, quella di Belgrado, quella croata e una indi pendente di Sarajevo che trasmette dalle undici di sera alle quattro del mattino varietà, film e notizie. Nei condomini la gente si ingegna per produrre energia elettrica con batterie e generatori a gas e così si può guardare una tv. Anche coi giornali bisogna organizzarsi. A Sarajevo ce ne sono due, però hanno una tiratura limitata e costano ogni copia un mezzo stipendio. E allora in ogni condominio se ne compra uno e lo si legge insieme. Chi ha sentito le notizie per radio le riferisce e si cerca di sapere tutto, anche se ormai nessuno aspetta buone notizie. Sento che questa guerra ha distrutto la mia vita, materialmente e psicologicamente. Tutto è cambiato. Anche la nostra presenza qui in Italia non è una soluzione, perché mio marito e mia madre sono ancora là. Sono contenta per i bambini, ma mi sento spezzata in due e aspetto ad ogni istante le peggiori notizie. Adesso non so più se ho fatto bene a venire via. Là non resistevo più, vedevo i miei figli ammalarsi per il freddo, per la fame, per la paura, mi sembrava di impazzire se non li portavo via da quell'inferno, ma adesso mi accorgo che là c'era la famiglia, eravamo insieme. Non so se ho fatto la cosa giusta. Dzenana. Evito di parlare di politica perché ho l'impressione di non capire molto. Non so spiegare perché è cominciata questa guerra, credo che tutte le persone normali se lo chiedano senza dare risposta. Credo che una parte grossa delle colpe sia dei partiti nazionalisti e della lotta per il potere fra i leaders di questi partiti. Se fosse stato possibile chiedere alla gente non sarebbe mai successo quello che è successo. Come tanti anch'io sono stupita che l'Europa abbia permesso che accadesse quello che è avvenuto al popolo della Bosnia. Quando dico popolo della Bosnia mi riferisco a tutti, Mussulmani, Serbi e Croati che insieme formano il popolo della Bosnia. Nel centro dell'Europa hanno consentito che una regione e milioni di persone fossero trascinate così in basso, nel fondo dell'esistenza, privati di dignità e umanità. Non riesco a non pensare che sotto sotto a quello che è accaduto ci sono i soldi, gli interessi degli americani, dei russi, degli europei. Abbiamo perso tutto, i motivi per vivere, la speranza, le nostre città. Perricostruirechissàquantoci vorrà! E ancor di più ci vorrà per ristabilire i legami rotti. Lena. Se tutto finisce vorrei tornare a Sarajevo, ma se la Bosnia verrà divisa, se anche Sarajevo verrà divisa, se nasceranno questi piccoli stati etnici o religiosi non so cosa farò, perché non c'è posto per me: un matrimonio misto, figli misti. Uno dei motivi che m'ha spinto a fuggire è stato vedere che qualche bambino rimproverava ai miei figli di avere una madre serba e altri di avere un padre mussulmano. Che vita ci sarà domani in una città divisa? Ognuno si radicalizzerà sempre di più. Sta già succedendo. Sarajevo era nota per la sua mescolanza, per la sua apertura culturale, per la sua tolleranza, per la convivenza interreligiosa. Ma due anni di guerra e di stragi cambiano le persone. Il carattere mussulmano della città ora è più visibile: i bambini hanno cominciato a frequentare le scuole religiose, i giovani, soprattutto gli studenti.gli intellettuali portano quel berretto tipico dei mussulmani, le ragazze usano lo scialle. Tutto questo è molto evidente nella parte vecchia della città, in altre zone meno. Nei primi mesi non c'era la tendenza a dire a chi appartenevano i morti o i feriti, nè qualcuno teneva a definirsi, eravamo tutti insieme, insieme si partecipava ai funerali dell'amico o del vicino di casa. Ma con l'aumento delle sofferenze e dei lutti la gente s'è chiusa, non comunica più, prendono piede divisioni che non sono mai esistite. Sono cambiati anche i saluti quotidiani, adesso molti usano le parole di saluto arabe e se non fai altrettanto non ti rispondono. Dzenana. C'è sicuramente una maggioranza di persone che vuole continuare a vivere insieme, ma non possiamo nasconderci che non sarà facile perché ci sono famiglie dove son morti i padri, i figli, i fratelli. Non potranno mai dimenticare. Vorrei che la Bosnia tornasse quella di prima, ma è un sogno che non si realizzerà. Prima della guerra la nostra vita era europea, cosa ci mancava? C'era il lavoro, i negozi erano pieni, le tavole erano piene, c'era amicizia, si viaggiava. Si vedeva un futuro per noi e per i figli. Adesso siamo ripiombati nell'età della pietra. Quando s'è parlato per la prima volta di un intervento militaredell 'ONU odell 'Europa tutti aspettavano con ansia. Si pensava: adesso bombardano le postazioni dei serbi che dovranno ritirarsi e la guerra finisce. I serbi erano insicuri, indecisi, fu fatta una tregua. In quel momento bisognava schierare i soldati dell'Onu nei punti critici lungo i fronti e continuare con gli sforzi diplomatici. Ma non hanno fatto niente, hanno detto che non c'erano soldati, che non c'erano soldi e così s'è persa l'opportunità. Questo la prima volta, la seconda, la terza ... adesso nessuno crede più ad un aiuto esterno e allora è cresciuta la paura. Si ha paura di rappresaglie, si ha paura che venga tolto l'embargo alle armi, perché questo significa che molta gente potrà andare a combattere, anzi che tutti dovranno andarci e ci saranno molti più morti e altre stragi. La gente vorrebbe una soluzione diplomatica. Da noi c'è un detto: non puoi scontrarti con chi ha le coma se tu non le hai. Serbi e croati sono troppo forti, Sarajevo può essere distrutta in un giorno se i serbi lo vogliono, dobbiamo cercare una soluzione politica. Lena. La gente di Sarajevo si sente tradita. Tanti morti e tante sofferenze ancora non son bastate per trovare una soluzione giusta. E intanto l'Unprofor a Sarajevo fa il mercato nero e un giorno ci saranno le sorprese quando si saprà chi ha comperato' per pochi soldi quadri di valore, mobili antichi, tappeti e argenterie! E intanto i professori dell'università, gli scienziati vanno a tagliare da un albero qualche ramo per poter accendere un fuoco. Così ci siamo ridotti! Fino ad ora hanno vissuto decentemente solo quelli che avevano dei risparmi perché volevano comperare una casa, o un' automobile. Tutti gli altri sono sopravvissuti perché c'erano gli aiuti. Anche se poi la gente non si fa illusioni, non può vivere tutta la vita di aiuti, anzi si dice spesso una battuta sugli aiuti umanitari: servono solo a farci morire con la pancia un po' più piena. Perché a Sarajevo e' è una pallottola per tutti -prima o poi. Dzenana. Ali' inizio della guerra in Slovenia e in Croazia ci sono state a Sarajevo grandi manifestazioni per la pace. Questo era il sentimento della popolazione, che si sentiva così unita, così forte. Nel febbraio del 92 sono state erette delle barricate in certe zone della città per dividerla, ma è stata la gente in massa che è scesa in strada e ha obbligato i politici nazionalisti a smantellare quelle barricate. Mussulmani, serbi, croati ed ebrei insieme hanno partecipato a quella manifestazione e hanno detto che erano innanzitutto cittadini di Sarajevo. Questo è sempre stato il sentimento di Sarajevo, un sentimento bellissimo che influenzava anche i forestieri. Quella volta la voglia di vivere insieme ha vinto e le barricate furono distrutte. Era in quel momento che la popolazione andava aiutata a far prevalere le sue idee, la sua voglia di pace, di convivenza, prima che i morti dividessero le famiglie, seminassero l'odio. Lena. A Sarajevo aspettavamo i pacifisti di Mir Sada, sapevamo che tentavano di venire, speravamo che sarebbe stato un momento di respiro, che forse qualcosa poteva cambiare. Migliaia di persone erano disponibili ad ospitare tutti nelle case, perché c'era e c'è la voglia di incontrare altre persone, di far vedere come viviamo tutti i giorni. A Sarajevo vengono in tanti, ma difficilmente vedono le persone comuni. Arrivano e si fermano all'aeroporto, oppure vanno in qualche luogo sicuro, ma non incontrano la gente in casa, non vedono cosa si mangia e come si vive in un giorno qualunque. E così a noi alcuni sembrano venuti per un pic-nic... •

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