Una città - anno II - n. 18 - dicembre 1992

nelle megalopoli del Sudamerica milioni di bambini lavorano, vivono e a volte muoiono pe, i terribile, ma elle in noi occidentali provoca un'impressione spesso deformata dal nostro modello con Ana Gome.z, brasiliana, ricercatrice all'università di Bologna, elle con i bambini di favela e e Tu hai lavorato, hai fatto ricerche con i sta attento al suo processo di sviluppo. bambini di strada. Innanzitutto ci puoi Come ti rivolgi allora a questa persona? dire chi sono? Perché se è un bambino mi ispira una certa Va premesso che i giornali, come spesso attenzione, tenerezza, dovrò proteggerlo, succede, trattano quella che chiamerei "pre- dovrò proporgli delle attività ludiche, dei senza di bambini per le strade" in modo momenti piacevoli, tutto il bagaglio di cose troppo spettacolare. In realtà non sono "bam- che pensiamo quando pensiamo al rapporto bini di strada", sono tante cose insieme, con un bambino ... Poi invece ti trovi di perché attorno alla strada c'è tutto un conte- fronte a una persona che magari ti fa male. sto, molto vasto e complesso. Ma le Tv li Che ti ruba, ma che può farti una violenza vanno a riprendere solo sulla strada, nei ~nche peggiore ... Nella mia esperienza quemomenti in cui loro si trovano lì. Per esem- ~to è stato molto forte perché dentro la pio: se è vero che ci sono bambini che · scuola avvertivo con grande chiarezza la vivono in strada e che il loro numero sta · distanza fra quello che io facevo, quello che aumentando negli ultimi anni, ce ne sono tanti altri che fanno tutta la giornata nelle strade e poi tornano a casa la sera, altri passano la settimana in strada e tornano a casa il fine settimana. E ci sono addirittura bambini che possono passare anche un mese in strada, ma che non hanno nella strada il loro punto di riferimento centrale, che resta nella famiglia. Teniamo presente la vastità geografica di una megalopoli del terzo mondo: un bambino che si trova nella strada perché non ha altre possibilità, che deve andare lì a raccogliere qualcosa per vivere, e molto spesso anche per riportare a casa qualcosa, deve restare in strada perché non ce la farebbe ad andare e tornare in un giorno. , E infatti, spesso, quando mi chiedono di raccontare la mia esperienza e dico che ho lavorato coi bambini delle favelas, mi sento rispondere "ah, allora non sono bambini di strada". E io a spiegare che nella favela sono tanti i bambini che dopo la scuola vanno in strada. in Europa li cltiamiamo IJamlJini. Ma sono IJamlJini? Sono figli di immigrati nella grande città, vivono nelle grandi periferie o molto spesso nelle favelas che sono enclaves di povertà all'interno di quartieri benestanti. La maggioranza di questi bambini si trova in strada per partecipare al mercato informale del lavoro, e un numero più ristretto di questi bambini sono bambini che ormai vivono nella strada, che hanno lì il loro punto di riferimento centrale, la loro casa, e che nella strada ricostituiscono tutti quei rapporti, quelle reti di contatto, di cui una qualsiasi persona ha bisogno per riuscire a sopravvivere. Si fanno un gruppo di riferimento che potrebbe corrispondere a una famiglia, hanno dei ritmi, hanno degli orari, hanno dei compiti distribuiti. Quanti sono questi bambini? Sulla questione delle cifre la prima cosa da osservare è che vanno dai 7 ai 30 milioni di bambini solo per quel che riguarda il Brasile e che quindi non ci possono dire molto perché la variazione è troppo grande. E questo dipende dalla difficoltà oggettiva ad afferrare il fenomeno. Chi è questo bambino di strada? E' quello che abita in strada? Quello che va in strada a lavorare? Quello che sta in strada una settimana? Ma una cosa ancora più importante da chiedersi è se sono bambini. Noi, uso il noi intendendo qui in Europa, li chiamiamo "bambini" perché sono piccoli, perché in una città dell'Europa una persona di 13 anni da sola in strada ha un certo significato. Ma in Brasile e in America Latina ha un altro significato, può essere già una persona adulta che va in strada a fare quello che io, ma non solo io, chiamo lavoro, e che non si trova "perso" in strada, non si trova "deviato" da un suo percorso dovuto, originario. Si trova in strada così come in strada, a volte, si trova sua madre, così come ci sono tanti adulti in strada. Ho letto che un semaforo di S. Paolo, più o meno, dava da lavorare a trecento persone, tra poliziotti, bambini, venditori vari e anche ladri. Trecento persone che all'incrocio di due grosse avenide riescono a cavarsela, a risolvere la loro vita. Per cui la prima cosa su cui ragionare è questa. Sono bambini nella concezione che noi intendiamo di bambini? Perché parole come bambino e lavoro non vanno insieme, per cui o non sono bambini o quello che fanno non è lavoro. Loro stessi poi ti trasmettono quest'idea: un bambino che ha iniziato molto presto a preoccuparsi della sussistenza della famiglia non accetta volentieri, non trova senso, in una proposta educativa basata su quest'immagine: del bambino che gioca, che ha tempo libero, che ero nella scuola e quello che loro vivevano fuori e anche quello che loro consideravano una persona adulta. Agli occhi di quei bambini io ero un adulto un po' particolare, adatto a vivere da adulto nella scuola, ma non nella favela dove i ruoli potevano anche rovesciarsi. Una volta a scuola ho assistito alla scena di una bambina che mentre raccontava, molto agitata e con molti dettagli, a un'altra bambina di come, a causa della pioggia, fosse crollata la loro casa, le si è avvicinata un'insegnante, anche lei molto preoccupata, dicendo "ma cos'è successo? Siete rimaste senza casa ...": allora la bambina ha cambiato completamente tono, ha assunto un 'aria più tranquilla e rassicurante e ha detto "stia tranquilla, abbiamo già trovato un'altra casa, per adesso stiamo dalla nonna, è tutto sotto controllo ...". e poi ti trovi di fronte una persona clte ti fa male Allora si torna sempre alla domanda su chi sia il bambino e chi è questo adulto che si confronta con questi bambini. lo stessa, che nella scuola mi sentivo adulto, nella favela la mia posizione di adulto era messa in questione: i bambini mi accompagnavano tutto il tempo perché non mi succedesse nulla, addirittura mi chiedevano se sapevo quali autobus prendere, mi consigliavano le strade da fare per tornare. Si rivolgevano a me come se fossi io la persona bisognosa di cure. Mentre dentro la scuola si rivolgevano a me come all'adulto che possiede un qualcosa di particolare che loro non posseggono. Il problema della violenza? Devo dire che la domanda della gente "ma perché in Brasile si uccidono così i bambini" mi dava un po' fastidio. Un po' come, appena arrivata in Italia, la gente mi domandava "ma cosa fate con l'Amazzonia?". E io a dire, "guarda che abito a 4000 Km dal- !' Amazzonia, io non ci faccio proprio nulla". Mi trovavo a disagio e come reazione chieo devo "ma perché non volete sapere mai degli adulti?" Perché anche gli adulti sono uccisi allo stesso modo. In una guerra devono morire solo gli adulti? I bambini non fanno parte dello stesso mondo? La violenza urbana in Brasile è arrivata a dei livelli altissimi, per cui non c'è da stupirsi che vengano uccisi dei bambini, vengono uccisi tutti, anche dei bambini. Sembra assurdo dire una cosa simile, ma ci sarebbe da stupirsi se non morissero anche i bambini perché vorrebbe dire che non fanno parte della società. Ma è possibile questo? E in Europa è così? I bambini sono lasciati da parte dalla violenza? Non credo. affori e viHime di una violenza rivolta a tuffi, diffusa Là non c'è una violenza rivolta ai bambini, c'è una violenza diffusa, rivolta a tutti, e anche i bambini imparano a sopravvivere in questa situazione, e loro stessi, di questa violenza, diventano attori e allo stesso tempo vittime. Io stessa ho subito la violenza dei bambini in strada e poi dovevo trovarmi con loro dentro la fa vela e stabilire come un altro interfaccia. Dovevo capire che lì il rapporto era di un certo tipo ma che fuori ero esposta alla loro violenza come ogni altro cittadino. E che fuori. anche se non so immaginarmelo, avrei potuto rispondere violentemente. E' tutto un mondo circostante di violenza. Non è una violenza rivolta solo a un gruppo particolare, di poveri e indifesi, no. La cosa più preoccupante è che un'intera generazione sta crescendo in un mondo ostile, in un clima dove la violenza è il problema prioritario da imparare a gestire. La seconda preoccupazione è che questi bambini crescono senza sperimentare rapporti significativi con gli adulti al di fuori di un contesto violento. Senza altra immagine di rapporto con l'adulto, che per loro è poi immagine di futuro, che non abbia a che fare con la violenza. In questi bambini c'è una totale assenza di prospettiva di futuro. Tutti coloro che lavorano con loro in progetti educativi registrano questa loro impossibilità di poter pensare al di là del giorno d'oggi, la condizione cronica di chi è costretto a vivere nella minaccia incombente della morte. Ed è vero purtroppo che molti di loro finiscono uccisi. Molto spesso quando si fanno ricerche con interviste per ricostruire i tragitti di questi bambini, alla fine della raccolta dei materiali molti degli intervistati non esistono più. Chi li uccide? Soprattutto gli squadroni della morte. Questi squadroni non sono nati in funzione antibambini. Gli squadroni della morte sono residui delle strutture repressive della dittatura militare che poi, già allora, non potendo essere troppo esplicita nella sua repressione, promuoveva la formazione di gruppi anche informali. Finita la dittatura molti di loro si sono sparsi senza nessun controllo, sono stati assunti da settori della società, come per esempio i commercianti, ma prima per combattere degli adulti. Non sono nati per combattere i bambini, erano preesistenti. E non credo neanche che là ci sia una particolare acquiescenza verso la violenza ai bambini. Credo che la cosa faccia molta impressione come qua. Ma ti faccio un esempio un po' strano. Quando è scoppiata la guerra del Golfo, anche molti pacifisti, e io ci sono rimasta anche male, han detto "va bene, non sarà un'azione ragionevole, ma qualcuno deve fermare Saddam Hussein". Penso che in Brasile per i bambini di strada molti ragionino nello stesso modo: "non va bene uccidere, però qui bisogna far qualcosa perché la violenza è troppa". Per cui "concedono". In certi momenti vogliamo lasciar fare perché alla fine un qualche riscontro positivo arriverà. "Non vorrei io sporcarmi le mani, ma meno male che c'è qualcuno che fa qualcosa". questo è il ragionamento. E d'altra parte va detto che solo a Rio De Janeiro, in una ricerca fatta, hanno censito 600 gruppi, fra tutti, privati. pubblici, cattolici e non cattolici. del Candomble, cioè di origine africana. che si impegnano sul problema dei bambini. di strada. con problemi, poveri, ecc. per dormire si ammucchiano in certi angoleffi Quindi la rete di solidarietà è molto più estesa di quanto non appaia, ma il problema da affrontare è enorme. Voglio dire che non c'è immobilità, il fatto è che c'è una vera guerra. E i bambini come sono organizzati in strada? Nella strada vince il più forte. Può essere il più grande, può non esserlo. Quando poi passi la soglia dei 18 anni, che non sei più minorenne. allora sei molto più scoperto. Essere forti in strada significa poi tante cose, vuol dire essere malleabili per riuscire ad adattarsi ai cambiamenti del contesto. Una cosa curiosa: se una volta i bambini si organizzavano in bande con dei capi riconosciuti, poi hanno imparato che non andava bene, perché diventavano più identificabili, più vulnerabili per la polizia. Così hanno abbandonato anche le abitudini più sistematiche che potevano tradire la loro presenza. Anche qui: quando si dice 30 milioni di bambini per strada è cifra molto vaga, che cambia continuamente, che dipende dalle risorse che il contesto immediato ti può offrire per vivere. E quando crescono cosa succede? Ormai abbiamo generazioni di strada. Ci sono già bambini nati nella strada che non hanno conosciuto altro che una vita così precaria e fugace come quella di strada. Mettono su famiglia, hanno dei figli. La ragazza di strada è un problema molto particolare e grave, perché è molto più vulnerabile, per via della violenza sessuale, della prostituzione, eccetera. Infatti non vivono mai da sole, cercano di ricostruirsi una rete di socialità, che assomigli a una famiglia. E fanno figli. Ma è interessante, ed è documentato, che, nonostante la precarietà della vita, queste ragazze si preoccupano del futuro del proprio figlio, dell 'educazione che vorrebbero per il figlio, per non fargli fare ,., la stessa vita fatta da loro. Ma dove dormono? Si ammucchiano in certi angoletti che possono sembrare più adatti. Sotto cartoni, stracci ... Perché poi in Brasile non ci sono stabili fatiscenti e abbandonati da occupare come, per esempio, a Londra. E poi perché i bambini per riuscire a sopravvivere devono restare vicini alle zone in cui possono arrivare ad avere qualcosa. Le zone commerciali, centrali, benestanti dove non ci sono spazi liberi. Quindi vanno ad ammucchiarsi proprio sotto i ponti, nei buchi della città benestante. Nella stessa favela si distingue molto fra strada della favela e strada della città. La strada del la favela è una strada domestica, anche se si sa che anche lì ci sono dei marginali, ma la strada veramente pericolosa è quella della città. E' la città che è pericolosa, non la favela. E anche qui, quando noi pensiamo che per togliere i bambini dalla strada bisognerebbe toglierli anche dalla favela, sbagliamo perché il problema non è nella favela, è nella città. Ci sono madri che provvedono prestissimo a far lavorare i bambini dentro la favela, a caricare r acqua, portare materiai i di costruzione, fare piccoli servizi in modo che lui non abbia bisogno di andare a lavorare nella strada fuori dalla favela, perché lì c'è il pericolo. E' nel contatto fra lui e la società benestante attorno che c'è il pericolo. Ci sono bambini della favela che non sanno come sia fatto il centro. Non ci sono mai andati perché sanno che è un ambie111eostile. Ti racconto questo episodio che mi ha raccontato una madre. Anche se della favela, erano riusciti a iscriversi a un club in città. un club operaio. Sono partiti per andare al club e il bambino aveva la maglietta e ciabattine. E. sceso prima per comprare qualcosa da mangiare, c'è stato un furto nei paraggi, ed è stato arrestato. Esclusivamente per il modo in cui era vestito. Questo si sa in favela: se sei un po' scuro, e i più lo sono, e se in più sei vestito in maglietta e pantaloncini ti esponi a un pericolo gravissimo. Se esci dalla favela devi vestire "come gente", dicono le madri ai figli. no, no, so IJene clte dovrò fare la domestica E proprio per questo, quei bambini che decidono o sono spinti ad andare in strada, lo fanno sapendo bene i pericoli a cui vanno incontro e in qualche modo ci si preparano. Sanno che vanno in un mondo violento e che per sopravvivere devono diventare violenti anche loro. Ma come ci arriva ad andare in strada? Il bambino della fave la ha davanti due strade di socializzazione: quella di diventare un "lavoratore", che è sostenuta principalmen-

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