Una città - anno IV - n. 30 - marzo 1994

come se noi non stessimo mai bene nei nostri panni, come se ci mancasse sempre qualche cosa, come se volessimo sempre essere in un altro posto. Una parte di questo è naturale nell'uomo, perché il suo destino e la sua origine sono nell'aldilà, sono un qualcosa che va verso l'infinito. quindi non è mai a suo agio completamente, però sento questa incapacità, questa allergia ad assumersi un compito in un luogo e in un tempo preciso. C'è una grande tristezza in giro. promettendo stenti Garibaldi attirava di più della lv Quando il piccolo contadino vesuviano che si coltiva i carciofi o i cardi non se li può più caricare nella cariola e andare al mercato a vendere. ma deve avere la macchinetta elettronica per lo scontrino, è finita, smette di cantare. Questo lo si vede ovunque e soprattutto nei giovani acculturati, che hanno passato tanti anni seduti ai banchi del la scuola e che non stanno mai bene nel luogo dove sono. Non sono incarnati, per cui è più difficile esseremarito. è più difficile esseremoglie, è più difficile fare un lavoro qualsiasi. semplice, perché uno non si sente abbastanza realizzato. E non si sentedi accudire ai genitori anziani o ai nonni perché è una cosa umiliante. Ma questa sofferenza, questo disagio, da dove nasce? ♦ ,::,, y':t ,.~->~~ 4~::t (I,;.; ~ .,. ... ELOGIO DELL'Al'l'ENZIONE L'umanitarismo è diventato il linguaggio predominante dei giornali e delle tv in Italia. L'ideologia umanitaria ch'era sbocciata come una fresca fiammella dalle ceneri politiche del terrorismo ha divampato in lungo e in largo nel territorio della comunicazione di massa inseguendo i casi umani, gli abusi, i martirii, le inermità su scala più che enorme. L'incendio è stato poi sacralizzato dalla fine delle altre ideologie. Per fortuna reggevano i pilastri dell'umanitarismo. Non è il caso di inerpicarsi su montagne svettanti. Lasciamo ai filosofi o ad altre occasioni pratiche l'ufficio di denudare il presuntuoso pregiudizio antropocentrico su cui l'ideologia umanitaria si erge. Ci limitiamo ad alcune considerazioni pratiche: l'umanitarismo che è sinonimo di bontà è sempre buono? e, soprattutto, è utile, e quando, all'uomo? L'ideologia umanitaria spesso è a uso e consumo di chi la propugna. Partiamo da questo dato semplice che ciascuno può facilmente verificare. I media, per esempio, hanno bisogno di un po' di aureola intorno alla propria immagine. Altrimenti c'è il rischio che i loro consumatori possano abituarsi al silenzio. E poi ci sono tante meschinità da far dimenticare: la caccia al ricercato, l'incitazione alla muta di caccia che cerca la gola del capro espiatorio, lo sciacallaggio tra le macerie e i materiali scaduti, il conto in tasca alle vittime, il cannibalismo spacciato come autopsia. Fermiamoci qui: altri1 menti siamo alle grida, e tra gli untori, noi stessi. All'origine c'è un terribile senso di colpa, sebbene coperto da strati e strati di omertà e di ritualità sociale. Tra le conseguenze il bisogno di scrollarselo di dosso. Allora il male deve essere onnipresente e onnipotente, e bisogna metterlo al bando a tutti i costi. (Ma per metterlo al bando occorre dargli un nome e i nomi a disposizione gira e rigira sono quelli anche se poi non corrispondono alla situazione specifica. Così, negli ultimi anni, l'uso del "vade retro razzista!" ha quasi soppiantato il compianto "lei non sa chi sono io...") Poi si può ritornare a peccare. L'ideologia umanitaria ci crea tanti problemi, di adeguatezza, di sicurezza, di coscienza, ai quali noi italiani facciamo fronte convincendoci, sempre più seriamente, che tra tutti i popoli, noi siamo nel profondo buoni. Non siamo santi, ma siamo buoni. L'i. u. (mi si passino a questo punto le semplici iniziali, in segno di rispetto per un'autorità così elevata) costringerà gli italiani a credere sempre di più nella loro essenziale bontà e a farne un articolo di fede che non ammette smentite. Se smentiti accuseranno i media di fraintenderli e di speculare sulle buone intenzioni con cui hanno commesso uno stupro o sparato sul cane del vicino. Ma i media devono pur indicare qualche cattiveria per invogliarci ad essere più buoni! L'i. u. ha totalmente soppiantato altre ideologie che lasciavano ai loro seguaci almeno la scappatoia del pentimento e della defezione. Non può permetterlo. Essa accetta come unico rimedio all'errore l'averlo commesso ... per un eccesso di bontà. Del resto, nel cadere da cavallo o incespicare in una pietra un uomo normale può rendersi improvvisamente conto del male che la propria umanità causa e ha causato, ma come può ravvedersi dall'aver sempre e comunque messo l'istinto umanitario al primo posto? L'i.u., sparsa a piene mani tra le tende della tribù Italia, ha provocato un'epidemia che si manifesta con due sintomi principali. Ansia di essere sempre là dove si offre, e dove la sofferenza fa notizia, e impotenza connessa all'accorrerci, all'esserci, e al non sapere che fare. Assuefazione alle disgrazie e alle sfortune della bontà e reazione super-umanitaria. Da queste contraddizioni, naturalmente, non si esce facendo una passeggiata ma incrementando il consumo. Fermiamoci un minuto a meditare su un fatto. I giornalisti italiani che sono stati uccisi in Bosnia erano finiti sotto tiro perché sentivano come un dovere professionale e quasi una missione il bisogno collettivo di nuova sofferenza e di nuova bontà: di nuovi meriti acquisibili nel riprenderla, farla conoscere e vedere, denunciarla. Infatti, ci informano i giornali, La Stampa del 29/1/94, che i tre giornalisti stavano rientrando nel bunker quando il teleopera- " tore disse agli altri due, che subito lo seguirono: "Aspettate, voglio ancora riprendere alcuni bambini che stanno giocando sotto le bombe ..." Voglio riprendere , per l'esattezza. Non awertire, rimproverare, dissuadere, scacciare ...) Così l'i.u. promuove se stessa e trascende i conflitti e le divisioni tribali. Mi viene un dubbio. Non potrebbe essere proprio essa, l'i.u., a salvarci dal fratricidio, a evitarci la sorte dei nostri vicini? Può darsi. Come può anche darsi che sia la volontà di esseri a noi invisibili, di non-uomini, con loro ragioni e determinazioni, a impedire che la penisola si trasformi in uno scannatoio. Diamo alle possibili interpretazioni di fenomeni tanto complicati pari opportunità. Ma rimane un quesito. Come può crescere, imparare dai propri errori, evolvere una comunità che fronteggia le proprie responsabilità rivoltolandosi nel bene e dicendosi e credendosi buona? La risposta è: male. L'i.u. promuove e rafforza l'incapacità a riconoscere il male, prevenire il peggio, evitare che diventino un'abitudine. Necessariamente. Perché essa "comprende" prima ancora che sia stato messo il piede in fallo. Che cosa c'è dietro la bontà, il credo umanitario, il grande cuore che sembra unire sui teleschermi l'ottimo anti-comunista di sempre e il simpatico excompagno? Certamente nulla che abbia a che fare con l'umanità in generale ma esclusivamente con la distinta e particolare umanità di ciascuno dei due. Con quel qualcosa su cui quando si parla di umanità vale soltanto la pena di indagare: che cosa porta quell'uomo lì, in quel momento, a pensare,. a cercare, a fare, quella cosa. E' il mio umanitarismo rivolto a che cosa? Qual è il suo scopo? Aprire o celare. Annettere o liberare. E qual è la sua utilità specifica, la sua adeguatezza alla situazione? E' l'indagine che l'i.u. salta a pie' pari e che si propone invece di raccomandare questo elogio dell'attenzione. Michele Calafato La risposta non è una sola, ma se vogliamo partire proprio da don Milani, lui diceva che nei manifesti elettorali sia i comunisti che i cauolici non promettevano altro che benesserecome se la gioventù fossecorrotta al punto da non muoversi altro che in vista del proprio benessere.Garibaldi che promeueva stenti ne attirava più di chi ora promette frigorifero e televisione. Anzi, forse lui ne attirava meno, ma li portava fino al macello, mentre gli altri al primo gioco sfiorito scappavano da tutte le parti. Questo è il punto, quando si ha una concezione dell'uomo come una macchina i cui bisogni materiali devono essere soddisfatti, il risultato è di produrre non solo degli scontenti, ma di produrre una società vuota. Invece se uno crede in dei valori può anche sbagliare, fare cose violente, però crede, brucia per un valore, e allora vive. E in quel momento anche se dà un ceffone a un ragazzo, quel ceffone fa parte di una vita. Chi ha una visione minimamente profetica fa violenza al suo popolo in qualche misura, perché rompe certe mentalità diffuse su cui tutti vivacchiano. DON MILANI E LA SCUOLA DI BARBIANA. LETTERE. Ci sono generazioni di ragazzi cresciuti nel la bambagia e a cui nessuno ha mai dato un ceffone, ma di cui nessuno si è mai interessato veramente, anche se li ha riempiti di lecca-lecca e televisione. Questa mi sembra la lezione di don Milani. O più che una lezione, perché non è che ci sia qualcosa da imparare, è un modo di avere un rapporto con la gente che vale ancora oggi. il suo prossimo era chi gli stava accanto A più di 25 anni dalla mortedel Priore di Barbianail problemarimaneevidentementeaperto.Sorprendesempreconstatarel'interesse suscitatodall'opera di donLorenzoMilani e, a volte, lascia perplessi.Leggendol'articolo apparso sul numero 28 di "Una città'' non ho potuto fareamenodi chiedermi perché quel "miserabile registro" dopo tanto tempo sia ancoraal centro di polemiche cosl roventi. Qual è il motivo per cui proprio ora Vincenzo Bugliani scrivequestecose? Per parte mia ho semprediffidato di quelle operazioni impregnatedi ansia revisionista che tendono a ridiscutere "in toto" una questionesenzasalvare nulla. Senzaosservaree rispettaregli enigmi. C'è comunquepiù di un punto oscuronello scrittodi Bugliani, emolte sonole frasi chevannochiarite. Credo che sia superficialee riduttivo affrontaredonMilani soffermandosisulrimpatto,avolte brutale.chetrasmettonoi La "stella" di don Milan i eragiusta, suoi scritti. Consultando i documenti, anche se è passato per le strade che cercandoanchequel chead unaprima gli sono capitate, seguendo le sue analisi può sfuggire, nascosto dalle impressioni. Ma il messaggio tra- paroledi denunciasociale,emergesenspare comunque. Anche oggi che è zadubbio unarealtàbarbianesemolto fisicamente morto il messaggio è più stratificata di quella asserita da nella sua tomba che è lì, non è alle Bugliani. Porte Sante O a Soffiano O in uno Una forte perplessitàè suscitatain me da certe frasi, soprattutto quando si degli altri cimiteri importanti di apprestaa discuteree riconsiderare il Firenze. Don Milani che compra la ruolo di donMilani comeOperatoredi tomba e dice "Qui morirò" si spen- Pace.Dice: "Una decinadi anni fa, in de totalmente in quel luogo e in un periodo in cui m'era parsodi poter quel tempo. Ha dato quello che ha fare il pacifista, partecipai in un paesifatto lui; è sepolto lassù e questo fa nodel Mugello aunconvegnoorganizparte del suo messaggio di radica- zato da discepoli diretti e indiretti di mento. Era il priore di tutta la gente donMilani, sul tema,più o meno"Don e il suo impegno, il suo servizio, Milani e l'educazionealla pace". Che andava verso delle persone, verso rapportoavessedonMilan i con la pace d I . . • p 1 .. 1 non lo capii ...". eg I essen umani. er ui I suo Quello che io nonriescoacapire, inveprossimo era chi gli stava accanto. ce,èchecosasignifichi ''in unperiodo Si è speso per un popolo preciso, in cui mi era parso di potere fare il per quanto piccolo, equesto "spen- pacifista". dersi" è la cosa che di lui dovrem- Forseperchésonoprofondamenteconmo imitare ecredo che, paradossal- vinto che,al di là di ogni facile retorica mente, forse è l'unica cosa che po- l'e5sereoperatoredi pace5iaqualcosa Bftlìibteca G1rieoe nd . s18nc0 11 a quotidianità più banale, che non ha bisognodi discorsi o convegnie che il sentirsi pacifisti nonsiaun sentimento che può andarea ·'periodi". Perquantoriguardapoi il rapportodel Priore con la pace, non è certamente possibile pensareche il suo discorso sia meno incisivo o debba godere di minor credito soltanto perchéquesta parola non ricorre all'interno dei suoi scritti con la stessafrequenzadi altre. Daun'elaborazioneal computerrisulta che il termine usatocon maggior frequenza.considerandol'opera milaniana nel suocomplesso.è scuola. Non è superfluo ricordare in questa sede che, di quel convegno che ha suscitatole perplessitàdi Bugli ani esistonogli atti. ("Don Milani e lapace"a curadi Giovanni Calli E.G.A) eche,tra le tantecoseinteressantiche in quella sedesi sono dette c'è la relazione di Antonio Nanni intitolata "Spunti di educazionealla mondialità nell'esperienzapedagogicadi donMilani". Qui si trova, a pareredi chi scrive, benpiù di uno spunto per vedere quale sia l'approccio milaniano al problema. Frasicome: "I poveri nellasocietà,cosl comei lontani nella chiesasonoaccomunati dalla stessaformadi emarginazione: l'analfabetismo etico-politico, un analfabetismodella coscienzache rinvia peròadun·espropriazioneculturaledi cui i poveri ed i lontani sono le vittime.( ...) Da questaprofonda convinzione don Milani prende le mosseper aprire la stradaal processodi riappropriazione culturale soggettiva e quindi ad una nuova alfabetizzazione etico-politica capacedi rimettere in piedi l'uomo sottomessoin modochepossaguardare avanti e puntare in alto." Credo che a questopunto si possaaffermare,senzaeccessivotimore di esseresmentiti, che pace e consapevolezza procedonosu due binari paralleli e checolui che lavoraperdarestrumenti a chi non ne ha po~saa buon diritto essere chiamato Operatore di Pace, soprattuttoquando l'ambito nel quale agisceèquellodegli ultimi, degli emarginati. Perquantoriguardail rifiuto delle proposteeminentementepedagogichedi donMilani formate,sidice,daparolacce, insulti eamenitàvarie, il tutto comminato da un insegnante-dittatoreil qualesi sarebbeaddirittura servito dei ragazzicomeparaventoperdiffondere scritti suoi e solo suoi, è necessario forse rifletterci un poco. A pagina 5 della "Lettera" si legge: "Dobbiamo ringraziareprimadi tutto il nostroPriore checi ha educati,ci ha insegnatole regole dell'arte e ha direi/o i lavori." Qui non solo la regia milaniana non è negata,è anzi asseritacon orgoglio. Bugliani inoltre ignora che, ben lungi dall'essere una raffinata tecnica per schematizzare,laScritturaCollettiva è un metodocon proprie peculiarità ed un·esistenzaautonoma. E' uscito a questo proposito un libro (FrancuccioGesualdi - JosèLuis Corzo Toral "Don Milani nella scrittura collettiva" E.G.A) il qualeasseriscee dimostra la validità di questa prassi. Corzo Toral ha poi fondato diverse scuole. nelle quali si lavora secondo ipotesi milaniane (CasascuolaSantiago I -1970- Scuola agraria "Don LorenzoMilani'' -1980-CasascuolaSantiago 2- I 989)ed il fattocheprosperino fa pensare, in contrasto con quanto asseritoda Bugliani. chegli insegnanti i quali si sentonopartecipidelle ideedi donLorenzosianooltremodocapacidi reinventarsi. mettendosi anche in discussione. Per la questionedel linguaggio osceno. sollevata anche dal pamphlet di RobertoBerardi a cui vien fatto riferimento, si rinvia alla lettura di pag.41 della "Lettera" dove si dice: "Le maestre sono come i preti e le puttane.Si innamoranoalla svelta delle creature. Sepoi le perdononon hanno tempodi piangere". Credo che l'accostamentotra il meretricio e la condizione sacerdotale la dica lunga sul "come" venivano usate le parole a Barbiana... La letturapubblicadel giornalepoi, ed i temi di attualità che avrebberoi loro precedenti in Staracee Bottai, credo che in una scuolacomequella di Barbiana abbianoassuntoriliey9 a causa del fattochevenivanoproposteinquella dimensione "collettiva" alla quale si accennavaprima. Concludo invitando Bugliani a lasciar perderequel "miserabile registro" che tanto lo tormenta,e adandareinvecea leggerequel "registro" chesi trova, dal 1984,sullatombadel Priore.Le I 0.000 e più personeche vi si sono recate, firmando hanno dimostrato che don Milani. lungi dall'essere una figura anacronistica,è invece l'inizio di una storia, di un modo di "vedere e fare scuola" diverso, affascinantee complesso. Marco Dondi Mutano, col tempo,i climi culturali ed oggi, nel brevevolgere di unagenerazione, vengonosmantellati tutti i miti che quella stessagenerazione aveva accreditato. Ai fervidi entusiasmi di ieri subentranooggi le critiche più severe.quasiperineluttabile contrappasso. Accadecosì cheanchela Lei/era a una professoressa siatravoltadal furore giustizialista ed il suo contenuto, sbrigativamenteinquisito. riceva irrevocabili censuredi assolutismopedagogico e di compattanegatività. Tale parrebbe l'approccio critico di Vincenzo Bugliani all'esperienzadella scuoladi Barbianae,certo,suqueste basi, risulta ben difficile cogliere il rapportodi don Mi tani con la pace. Viceversa,è fin troppo facile replicare all'acrepolemicaosservando-adesempio- che gli ex alunni di quella scuola fornisconotestimonianzenonmenosignificative delle analisi critiche pubblicate da un ex presidee funzionario della Pubblica Istruzione. Si può anche osservare che maestri comedonMilani eWittgenstein, ingenerosamente presentati come feroci distributori di punizioni corporali ed arcigni negatoridel bisognoludico del- !' infanzia, hannopur affrontato in prima personatutti i rischi dell'impegno educativo e sociale, a differenza di molti teorici dell'educazione spontaneistae libertaria, i quali si sonolimitati ad evocarel'idillio dell'educazione naturale per immaginari discepoli. Al di là di questi ed altri contrappunti polemici, le più sostanziali questioni pedagogiche riguardano piuttosto il diritto universale all'educazione, la pienavalorizzazionedel capitaleumano, il ricupero degli svantaggi socioculturali, il superamentodella precoce discriminazione selettiva. insomma la promozione di quella uguaglianza di opportunità formative che è premessa necessariaper la convivenzademocratica e per l'educazione alla pace. Questi temi ispiratori del pensiero e dell'opera di don Milani non possono essereconsegnati all'archeologia socio-pedagogica dato che, nel nostro Paese,sonoben presentie rilevabili i fenomeni della dispersionescolastica, ed a livello mondiale, la mancataformazione,apartire dalla scuoladi base, continuaadalimentare il circolo viziosodel sottosviluppo. Merita un cenno, infine, la questione degli insegnanti. Probabilmente, fra l'ideale del maestro-missionario"che si dàtutto, tutta lagiornataagli scolari" ed il "modello statale" -la professoressadellafamosaLettera-esisteunagamma di comportamenti professionali possibili, realistici e desiderabili. Certo. nessunorichiede al docente il celibato (né, tanto meno la castrazione), ma a buon diritto le famiglie e la società-che, oltre tutto, sostengonoil costo della scuola pubblica- possono esigeredacoloro cui si affida la formazionedellenuovegenerazioni,qualche motivazione e disponibilità per procedere oltre la mera ripetizione del programma didattico, per tentare -almeno- di rendereun servizio educativodi qualità, adeguatoai bisogni di tutti edi ciascunalunno. Gianfranco Bellinzona

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==