Una città - anno III - n. 25 - settembre 1993

grandi convinzioni di verità. Perché per avere un grande fine bisogna essere convinti cliessere padroni della verità e quindi. siccome sono convinto che nella convinzione cli essere padroni della verità ci sia sempre incombente il rischio, e molto spesso la prassi, clclropprcssionc clichi quella verità non condivide, credo che a questa idea della maiuscole bisogna rinunciare. Rinunciare però comporta una quantità cli conseguenze. dare legalità vuol dire uno straordinario rivolgimento sociale Bisogna rinunciare a tutti i miti, a tutte le idee di salvezza. a tutte lcfcdi, e questo può avere degli effetti demoralizzanti. Trovare dei motivi per stare insieme, per lottare, alle volte per sacrificarsi e per rischiare, che siano motivi davvero laici, cioè basati sulla consapevolezza della nostra finitezza, sul fatto che quello che abbiamo è questo e nient ·altro, che con la morte tutto finisce e non ci saranno risarcimenti nel1'eternità, è molto difficile e non è detto che avvenga. Ed è molto facile che al posto delle vecchie consolazioni della religione, che poi erano state surrogate dal le consolazioni delle grandi ideologie di sinistra. oggi si sviluppino delle forme che non sono più quel tipo di consolazione, ma sono un tentativo di fuga da questa realtà nelle forme più diverse. Forme che vanno dal con umismo più spicciolo, al tentativo di anestetizzazione etico-politica di massa. Questo pericolo certamente c'è, ma credo che non lo si possa affrontare trovando, nello stesso senso in cui l'avevamo tentato in passato, delle nuove verità, dei nuovi miti, dei nuovi valori con la maiuscola, delle nuove certezza che possano dare senso alla nostra vita. Davvero dobbiamo scegliere l'altra strada, più rischiosa, più faticosa, più incerta. Questo ragionamento, tuttavia, parte da un presupposto: ogni domanda presuppone una risposta e una domanda che non possa avere risposta è una domanda che non si può porre ... No. Io capovolgo le cose. Dobbiamo prendere atto che ci sono alcune domande essenziali che non potremo mai fare a meno di porci e che non possono avere risposta. Non possiamo pensare che tutte le domande abbiano risposta, perché alcune di queste, che poi sono quelle fondamentali, in realtà più che domande sono bisogni. E sono bisogni che non potranno mai essere soddisfatti; sono quei bisogni la cui soddisfazione può essere solo di tipo religioso, mitico. E cioè, a mio modo di vedere, illusoria nello stesso modo in cui Freud parlava di illusioni: un tentativo di risarcimento e consolazione per qualche cosa che, ahimè, non fa parte della realtà umana. La realtà umana è finita e invece la domanda che ci poniamo, il bisogno, è che invece la realtà umana sia infinita. Purtroppo tutto questo è una nostra illusione. Ci sono domande che sono assolutamente legittime, ma a patto che si abbia la consapevolezza che non possono avere risposte. Dobbiamo vivere con questa mancanza di risposte, quindi attrezzarci a vivere con quel poco di senso che possiamo dare alla realtà e che non può essere dato altro che da un modo più decente di vivere insieme, di organizzare la convivenza tra tutti noi e dalla lotta per questo obiettivo. La consapevolezza che certe domande non si possono non porre e tuttavia non possono avere risposta è comunque una condizione drammatica ... La condizione di cui parliamo è quella del nichilismo, ma nichilismo non è solo questo, è anche la conseguenza che se ne trae, secondo me niente affatto necessaria, per cui ci troviamo in una situazione di indifferenza rispetto alle varie scelte e ai valori. Io non credo affauo che da una rigorosa finitezza si desuma l'indifferenza rispelto ai valori o alle scelte. Anzi, si desume solo il fallo che di qualsiasi scelta, e sopraltullo delle scelte etiche prime, è fatto responsabile ciascuno di noi: non le possiamo affidare a nessuna realtà esterna, non le possiamo scaricare sulla natura, su Dio, sul destino, ma dobbiamo farcene carico interamente. è possibile una passione del relativo, senza scopo finale? finitezza. Potrebbero essere analizzati come i pensatori del "finito tradito", cioè coloro che hanno assunto la finitezza dell 'esistenza, quindi hanno criticato radicalmente tutta una serie di filosofie o ideologie consolatorie, poi però hanno trovato il modo per sfuggire alle conseguenze di questa finitezza con "l'eterno ritorno", col "destino", col "solo un Dio ci può salvare" o con il comunismo come realizzazione di tutti i fini possibili dell'umanità. In ciascuna di queste filosofie, per il resto molto diverse tra di loro, secondo me c'è una fuga rispetto a ciò che la finitezza ci impone di vedere; c'è il tentativo di dare una risposta a quelle domande che pure erano state dichiarate senza possibile risposta. Per cui, in realtà, in queste filosofie si fugge dalla consapevolezza che la nostra vita è innanzitutto capacità di vivere senza grandi risposte e tuttavia non per questo le scelte possibili diventano indifferenti, che l'una valga l'altra. non è vero che se dio non esiste tutto è permesso Non è affatto vero quello che dice il nichilismo con Dostoevskij, e cioè che se Dio non esiste tutto è permesso: se Dio non esiste siamo totalmente responsabili di quello che decidiamo di permettere e di non permettere, che è cosa ben di versa. Posto tutto questo, sarebbe limitativo riconoscere che il massimo che si può chiedere alla politica è quello di organizzare uno spazio pubblico il più possibile simmetrico. Questo è già un compito straordinariamente rivoluzionario, in realtà mai esaurito. E all'interno di questo spazio pubblico dare senso al nostro stare insieme agendo per sempre maggiore uguaglianza, sempre maggiore giustizia, nelle infinite concrete situazioni con cui invece la realtà ci si impone con carenza di uguaglianza e di giustizia. Già questo mi sembrerebbe straordinario, se ci si riuscisse davvero. Che cosa si può chiedere di più al fare politica se non questo? Invece mi rendo conto che in genere si vuole continuare a chiedere di più e con questo chiedere di più si rischia di fare di meno. Faccio degli esempi che sicuramente non sono gradevoli: una delle grandi fughe con cui oggi si cerca di restituire senso al nostro agire politico è l'idea di pace. Penso che l'idea di pace come viene sviluppata in generale dal pacifismo sia una cosa pericolosa e avvilente, io rimango molto più legato a quella forma di impegno che consisteva nel dire "Si va a combattere in Spagna". Nell'ambito della sinistra questa idea di pacifismo mi sembra una cosa nuova, che rimcltc in discussione non le cose peggiori, e cc ne sono tante, ma alcuC'è anche da dire che proprio coloro che ncdcllc<,uecoscmigliori,anchcsemagari ponevano in modo più radicale quc~ta po- furono applicate male. Penso che dosizionc esistenziale -pen~iamo a due gran- vrcmmo rifarci a quegli antifascisti italiani di nomi dei nostri tempi, Nietzsche prima che organizzavano le brigate in Spagna, da e Heidcgger dopo, ma per certi aspetti cui, ad esempio, poi è nata tutta la tradizioanche Marx può essere analizzato così- ne di "Giustizia e Libertà". Allora ho I' imsono proprio quei pensatori che alla fine pressione che una cosa come il pacifismo B tono·teca peGrrl' o st~I ano Coando un surrogato della grandi verità maiuscole, per un altro verso una giustificazione per non impegnarsi davvero a cambiare le cose qui ed ora. Impegnarsi a cambiare le cose qui ed ora è molto faticoso e molto frustrante, perché se i risultati non si vedono non possiamo accusare nessuno se non noi stessi. Ho l'impressione che il modo di ragionare che fa disprezzare le piccole cose che si possono ottenere, per le quali si può !ollare, in nome delle cosiddelle grandi opzioni, sia alla base di quell'atteggiamento che non giudica importante impegnarsi concretamente a fare le piccole battaglie - io dico piccole ma le considero invece bauaglie straordinariamente importanticontro l'evasione fiscale, contro la speculazione edilizia, contro tutto quello che si è visto esserci dietro il regime che oggi chiamiamo 'Tangentopoli". Con la mentalità che queste cose fossero troppo poco, il risultato è stato che -se non ci fosse stato un gruppo di giudici disposti anche a rischiare la loro carriera e se non ci fosse stata una congiuntura internazionale per cui, venendo meno il comunismo, è venuta meno anche la forza dell'anticomunismo- noi avremmo ancora il regime di alcuni anni fa, avremmo ancora la Democrazia Cristiana e i socialisti al potere. Diciamo la verità: non le abbiamo falle noi, noi individui e cittadini, le lolle perché gli Andreolli, i Craxi, i Martelli, i Cirino Pomicino scomparissero dalla scena politica. E non le abbiamo fatte proprio perché la sinistra era in qualche modo inquinata da questa mentalità di regime, oppure perché coloro che erano critici verso quella sinistra non hanno considerato che queste lotte per la legalità fossero davvero importanti. Impegnarsi davvero contro la corruzione di un politico, contro un ospedale che non funziona erano cose da poco perché la grande cosa era invece la pace mondiale. quando aver lottato è sufficente, è autogratificatorio E allora si è scesi in piazza contro Bush e Desert Storme non si è mai scesi in piazza contro "Tangentopoli". Tant'è che "Tangentopoli" l'hanno dovuta scoprire i giudici. E sono stati loro che hanno dovuto continuare a comballerla. Il contributo di noi cilladini, e di noi cittadini di sinistra che diciamo di voler rivoluzionare lecose, contro "Tangentopoli" qual è stato? Al massimo di dire in televisione, magari anche in un comizio, quello che facevano i giudici. In un paio di occasioni in cui il potere politico ha tentato di tagliare le mani ai giudici che facevano il loro dovere, si è sentito che c'era una parte di ciuadini che era disposta anche a scendere in piazza. Ma si è solo sentito, perché per fortuna non cc n'è stato bisogno. E io non so se davvero saremmo scesi in piazza con la stessa energia con cui 50.000 studenti medi a Roma scesero in piazza ai tempi di Dcsert Storm, quando in odio a Bush gridavano "Vi va Saddam Hussein". 11problema è che la rivoluzione che non si fa-o, più semplicemente, Desert Storm che non si riesce ad impedire- non vengono vissuti come una frustrazione. In questo caso aver !oliato è sufficiente, è autogratificatorio, invece nella lolla per una riforma, la gratificazione per ciascuno di noi c'è solo se riusciamo a vincere. Sennò dobbiamo fare i conti con la nostra frustrazione, con le nostre difficoltà. Ma anche una battaglia contro "Tangentopoli" è una cosa appassionante e non implica affatto che non si possa fare una battaglia anche sulla Jugoslavia. Che però non mi sembra sia quella di andare con un torpedone in una città dove si muore di fame; anche perché quelli che vanno col torpedone tornano tranquillamente a casa. Non è un voler insultare, figuriamoci, ma noi alla fine ce ne stiamo al calduccio. Vorrei che verso la Jugoslavia ci fosse un atteggiamento simile a quello che ci fu verso la Spagna. Naturalmente capisco che è più difficile: in Jugoslavia non c'è il govérno repubblicano, abbiamo solo a che fare con vari governi reazionari che si fanno la guerra tra di loro. Capisco che è una situazione nuova, però la mentalità mi piacerebbe che fosse quella per cui ci si deve impegnare e non semplicemente chiedere che non si facciano la guerra. Questo è un salvarsi l'anima a basso costo. Ma nel senso profondo della sinistra non c'è stato solo il "cambiamo il mondo", c'era anche il "cambiamo la vita, cambiamo il nostro modo di essere". Di tutta questa tensione, nel ritratto che fa lei di una sinistra che si batte per il possibile, cosa rimane? Sono d'accordo che fare della scelte polit.iche, e quindi fare delle scelte politiche di sinistra, sia una cosa che ha degli effettì sul modo di comportarsi, sulla mentalità, sugli stili di vita. Ne deve avere: io credo alla coerenza tra il dire e il fare, senza tuttavia arrivare a quelle parodie di coerenza per cui un tempo si arrivava a dire "Se c'è destra e sinistra, allora quali sono i formaggi di destra e quali quelli di sinistra?". Se sinistra è quell'impegnarsi per uno spazio pubblico che sia simmetrico, in cui ciascuno valga uno, se significa impegnarsi ogni giorno nelle piccole grandi cose per più libertà e più uguaglianza di tutti, di tutti nel senso di ciascuno singolarmente preso, allora è evidente che anche in tanti altri aspetti della vita di relazione -i rapporti tra padri e figli, i rapporti tra uomo e donnadevono esserci degli elementi di coerenza, senza arrivare a pensare che ci debba essere un solo stile di vita. Non credo che si possa essere di sinistra, pur nel modo molto sobrio e limitato che abbiamo detto, e poi avere un aueggiamento per cui ciò che nella sfera sessuale è consentito ad un uomo non è consentito ad una donna. Sarebbe un'evidente incoerenza e avrebbe dei rinessi nel comportamento politico in senso stretto di queste stesse persone. Quindi io credo che, in qualche modo, le scelte politiche devono avere delle conseguenze anche sul piano esistenziale, sullo stile di vita o almeno su alcune cose essenziale della vita di relazione. Quello che porta ari fiutare questa tesi è che, in passato, questa cosa era stata assunta in modo assolutamente insopportabile eopprimentecon la teoria "il privato è politico", per cui in ogni questione della propria vita bisognava comportarsi inmodo corretto secondo l'ideologia. Non penso a nulla di tutto questo quando parlo di una certa coerenza tra le scelte politiche ed alcuni comportamenti. Purtroppo la teoria aberrante de "il privato è politico" ha portato come contraccolpo al fatto che ora si tende a considerare che qualsiasi comportamento sia compatibile con qualsiasi scelta politica. A questo io non credo: se uno fa una scelta politica che dà un certo spazio al valore della solidarietà, poi non può comportarsi secondo la logica della più spietata selezione sociale darwiniana. Non può esserci questa totale scissione perché questo sarebbe fare della politica non un concreto impegno nei confronti di concrete esistenze singole, ma una ideologia del tutto scissa dai comportamenti. Questa sensazione per cui una sinistra che diventi pragmatica significa che ciascuno di noi è solo, annaspa, non possiamo più avere fiducia in nessun altro ... Intanto bisogna intendersi sulle sinistre pragmatiche: di pragmatismo hanno parlato per tanto tempo socialisti e miglioristi che tendevano ad una cosa che era la più lontana da una pratica coerente rispetto a parole e falli ... Credo che se la sinistra sapesse perlomeno assumere questa coerenza tra le parole ed un impegno quotidiano, anche piccolo, per migliorare le cose dal punto di vista della legalità, dell'uguaglianza, della libertà e dell'efficienza, questo già sarebbe un elemento comune straordinario, che ci farebbe sentire in convivenza, in senso forte, con tantissime persone. Magari ci si arrivasse. - UNA CITTA' INTERVISTE A Wlodek Goldkom: Franco Melandri e Massimo Tesei. A EmilioCasali11i: Gianni Saporetti. A Maum Lucci Mrmdersbach: Lisa Masselli. A do11Albi110Bi:.i.0110: Gianni Saporetti e Massimo Tesei. A Fra11caMorigi: Liana Gavelli. A Alfredo Comeui: Libero Casamurata e Rodolfo Galeotti. A A1111Farigerio: Sulamit Schneidere Gianni Saporetti. A Paolo F/ores D'Arcais: Franco Melandri. A Fulvio Baldovi11: Massimo Tesei. FOTO Foto: in copcnina. inottava e nona. in dodicesima, in quindicesima: di Fausto Fabbri.In seconda e in tena in basso: di Giuliano Ferrari. In tena in alto:di Massimo Tesei. In quarta e quinta di Emilio Casalini. In sesta e settima Silvana Massetti. In decima di Rodolfo Galeotti. In undicesima di Libero Casamurata.ln ultima di Emilio Casatini. COLLABORATORI Rita Agnello, Loretta Amadori, RosannaAmbrogetti, Giorgio Bacchin, Patrizia Betti, Vincenzo Bugliani. Libero Casamurata, Dolores David. Fausto Fabbri. Daniela Filippclli, Gabi, Rodolfo Galeotti. Liana Gavelli, Diano Leoni, Manio Malpczzi, Silvana Masselli. Orlanda Matteucci, Franco Melandri, Morena Mordenti, Carlo Poletti, Robeno Poni, Linda Prati, Rocco Ronchi, don Sergio Sala, Gianni Saporetti, Sulamit Sehneider, Fabio Strada, Massimo Tesei. Grafica: "Casa Walden". Fotoliti: SCRIBA. UNA CITTA' 1 5

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