La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 10 - dicembre 1995

un futuro di responsabilità e impegno individuale, non riescono a formare una nuova società, viceversa sono plasmate ed adattate alle esigenze di quella attuale. La scuola ad esempio, non si sta ponendo come diretta antagonista del mondo di valori di cui si fa portavoce la televisione, ma piuttosto vi si adegua. Siamo arrivati al punto in ·cui il linguaggio televisivo insegue l'utente fin dentro i libri di scuola con i suoi messaggi pubblicitari. Il problema delle.comunicazioni di massa e del mondo di valori di cui si fanno, consapevolmente o meno, portatrici, è solo un aspetto di questa materia complessa; forse uno dei più sottovalutati. Il fenomeno ptu appariscente (ed è innegabile il suo contributo ad un percorso di violenza) su cui seesso tendiamo a scaricare ogni responsabilità, è 11 "degrado ambientale" in cui crescono migliaia di nostri giovani. In genere c'è l'abitudine ancora oggi a confinare il senso di questo concetto in precisi contesti geografici di povertà economica. Gli esempi chi:!portiamo a sostegno di questo ragionamento sono sempre gli stessi: lo Zen di Palermo, Tor BellaMonaca a Roma e via dicendo. I fenomeni di disagio minorile hanno da tempo scavalcato questi limiti geografici e sociali. Pensiamo un momento a Fabio Savi. Non è certamente più un bambino l'uomo che per tanti anni ha seminato terrore in Italia, ma ha avuto un padre ed è stato bambino. In un'intervista tele;isiva andata in onda all'epoca dell'arresto della "banda della Uno bianco,", compariva il padre di Savi da molti indicato come· ispiratore morale delle gesta dei figli. In effetti dalle sue stessé parole lo spettatore evinceva la fonte di valori di tutta la famiglia Savi: amore per le armi da fuoco, odio per negri, immigrati, prostitute e sogsetti deboli in genere. Fabio Savi ha un figlio piccolo. Oggi Fabio Savi è in carcere, ma se fosse libero quali principi morali trasmetterebbe a suo figlio? E quanti Fabio Savi ci sono? Molti, moltissimi purtroppo. E anche se sono pochi quelli che superano la barriera della legalità sono molti quelli che condividono gli stessi valori. Portare i propri figli ad una manifestazione notturna con fiaccole minacciose e tamburi per spaventare i rom di Genova differisce molto da un mentalità come quella dei Savi? Meno di quel che si pensi. An- · che in questo caso vige la legge del gruppo che scavalca ogni forma complessa di rapporti sociali (e legali) facendosi portabandiera, con le proprie certezze, di messaggi semplici e violenti: "Gli zingari se ne devono andare. Lo stato non ci pensa? Ci pensiamo noi". Lo stesso ragionamento vale per San Salvario a Torino, {'er Firenze, .Per Roma. In queste situazioni il gruppo (sia esso formato da un isolato o un intero quartiere di una città) reagisce meccanicisticamente alle situazioni di degrado che si formano al di fuori della propria comunità. Il risultato non cambia, anzi è peggio. La reazione all'impulso esterno viene innalzata al ruolo di "giustizia popolare", un valore morale da trasmettere con orgoglio ai propri figli. "Tuo pacjre non si mette le pantofole di fronte all'invasione di questa teppa, si alza e fa il lavoro che dovrebbe fare lo stato: impara!-", potrebbe dire a suo figlio il giustiziere che ha fratturato i polsi ad una ladruncola rom di undici anni nella totale indifferenza delle persone che affollavano la metro Barberini di Roma. Anche questo è degrado ambientale. Non è un emarginato dello Zen a parlare, ma un appartenente al ceto medio, uno di quelli di cui si dice: "gran lavoratore, tutto casa e lavoro". Il degrado ambientale ha abbandonato i confini geografici e sociali in cui lo avevamo inquadrato. L'affacciarsi delle nuove forme di convivenza multietnica a cui il nostro paese dovrà adattarsi, ha già trasformato questo problema in un fenomeno che arriva fin sotto la porta della nostra casa. Da q~i le strade possibili sono due: da un lato ci sarà chi continuerà a pensare di poter risolvere queste situazioni con scelte drastiche e razziste, dall'altro chi con più fatica si dovrà fare carico di responsabilità civili collettive che, per stanchezza e per una concezione ancoradiuttosto statica dell'evoluzione sociale, fino a oggi ha risolto con un indignato commento leggendo i giorhali. Il disagio giovanile ha matrici e percorsi oscuri che guidano il suo passaggio alla violenza, ma c'è un filo, un filo sempre più visibile, che lega questi percorsi ai valori di "immagine·" della nostra società. Un filo che, lo ripeto, arriva fin sotto casa nostra, che si assottiglia o si ispess_iscea seconda delle nostre azioni. Osservando il fenomeno della violenza giovanile, sia sotto il profilo della questione delle comunicazioni di massa e dei valori in pillola che riceviamo ogni giorno, che sotto quello del cosiddetto "degrado ambientale",. si ha la sensazione che questi due elementi non siano affatto slegati fra loro. Alla base c'è sempre, da parte dell'individuo, un rifiuto totale della complessità dei problemi: una tendenza ad assumere certezze semplici e spesso violente. Quale sia la risposta più appropriata che la società civile, lo stato, devono dare a questi fenomeni è arduo dirlo. Una considerazione però mi sento di farla: siamo ad un passaggio cruciale della nostra storia, il crollo dei muri tra est e ovest, l'aumento dei flussi migratori lungo l'asse nord-sud del mondo, stanno operando profonde trasformazioni in tutte le cosiddette società avanzate. Indietro non si torna, nemmeno l'Italia può permettersi di farlo. Adoperarsi per fornire, ad esempio attraverso il volontariato, il· maggior numero di strumenti che permettano al nostro paese di prepararsi a questo inevitabile passaggio epocale, è un dovere fondamentale di tutti noi. Dobbiamo farci tutti portatori di nuovi valori, da contrapporre con fermezza ai non valori dei Savi, delle ronde di Genova, delle scarpe di "tendenza". La violenza, tutta la violenza, si ferma con l'impegno collettivo di tutti gli individui. Si ferma con un maggior impegno dello stato nelle scuole, si ferma nei centri di accoglienza e orientamento per gli extracomunitari, nell'intervento nei quartieri a rischio, nelle attività di volontariato in carcere, nei centri di recupero, nel creare programmi di formazione lavoro per i giovani che non siano più mezzucci di agevolazione fiscale per padroncini frettolosi di arricchire. Le cose che _sipossono e si devono fare so- · no innu_merevoli. Le strutture che giada tempo si muovono in questa direzione sono tante. Ora tocca anche a noi darci da fare. Cominciamo da un piccolo, ma significativo, gesto: spegnamo la televisione e guardiamoci intorno. ♦ BUONI E CAITIVI

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