La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 9 - novembre 1995

~... I ~ç " menticare, ma che invece il rinnovato orgoglio della cultura teatrale ha bisogno di sottolineare. Marco Paolini nasce e continua a vivere - come attore - in quella dimensione dove l'et~ca professionale e l'impegno morale coa-· bitano e perfino si confondono; si colloca in quella generazione che ha scoperto la possibilità del teatro do_po aver accertato l'impossibilità della politica, che ha formato gruppi e inventato spettacoli che volevano essere i succedanei (ma non i surrogati) di altri gruppi e di molte manifetazioni politiche precedenti; si forma nel momento in cui il "terzo teatro" non era ancora frainteso come fosse uno stile, ma semplicemente appreso come una condizione e un confine sociologico che dava senso e definizione alla propria esperienza d'attore. Marco Paolini è parte integrante della "storia" di quel teatro nuovo o giovane o sperimentale sul quale si suole stendere il velo pietoso dell'insuccesso, tutte le volte che non convince i critici ma anche tutte le volte che vince guella classe di mediatori e lunzionari e organizzatori ..:he si sqno sovrapposti agli mori con l'arroganza del loro JOtere e l'inconsistenza della oro preparazione culturale. futta gente, troppa gente, che 1a imparato (da Berlusconi o la Veltroni ?) a promuovere le vendite del teatro ma non la (lf'/ sua vita. Sono pochi suelli che, come Marco Paolini, senza infauste benedizioni televisive né felici conversioni cinematografiche, hanno potuto dare un seguito coerente alla propria motivazione culturale e intanto hanno saputo arricchire la propria professionalità teatrale. Sono ancora meno quelli che, come Marco Paolini, hanno voluto difendere - magari ridotti a single, ma mai da soli - la loro primigenia identità di "teatro di gruppo". E dunque, davanti a questo suo Vajont, malgrado siano cambiate le mode e morte le etichette, non si può non avere la sensazione che sia stato ancora una volta quel teatro - terzo o giovane o nuovo o sperimentale ... - ad averci messo a disposizione un suo attore "militante", per darci una lezione, un po' come a scuola. Quel teatro che in fondo è l'unico e l'ultimo che si interroghi sul fatto se sia meglio raccontare storie o raccontare la Storia. Se sia più giusto entrare a far parte del Teatro o restare abitante del propno teatro. Nato e cresciuto dentro a queste irrisolte domande, Marco Paolini non teorizza, e forse nemmeno sceglie: più semplicemente ci mostra un risultato che parla da solo, anzi parla sopra e oltre l'attore. Come capita nelle rare occasioni di uno spettacolo felicemente mancato - e come insegnano soltanto i grandissimi attori - talvolta si comincia per raccontare e si finisce per "essere detti". Anche lo spettatore in questo caso se ne avvede, almeno alla fine dell'opera - intesa come "diga del Vajont". Da un certo punto in avanti, l'attore continua a parlare ma non c'è più niente da dire, e, ovviamente, niente da ridere. È allora che, contro la propaganda teatral-politica, la satira ammiccante, lo sghignazzo liberante e le promesse demagogiche di umoristici risca.tti futuri, il Gran Finale rovina precipitosamente. Se~uendo l'impossibile e l'indicibile di una autentica tragedia, esce dalle previsioni del testo drammatico, quindi anche dalla narrazione ·e in ultimo persino dall'oratoria, liberando una commozione da "teatro vivente" che non ci ricordavamo più. Se poi queste sembrano parole o emozioni spropositate, davanti a uno spettacolo che non è nemmeno uno spettacolo, ci si ricordi non dei geniali e scoppiettanti comizi mimati dal solito grande maestro della scena, ma· delle più modeste esperienze d'ascolto di vecchie e vere favole: si scoprirà che, pur senza potersi spiegare il perché, Il racconto del Vajont funziona esattamente come quelle. Alla fine, non si riesce magari a ricapitolare la trama, ma è rimasta in ciascuno spettatore la nitida impressione dell'orco. Abbiamo capito chi è e perché ci fa paura. Abbiamo capito che non se n'è andato e che tornerà a minacciarci ancora, anche adesso che - come spiega Paolini - si è passati dagli aristicratici Padroni dello Stato al più democratico Stato dei Padroni, anche adesso che dai misteri e dai silenzi degli scandali invisibili, si è passati ai processi spettacolari e alla trasmissione in diretta delle catastrofi belliche, anch'esse ormai "naturali". Anche adesso che la ridda delle informazioni di garanzia viene scambiata dal pubblico-bue per "la garanzia delle informazio- ." ru . No, se qualcuno vuole essere per davvero informato, ad esempio su ciò che è successo nelle valli di Longarone, Erto e Casso il 9 ottobre del 1963, dovrà sperare soltanto nel teatro. •

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