La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 10 - dicembre 1995

no di un 16% di ragazzi delle scuole primarie e secondarie implicati in episodi di bullying; il dato percentuale sale in Inghilterra al 27% (Whitney e Smith, 1993)'e oscilla tra 1'8% dell'Irlanda, il 15% della Spagna e il 12,5% del Giappone. In Italia la ricerca è statà condotta nelle città di Firenze e Cosenza ed i risultati hanno presentato una realtà molto preoccupante. Circa il 46% dei ragazzi di Firenze e il 38% dei preadolescenti di Cosenza dichiara di essere stato implicato in episodi di aggressionefisica, aggressione verb ale, aggressione indiretta. I dati inoltre riferiscono della varietà della tipologia che le forme di aggressione assumono: la più diffusa è l'aggressione verbale che spesso provoca l'aggressione fisica; quest'ultima tende a declinare dai dieci ai quattordici anni ..,, 'i . mentre aumenta l' aggressione indiretta, cioè l'inventare e·spargere calunnie ingiuriose sul conto degli altri. Quel che appare sorp rendente per quanto emerge dall'analisi dei dati è il p~ofilo psic~logico di questi prepotenti che non assomigliano al tipo cattivo soggetto dall'aspetto poco rassicurante, figlio di genitori a loro volta persecutori, ";napiù spesso è solo e semplicemente uno che sa e fa quello che vuole senza cu- ""¼,. rarsi delle conseguenze, (scarsa empatia) aggredisce · . non solo i più deboli ma anche gli adulti, manifesta impulsività, forte assertività e pulsione irrefrenabile a dominare. Riguardo agli altri soggetti implicati nel bullying, le vittime, invece, rispondono alle caratteristiche specifiche in quanto si comportano e tradiscono chiare manifestazioni di insicurezza, ansia e scarsa autostima. Se i prepotenti e le vittime non appartengono a quelle categorie familiari che tutte le precedenti indagini hanno definiti come fonte di identificazione negativa (identificazione con l'aggressore da una parte e passività dall'altra), ci si chiede come si spiega la enorme diffusione del fenomeno in Italia. Sembra che la risposta sia da ricercare in un più diffuso e generalizzato comportamento sociale che da questi giovani viene assorbito senza filtri. Senza, cioè, che alla percezione di quanto avviene all'esterno, nelle dinamiche tra i gruppi sociali, possa corrispondere all'interno, nelle agenzie educative più qualificate (famiglia e scuola), la capacità di decodificare i messaggi e di funzionare da "ammortizzatori". Al contrario, più spesso di quanto non si creda, si deve registrare una vera e propria latitanza del ruolo dei genitori quando non addirittura una esplicita e forte riprpposizione - all'interno della famiglia - delle situazioni presenti all'esterno. In altri termini, se i modelli di comportamento e gli stili educativi sono improntati alla squalifica, alla violenza verbale, alla violenza fisica e alla consuetudine di diffondere notizie calunniose e giudizi di merito nei confronti de~li altri (vicini di casa, parenti, amici colleghi di lavoro, semplici conoscenti), la formazione degli atteggiamenti mentali che tutto ciò può indurre sarà senz'altro di riproposizione e di potenziamento, ma in negativp. Non sembra troppo lontana dall'analisi della realtà sociale italiana e dell'intera civiltà occidentale che su questi problemi si i~terroga, la cortsapevolezza del fatto che dagli atte~- giamenti mentali e dai comportamenti messi m atto dai diversi gruppi sociali venga esibita continuamente una modalità di espressione improntata alla squalifica dell'altro, alla scarsa capacità di manifestare il minimo di tolleranza per chiunque non condivida non solo opinioni ma neanche orientamenti, pensieri, emozioni. Non meraviglia, quindi, che si riproducano nei piccoli gruppi di appartenenza d~i giovani, gli atteggiamenti e le modalità di comportamento che si percepiscono presenti nelle dinamiche sociali e che si riproducano "fatalmente.'' prevaricazione, intolleranza e sopruso. Non sorprende, dunque, che l'analisi delle cause si faccia ,sempre più sottile e sofisticata, ma che la soluzione ricercata e messa in atto si debba sempre riferire al miglioramento delle relazioni interpersonali. A questo proposito si concorda sia con gli autori delle ricerche fin qui citate che con le ipotesi . di intervento caldeggiate ~·'- ~ , . ,,. , · , da al~uni decenni_,e cioè che l mtervento J?lU produttivo va introdotto e portato avanti sul clima democratico da ottenere all'interno delle primissime agenzie educative nelle quali il bambino è inserito: famiglia e scuola. (Lo Cascio-Savoja, 1989). Dal momento che, dal punto di vista sociale, è più immediato ma anche programmabile "per contratto", l'intervento nella scuola si può e si deve partire proprio da questo per arrivare a raggiungere la sensibilizzazione della famiglia nella speranza che da questa esperienza costruita ad hoc per i ragazzi, possano discendere nuove generazioni di uomini orientati verso la realizzazione concreta di giustizia sociale e, quindi, la possibilità che essi divengano capaci di determinare un altrettanto reale clima democratico nella società del futuro. Riferimentibibliografici Aa.Vv. La violenza nascosta Cortina, Milano 1986. Fonzi A. Bullying: la sopraffazione nell'infanzia, voi. XXII n. 129. "Psicologia contemporanea" Giunti Barbera, Firenze, 1995. Lo Cascio (a cura di) Apprendere la violenza, Guerini, Milano, 1989. Kempe R.S., Kempe H., Le violenze sul bambino, Armando, Roma 1980. Miller A., La persecuzione del bambino, Boringhieri, 1987. Moro A.C., La devianza in preadolescenza e l'insufficienza delle risposte, ne, Il bambino incompiuto, n. 1/1992 Unicopli, Milano. Aa.Vv., Il ciclo dell'abuso: studio·epidemiologico sul maltrattamento infantile, in, Il bambino incompiuto n. 2/1992, Unicopli, Milano. ♦ ~ BUONIECAITIVI

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